La Cagna e il Disertore

Pallottola assassina

Cavalcata con il morto

Ultima spiaggia

La Morte cena al Diner

LA CAGNA E IL DISERTORE

di Salvatore Conte (2024)

Arizona, 1868.

Kelly non resistette alla tentazione di togliersi la polvere di dosso, dopo la lunga cavalcata.

«Sono due dollari per la stanza e uno per il bagno, signora.

Anticipati…».

Tucson offriva di meglio, ma a lei bastava un posto fuori mano, in cui non si notasse troppo la sua presenza.

Per Kelly Madison, infatti, non era facile passare inosservata.

Il nome delle praterie, quello portato dal vento e scambiato intorno ai falò dei bivacchi, non mentiva: in Arizona era la Cagna.

Un nomignolo in apparenza non troppo lusinghiero, ma che andava interpretato con una certa dose di affetto.

Dopo aver mollato il Biondo, uno pseudo-bounty-killer a cui aveva spillato un po’ di grana e con il quale aveva stretto una relazione durata pochi mesi, la bella Kelly si era data a storie diverse.

Lui c’era rimasto abbastanza male. Una così non si trova una seconda volta. E non si dimentica.

Le bisacce di Kelly erano davvero molto grosse.

Spennato il Biondo, il pollo giusto non si era fatto attendere.

La Cagna arrivava da Phoenix, dove si era legata a un ricco notaio, per conto del quale doveva depositare una grossa somma nella nuova banca di Casa Grande.

Era pericoloso per una donna muoversi da sola con tanto denaro addosso, ma lei aveva insistito per fare tutto da sé.

E alla Cagna era difficile dire no. Sembrava senza limiti.

Fu così che perse la strada e che si ritrovò molto più a sud di quanto in realtà dovesse: a Tuscon, per la precisione, e di fronte a quella stamberga, più precisamente ancora.

Il giorno dopo si sarebbe persa ancora più a sud, e forse sarebbe finita in Messico.

«Ecco, questo è l’ultimo, signora», annunciò il padrone della stamberga, che provvedeva da sé ai rari ospiti.

Poteva accomodarsi, il bagno era pronto.

«Va bene, grazie».

Finalmente poteva rilassarsi. Tutto era andato liscio. Il gonzo di turno era stato ripulito a dovere. I soldi erano accanto a lei, nelle bisacce, insieme a una rassicurante colt 45.

Nessuno avrebbe potuto immaginare che una banale bisaccia di cuoio potesse valere tanto; ossia 40.000 dollari…

La Cagna, giocando con l'acqua, si faceva dondolare il  prorompente seno, soddisfatta per la riuscita del piano.

La vasca era piazzata esattamente di fronte alla porta, e questo particolare, una volta che ebbe finito di trastullarsi con le sue zinne, sembrava suggerirle qualcosa di sinistro, sebbene non capisse esattamente cosa.

SBANG!

La porta!

Un soldato sudista sull’uscio!

Il padrone della stamberga!

Con un fucile a baionetta in mano!

L’uomo, dopo un attimo di esitazione, si avventò contro la donna a mollo nella vasca.

SZOCK!

«Uuughh…!».

Sorpresa e sofferenza si confusero nello stesso grido strozzato.

La Cagna era stata infilzata nello stomaco da una vecchia baionetta sudista!

SWISH!

«Arghh…!», l’uscita fu perfino più dolorosa.

Lo pseudo-soldato si ritrasse di due o tre passi: sembrava più stordito della stessa vittima.

L’acqua della vasca si stava tingendo di rosso e lui la osservava come ipnotizzato.

La Cagna capì subito di essersi imbattuta in un folle, uno dei tanti resi scemi dalla guerra.

Non poteva sapere dei soldi, stava guardando le sue bisacce, non quella con i soldi.

La Madison era sotto shock, ma si sforzava di ragionare e di recuperare lucidità il più in fretta possibile.

C’era più di una possibilità che il fucile fosse scarico, se era stato usato in quel modo. Era un vecchio modello, ormai superato; una di quelle cose che avevano portato la Confederazione allo sfacelo; quasi impossibile rifornirlo di munizioni; forse era appartenuto a un disertore; forse allo stesso scemo che gli stava di fronte, inebetito; l'uniforme era in buone condizioni, doveva averla usata molto poco.

Si era rilassata troppo, si era fatta sorprendere, e non sembrava nemmeno finita: l’avrebbe colpita di nuovo.

Come una belva ferita a morte, la Cagna allungò il braccio verso le tasche della bisaccia con i soldi, in mezzo alle quali avrebbe trovato la sua colt 45…

BANG!

Aveva mirato al cuore.

THUD!

Il suo braccio era ancora fermo, perché il soldato stramazzò sul pavimento con un tonfo sordo, definitivamente congedato.

Quel tale faceva esercito a sé: disertore quando c’era da morire per la Confederazione, si era riscoperto soldato - abile e arruolato - con le sue ignare clienti, a guerra finita da un pezzo.

La Cagna aveva risolto il primo dei suoi problemi, quello più imminente, ma ne rimaneva un altro, grosso e sanguinante…

Nel Vecchio West gli spari di una colt erano normali come i colpi di clacson lo sarebbero stati un secolo più tardi; si sparava per fare baldoria, per spaventare i cani, per ammazzarsi e tante altre cose.

Nessuno si era allarmato all’esterno e nessun altro era presente all’interno del fatiscente hotel alla periferia di Tucson.

Per un attimo Kelly ebbe la tentazione di mollare tutto e finire il bagno, di crepare comoda, nel suo stesso sangue.

Ma la Cagna si piaceva, le piaceva come era arrivata sulla soglia dei 50, e voleva proseguire ancora.

«Uhhh...», si aggrappò con entrambe le mani al bordo della vasca e si tirò su; il sangue le faceva senso, visto che era il suo.

Uno specchio le restituì il suo corpo, nudo, bello con grosse zinne penzolanti e tanta carne, ma appena attraversato da una baionetta: un particolare tragico e sanguinolento, che stava per mettere fine alla sua carriera di Cagna.

«Maledetto psicopatico...», la Madison abbassò gli occhi a guardarsi il taglio.

Sanguinava, ma non troppo, la ferita si era richiusa su sé stessa; quello che era successo dentro, però, le avrebbe richiesto un prezzo molto alto e non sarebbe bastata nemmeno tutta la bisaccia con i soldi.

Forse posso ancora farcela...

Scendo giù con un mazzetto di bigliettoni... e convinco qualcuno a portarmi alla svelta dal primo dottore...

Oppure monto a cavallo e arrivo in Messico... in un vecchio pueblo... dove gli sciamani sanno curare quasi tutto...

Tra questi pensieri, entrambe le mani scattarono sullo stomaco, occupandosi di tenere a bada il taglio.

Un rumore alle sue spalle, un’ombra sullo specchio, e la Cagna si voltò per capire chi fosse entrato.

SZOCK!

«Ahhh!», la Madison scoprì basita di essersi voltata solamente per prendersi un secondo affondo di baionetta!

Non era entrato nessuno. Era entrata soltanto la lama. E anche molto in fondo.

Tanta più rabbia che dolore nel suo urlo. Si era fatta sorprendere ancora.

THUD!

Il soldato pazzo aveva ottenuto un ultimo sussulto di vita, e l'aveva usato per colpirla di nuovo, prima di ricadere morto sul tappeto sfilacciato.

«Uhhh...», la Madison si appoggiò con le spalle alla parete e si guardò terrorizzata il petto: la baionetta le aveva trafitto il seno, quello destro, e sfilandosi dal vecchio fucile era rimasta lì, quasi a godersi eccitata quelle forme provocanti.

D’istinto portò una mano sulla lama con l'intenzione di strapparsela dal petto, ma le sue gambe divennero d'improvviso quelle di un fantoccio.

O più precisamente quelle di una grossa bambola.

La Cagna scivolò di schiena lungo la parete, finendo col culo per terra.

«Ohhh...», una mano sullo stomaco e l’altra attaccata alla baionetta, mentre il petto si alzava e rialzava convulsamente: la Cagna stava cedendo al panico.

Aveva accanto a sé tanti di quei soldi... ma non poteva comprare nessuna cura.

Kelly ebbe un sussulto, qualcuno stava salendo le scale.

«Aiuto...», la voce era flebile.

«C’è qualcuno qui?»il nuovo arrivato sembrava avere un buon udito. «Dio mio…», entrato nella camera, si accucciò davanti a lei. «Cosa diavolo è successo?», lo sguardo passava dalla donna al soldato.

«Il padrone... uhhh... è entrato... e mi ha colpito... ohhh...».

«Stavolta Norman ha trovato pane per i suoi denti… a quanto vedo…

«Aiutami… ohhh… ho dei soldi…».

«Sì, certo… e dove…? Qua sotto, magari? Tiri più te che i mustang della Wells Fargo... bella vacchetta... senti la mia baionetta…», era passata dalla padella alla brace.

La Cagna, raccogliendo tutta la rabbia in corpo, decise allora di reagire: quello era un altro scemo, non un onesto farabutto con cui trattare.

SWISH... SZOCK!

Con un sol gesto, fulmineo, rabbioso e disperato, si strappò la baionetta dal petto e gliela conficcò nel collo, uccidendolo quasi sul colpo.

Appena il tempo di vederlo rantolare sulle assi del pavimento.

Ora veniva la parte più difficile…

Che fare di sé stessa?

Era ridotta male.

Aveva tanti soldi, ma non le servivano più.

Arriverò fino al mio cavallo... e ci monterò sopra con 40.000 dollari addosso...

Si accartocciò in avanti e prese a strisciare.

Si infilò il suo camicione a quadri, allacciando un solo bottone: era lungo e la copriva fino alle cosce. Gli stivali erano vecchi e comodi, entrarono quasi da soli.

L'essenziale c'era.

Con una mano si portava dietro la bisaccia, con l’altra - protesa in avanti - si aggrappava al pavimento come stesse arrampicandosi su per una parete; la vista andava e veniva, annebbiata dallo sforzo e dal sudore; le gambe spingevano rabbiose il corpo, la Madison strisciava a mascelle serrate; dietro di lei, una scia di sangue e morte.

Sono quasi sulle scale, la salita sta per finire...

La testa, però, le diventava sempre più pesante, la strada più in salita ancora.

Dannazione... no! Sono troppo bella per morire...

«Norman…! Norman… vecchio pazzo! Dove ti sei cacciato?».

Il bounty-killer salì le scale. Era sulla pista di un assassino e cercava qualche ora di riposo.

«E tu chi cazzo sei…?!», vide la donna sul pavimento, seguita da una scia di sangue.

Estrasse la pistola, forse l’assassino era ancora vicino.

Un’altra pista da seguire?

O la fine della pista?

Seguì il sangue ed entrò nella camera da bagno.

Trovò Norman Bates vestito di grigio.

In compagnia di un altro cadavere.

Tornò dalla donna, quelli erano stecchiti, lei aveva dei sussulti.

La faccia premuta contro le assi del pavimento, gli occhi vitrei e spaventati: si stava arrendendo.

La voltò supina e le diede da bere.

Poi notò gli stivali.

Mai vista una cosa del genere.

Una camicia e un paio di stivali.

E diverse bisacce, tutte gonfie.

Un caso singolare.

Questo tipo è la mia ultima possibilità... gli farò fare quello che voglio io...

La cura rapida a base di alcol funzionò, perché la Madison riuscì a parlare...

«Aiutami… mettimi sul mio cavallo… ohhh… verso il Messico… ohhh…», la voce stirata e dolente.

«Che cosa…? Così... mezza nuda… e mezza morta...?».

«Così… fai presto…».

«Tu sei pazza, donna.

Come ti chiami?».

«Sono la Cagna…».

«La Cagna!?

Ora capisco...

Come vuoi, ti metto sul tuo cavallo».

La sollevò da terra, prendendo anche la bisaccia, e mantenne la parola.

Kelly Madison fu caricata sul suo cavallo, mezza nuda e mezza morta.

Le mise sulla spalle una coperta e l'accompagnò fuori città, sulla pista per il Messico.

«Su che pista indaghi... cough...».

«Hanno ritrovato diversi cadaveri di donna in una miniera abbandonata non lontana da Tucson. Pare che il corpo più stagionato fosse lì da circa tre anni».

«Dalla fine della guerra...».

«Che guerra? Che c'entra la guerra? I cadaveri più recenti sono freschi di poche settimane».

Vorrebbe farlo contento e fargli incassare qualche soldo. Ma la Cagna ha altri progetti per lui.

«Addio... cough...».

«Addio...».

E la vide allontanarsi nel crepuscolo.

Si reggeva a stento sulla sella, piegata in due, mezza nuda e mezza morta.

Avrei potuto seminare cento dollari nel vento...

Ha detto di essere la Cagna...

Ma quel babbeo verrà gratis...

Cristo, è la Cagna!

Fu così che il bounty-killer spronò il cavallo e seguì la pista.

PALLOTTOLA ASSASSINA

di Salvatore Conte (2024)

«Sei assunto, Jack».

Tre parole per un incarico da 100.000 dollari.

Jack Thunder, investigatore privato a Los Angeles, deve recuperare due milioni di dollari sottratti all’Organizzazione in un colpo troppo fortunato.

Sembra la trama di “Charley Varrick”, ma certe cose avvengono sul serio.

Jack è affiancato da Kelly Madison, una super-puttana col colpo sempre in canna.

Di lei si dice che spari sempre due volte. Per essere sicura. E che usi pallottole scamiciate. Per essere sicura due volte.

Il due è comunque il suo numero: due tette così, infatti, non si dimenticano facilmente, sono un marchio di fabbrica.

I due soci alloggiano presso il motel di Jane Frexhi.

50 anni suonati, 20 chili di troppo addosso, ma ancora una bella donna, nel complesso; il grasso in eccesso la rende più vecchia di quello che è; d'altra parte si sa che invecchiare è un’arte ed evidentemente Jane non è un’artista.
Meglio invecchiare male che non invecchiare affatto: sarebbe questa la risposta della Frexhi: cinica, subdola e disposta a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi, incluso uccidere.

Il mitico camicione rosa - famoso nel giro - a scenderle sui larghi fianchi, quasi a filo della gonna: è così che si presenta a Jack Thunder; come la classica signora ingrassata che indossa capi larghi e di una taglia in più per cercare di nascondere i chili di troppo, anche se ben spalmati su una carrozzeria di tutto rispetto; la Frexhi compensa tutto con la profonda scollatura della camicia, che scende invitante fino al quarto bottone; è sempre ambiziosa, sempre prepotente, nonostante le tette flaccide e pesantemente allungate, perché le sue sanno ancora ammaliare, il segreto sta nel saperle portare bene, da grossa puttana.

E a lei riesce spontaneo.

Thunder è colpito, c’è qualcosa che gli sfugge, ma capisce subito di trovarsi di fronte a un grosso donnone.

Tra una fase e l'altra dell'indagine, il detective e la Frexhi si incontrano, fanno sesso senza tariffa, benché vi siano pollastrelle molto più giovani negli immediati paraggi.

Anche la Madison è lasciata in disparte, nonostante il corpo esplosivo e l’età adatta a lui.

«Cerca di non farti ammazzare, Jack. Il tuo cazzo mi piace».

«Tu bada a te stessa, io so come fare per rimanere vivo».

«Anche io lo so. Sono protetta. Nessuno oserebbe toccarmi».

«Meglio non sentirsi troppo sicuri, Jane».

«Ti preoccupi per me?

Stiamo solo giocando un po’, Jack».

«Però è un bel gioco, pupa», e la zittisce con un bacio.

A volte le cose sono semplici e grossolane.

Ma funzionano.

Thunder e Jane stanno funzionando da un paio di mesi, un’eternità in certi ambienti.

L’indagine procede a rilento, loro sempre più spediti.

«Che cosa ci trovi in quella troia?», gli domanda un giorno la bella Kelly.

«Veramente non mi fa pagare un centesimo».

«Questo lo credi tu...

È troppo vecchia per te e c’è qualcosa in lei che non mi piace.

È già grossa come un bisonte, e fra non molto sarà da buttare, fidati di me».

«Penso tu abbia ragione, ma è il presente che conta.

E poi... il bisonte americano è uno dei nostri simboli».

«Il presente ha tante facce, playboy...», e si allenta la maglietta, come fa Jane con le sue camicette, per poi scalare la marcia e scartare sulla corsia opposta, mettendo a segno un sorpasso azzardato.

«A te piacciono i sorpassi e le auto nuove, Kelly, ma spesso una vecchia carrozzeria è più bella dell’ultimo modello. In fatto di auto, sono un nostalgico. Vuoi mettere una Ford Gran Torino del ‘74 con la robaccia che va in giro oggi?

L’automobile è in crisi a causa di un design senz'anima, gli automobilisti hanno più anima dei costruttori e non vogliono comfort, plastica e linee conformi, ma rumore, ferro e pezzi unici».

«Sarà pure come dici tu, Jack... ma le vecchie macchine si rompono molto più facilmente di quelle nuove...».

Questa sera la vecchia Frexhi è su di giri.

Tra i suoi amanti ci sono i boss dell'Organizzazione; ne ha appena servito uno.

Nonostante l’età non più giovane, i fianchi larghi e la cellulite, è sempre molto ricercata e si concede solo ai più potenti.

«Ehi, Jack, sono libera, tu che fai?», lo vede uscire dalla vettura guidata da Kelly Madison.

«Ho finito anch’io, dove ce ne andiamo, bella?».

«Scarrozzami un po’, okay?».

«Okay».

«E se ti portassi via con me?», le chiede, dopo un paio di curve.

«Dove?», sorridendo sorniona.

«Dove cazzo ci pare».

«Ho qualche anno più di te, Jack. Penso troppi.

Sono vicina alla pensione, tu invece sei nel pieno della carriera».

«Donne come te non invecchiano mai, Jane.

Invecchierò prima io».

«Comunque voglio un uomo con tanti soldi. Tu ce li hai?».

«Ne ho abbastanza.

E ho anche altro...».

«Quello ce l’hanno tutti, Jack...».

«Anche due tette ce l’hanno tutte».

«Non mi staresti appresso, se la cosa fosse così banale.

Tu cerchi qualcosa di speciale.

E io ce l’ho. Anzi lo sono.

Tira fuori il grano... e potrei pensarci...», se la tira ancora parecchio, certo non pecca di autostima.

«Voglia di ritirarti?».

«Voglia di fare la signora».

«Ne possiamo parlare, Jane. Con questa indagine potrei incassare 100.000 dollari».

«Centomila...?», quasi le viene da ridere. «Pensa a chi s'è fottuto i due milioni, piuttosto...».

«Tu come lo sai?».

«I boss sono miei intimi, l'hai scordato?».

«Dunque te la faresti con uno che ha fregato l'Organizzazione?».

«Non ho detto questo. Ma la cifra è quella...

Entra nel bosco, adesso.

Voglio farmi scopare a sangue sul sedile».

L’auto si ferma poco dopo.

«Avanti, ho voglia di sentire il mio corpo trafitto…

Avanti, Jack! Fallo, per dio!».

La sera dopo, la prestante cinquantaduenne ha bevuto. Le capita ormai troppo spesso.

L’alcol, come si sa, accende gli animi oltre il necessario.

Una lite per un pacchettino di droga fra Kelly e Jane, con Jack in disparte.

«Avevo detto 10.000 dollari, non uno di meno!», la Frexhi non fa sconti.

«È roba che fa schifo, ne vale a malapena 2.000», le parti sono lontane.

«Se non tiri fuori i soldi, biondona del cazzo, rimetti la roba sul tavolo e te ne vai, capito?».

«Ehi, mignottona, chi ti credi di essere?».

«Brutta carogna...», è un attimo, Jane mette la mano nella borsetta ed estrae il suo revolver a canna corta.

BANG

La Frexhi viene raggiunta in pieno stomaco, la pistola le sfugge dalle mani.

Kelly ha fatto fuoco!

Si teneva pronta a farlo, e l'ha fatto.

Si era ripromessa di scavarle la fossa con le proprie mani, o più tecnicamente con i propri stivali, e sembra che comincerà a scavare molto presto.

«Cristo!», l’imprecazione di Jack.

La Frexhi "di colpo" sembra invecchiata di altri 20 anni.

Jane, senza un grido, barcolla all’indietro e finisce seduta sulla poltroncina senza nemmeno accorgersene, le braccia lungo i braccioli, in posizione impeccabile.

Unica nota stonata, la poltiglia scarlatta sulla camicetta da puttanone.

L’espressione della Frexhi è sbigottita, l’incredulità ha ancora la prevalenza sul panico.

Lei, la scaltra mignottona che si considerava intoccabile, è stata beccata in pieno.

«Fermati! Mettila via!», tuona Jack Thunder, temendo il secondo colpo di Kelly.

«Non avresti mai dovuto tirarla fuori, Jane», la rimprovera tagliente la Madison, abbassando la pistola.

«Non dirmi che...».

«È una pallottola scamiciata, Jack.

Per lei è l'ideale... altrimenti come lo spaventi un bisonte?».

«Così l'hai ammazzata...!», impreca.

«Ma che dici... una puttana del genere non l'ha nemmeno sentita.

E poi questa troia stava per spararmi, l'hai visto...».

La Frexhi è impietrita, bloccata in una tragica meraviglia, che si va accompagnando a un oppressivo senso di paura, allarme e sconforto; in una parola: panico.

Non ha il coraggio di guardarsi la poltiglia.

Jane Frexhi guarda fisso davanti a sé, cercando di ignorare il suo destino.

«Vattene ora, a lei penso io».

«È meglio se vieni anche tu. Chiameranno loro un’ambulanza...».

«Aspettami fuori».

«D’accordo, ma non metterci molto».

Thunder prende una mano a Jane e mette a fuoco la ferita: è tipicamente slabbrata per effetto di un proiettile a espansione, concepito per allargarsi in volo e trivellare l'interno del bersaglio, portando - se non alla morte immediata - al decesso per dissanguamento in un periodo più o meno breve.

Fu inventato da un ufficiale inglese, di stanza in India, che si era stancato di dover ammazzare sempre i soliti ribelli. Gli indiani avevano la pelle dura, si tappavano i buchi e ricominciavano. Con la scamiciatura del proiettile, invece, le loro ferite risultavano incurabili.

Quando, però, anche i soldati inglesi risultarono incurabili per lo stesso ordine di motivi, una convenzione internazionale dichiarò vietata detta scamiciatura; rimaneva consentita solo nella caccia grossa.

«Ho… sbagliato… vero…?», la scamiciata Frexhi continua a guardare dritto, ma ha percepito gli occhi di Jack su di sé.

«Sì, hai sbagliato a prenderti questa pallottola».

Le replica della prestante cinquantenne non arriva.

La Frexhi sembra seduta all'interno di un surreale veicolo diretto all’inferno: le mani che stringono decise le estremità dei braccioli, lo sguardo attento alla strada che scorre davanti, gli stivali che premono sui pedali, soprattutto quello del freno.

Entrano un paio di scagnozzi, richiamati dallo sparo.

«Che cazzo succede qui...?!».

«È stato… un incidente…», la Frexhi minimizza.

«Chiamo io un’ambulanza...», anche Jack li tranquillizza.

Se ne vanno e lui le parla.

«Che cosa vuoi che faccia, Jane?», Jack va dritto al punto.

Proprio in quel mentre, un fiotto di sangue erutta dalla bocca semiaperta del donnone.

«Cristo… posso… ancora salvarmi… vero…?».

«Certo».

«Allora… chiama subito… una fottuta... ambulanza… Cristo…».

BEEP

BEEP

Due colpi di clacson. È Kelly.

«Devo andare, Jane.

L'ambulanza sta arrivando, ti raggiungo più tardi all’ospedale…».

«No… aspetta… con me…».

«Non è igienico per me farmi trovare qui, Jane; dovresti capirlo».

Ed esce dalla camera, dopo un ultimo sguardo alla sua amante, inchiodata alla poltrona con il camicione rosa zuppo del proprio sangue.

«Era ora… stavo per andarmene...».

«Dannazione… non posso...».

E torna sui propri passi, lasciando aperto lo sportello.

«Idiota…».

SKREEE…

Una ripartenza a razzo, con lo sportello che si richiude da sé.

«Jack… sei tornato…».

La ritrova come l’aveva lasciata, e le riprende la mano.

Aggrappata ai braccioli, a spingere sul freno, faccia tirata e petto che si solleva pesante.

E occhi che guardano lontano, assorti da una strada maledetta.

«L’ambulanza sta arrivando, Jane».

«Perché… sei tornato…».

«Non lo so».

«Jack... prendimi... la mano...».

È una maschera di cera, il petto si solleva con grande pesantezza.

«In ospedale ti cureranno, Jane».

«Jack... te li ricordi… i nostri progetti…», con lo sguardo perso in un futuro che non c’è.

Ha le labbra viola e la lingua arricciata sotto il palato, si sforza di mantenere una parvenza di calma e autocontrollo.

«Certo... tu sarai la mia donna, Jane».

«Sì... io… io…», la frase rimane un progetto, il braccio le cade largo a penzoloni.

La Frexhi si sta sfaldando.

«Jane!», Jack va a recuperare il braccio e ci mette sopra l'altra mano.

Ma non è finita.

Il petto è pesantemente affossato, tutto sulla pancia; sembra respirare dall'ombelico.

«Che cazzo fai, Jane!».

UEEE…

UEEE…

L’ambulanza arriva in questo momento.

Ma nella camera non entra nessuno.

Riparte senza carico.

Un falso allarme.

Almeno secondo gli scagnozzi.

Il boss non vuole problemi.

«Spiacente, Jack, ma devi portarla via tu.

E farla sparire.

Sono gli ordini del capo».

Thunder non si mette a discutere, sarebbe peggio.

«Ti porto io in ospedale», una volta caricata in auto la bambola.

«E così... i boss... mi hanno... scaricato...».

«Non vogliono problemi, lo sai come funziona...».

«Bastardi...».

Dopo un po' si ferma presso un cimitero di vecchie auto, in attesa da decenni di una pressa.

«Ehi... Jack... qui non siamo... all'ospedale...».

«Non posso mettermi contro i boss, Jane.

Dovresti capirlo.

Dentro uno di questi vecchi cofani, starai larga come una papessa.

Vuoi aspettare il momento... o prendere una scorciatoia?».

«Lo sapevo... che mi fregavi... tutti uguali... gli uomini...

Aspetta... però... non ci vorrà molto...».

«Come vuoi».

«Sapevo che non saresti riuscito a farlo...», Kelly fa la sua sorprendente entrata in scena. «Di questo passo è più facile che muoia sotto la pressa...».

Si è fatta avanti con pistola spianata e silenziatore innestato, e adesso punta decisa sul lato del passeggero.

«Devo sempre aiutarti io...».
«Aspetta... non le manca molto...
».

Quasi infastidita da tanta cocciutaggine, Kelly Madison gli fa sbrigativamente cenno col capo di lasciare l'auto.

«Addio, Jane», le infila la testa nella camicetta sbottonata e le bacia il seno, mentre con la mano le sfiora la coscia destra.

Jack si allontana rassegnato, spalle alla macchina.

«Ecco perché sparo sempre due volte.

Per non rimetterci mano», la spiegazione di Kelly è ineccepibile.

POW
È finita.

THUD

Un corpo che stramazza a terra.

È finita.

Intontito com'è, non sembra dare molta importanza al fatto che la Madison montasse un silenziatore, quando invece il colpo è esploso.
L'avrà tolto. La zona è quasi isolata.

D'altra parte non ha sentito aprire lo sportello.

Come ha fatto Jane a rovesciarsi a terra?

Istintivamente mette mano alla pistola.

Non si sa mai.

«Kelly!».

Non la vede.

Guardingo, gira dietro la macchina, e vede la biondona riversa a terra!

«Jane!», è ancora viva. «Stavolta hai vinto tu».

«Controlla... se è morta...».

Thunder si china su Kelly e la rivolta supina.

Ha un grosso buco nel petto, sul polmone destro.

«La tua puttana... mi ha fottuto...», la biondona sputa più sangue che veleno.

«Sta morendo», è la risposta per la Frexhi.

«Ammazzala...».

«Andiamo, Jane... è in fin di vita... neanche tu vuoi che finisca così».

«Va bene... ma sbrigati... mettila dietro...».

«Sapevo... che sarebbe venuta... la stavo... aspettando...», Jane soddisfa subito la curiosità di Jack, appena questi si rimette alla guida, al suo fianco.

«Ma il revolver...».

In questo caso gli lascia il tempo di capire da solo.

Se l'è messo in tasca quando Kelly ha suonato il clacson e l'ha chiamato fuori.

L'unico momento in cui è rimasta sola.

Il camicione lungo e la poltiglia sanguinolenta hanno fatto il resto.

Se ne era accorto quando l'aveva caricata in auto.

«Adesso... decidi...

Nell'affare... dei due milioni... ci sono dentro io...

Ho commissionato il colpo... a uno dei miei... uno che mi sbava sopra... più di te...
L'informazione... è uscita da un boss... mentre mi fotteva...
».

A momenti gli casca il labbro.

Questa non se l'aspettava.

«Dove devo portarti?».
Kelly Madison aveva ragione: la sua pallottola non l'ha nemmeno sentita.

Gli dà l'indirizzo, poi si volta dietro.

«Devi premere... sul buco... o schizzi all’inferno...».
«Non ho... il tuo fisicaccio... Jane... io... ci lascio la pelle...».
«Come… la grande Kelly... è in difficoltà…».

«Dai... facciamo pace... finché... siamo in tempo… siamo... due belle puttane... anche grassa... sei bella... mi sbagliavo... su di te…».

«Okay... ne usciamo fuori insieme... Kelly...», e le allunga la mano lorda di sangue, spostandosi di fianco sul sedile.
«Jane... non voglio morire... aiutami…», con voce allarmata, cambiando registro.

«Jack... accelera... o schizzo all'inferno anch'io... appresso a questa puttana...», gli occhi che incrociano quelli della biondona, le mani allacciate e il marchio del sangue a suggellare il patto.

CAVALCATA CON IL MORTO

di Salvatore Conte (2024)

Non posso negare che sia ansioso di rivederla.

Layla Gallego è ancora una bella puttana, ha saputo invecchiare.

Arrogante e in costante ascesa, adesso lavora per la Spectre; ha più di cinquant'anni, ma si difende bene.

Ci abbiamo anche provato, ma non ha funzionato.

L’appuntamento è alla vecchia miniera.

Parto subito svantaggiato: lei si è portata uno scagnozzo.

E si fa anche aprire lo sportello: Layla si tratta sempre meglio.

Anziché coprirsi, più passa il tempo e più si allenta: adesso è arrivata al quarto bottone... la sua camicia sbottonata fino allo stomaco è uno spettacolo.... soprattutto perché dentro c'è lei: una grossa puttana, potente e piena di grasso.

«Avevamo detto solo io te».

«Cos’è? Sei geloso?

Hai portato il grano?».

«È nella macchina», accenno a rientrare nell’abitacolo.

«Non scomodarti… ci penserà lui…

Controlla».

BANG

BANG

Appena le volta le spalle, estrae la beretta da dietro la schiena e lo fulmina.

«Che significa?».

«Ero stanca di lui.

Darò la colpa a te.

Eri geloso.

Un colpo di testa.

Getta l’artiglieria a terra, avanti. Ma niente scherzi, o mi libero anche di te».

«E va bene…

Pensi di cavartela?

Sto acquistando per conto del Senatore, lo sai».

«Lo so».

Si avvicina.

Sulla punta della canna, ancora fumante, mi spinge indietro fino al paraurti della mia macchina.

Con l’altro braccio, mi sdraia di schiena sul cofano.

Non è poi così forte, ma sono curioso e non esito a collaborare.

«Prendimi...», la camiciona è già allentata, e non c'è traccia di reggiseno, Layla è pronta all'uso.

Mi conviene starci. Almeno sarà una bella morte.

Mi tira giù i pantaloni e si serve da sola, con la canna pressata nel fianco.

Io l'aiuto a montare in groppa.

«Non mi deludere…», e con un colpo di tacchi sul cofano della mia Mustang, a mo’ di speroni, sprona la bestia e inizia la cavalcata. «Forza, Sal!».

Il suo sguardo sopra di me a un alito dal mio, ed è questo - più dei morti che si porta dietro - che mi fa capire con chi mi ero messo.

Con il demonio.

E non è facile liberarsene.

Il suo ipocrita atteggiamento da bonacciona nasconde il morso di una vipera assassina.

Su e giù sopra di me e noi due sopra il cofano, le anche temprate che spingono dentro e fuori il mio grosso pistone, con la lamiera che si avvalla sotto il peso dei nostri corpi e della sua libidine incattivita.

«Ohh... godo... e ti faccio fuori...», da come sta gemendo penso di avere i secondi contati. «Fottutissimo… bastardo... vengo... oh... vengo... ohhh...».

Sento la canna della pistola premere sul fianco: il tempo è scaduto.

Un pallino rosso alla base del collo, ma è troppo presa per accorgersene.

Faccio appena in tempo ad alzarla leggermente, con un’impennata del cazzo.

ZING

Il colpo è arrivato, ma nel petto.

Infatti è ancora viva.

«Uhhh!

Cosa... cazzo...».

La pistola scivola via come una saponetta, ma le sue braccia piantate su di me continuano a sostenerla, come stesse ancora scopandomi.

Con l'unica differenza che adesso lo sta facendo senza più muoversi.

Sono io che lo faccio...

«Layla...», ha un grosso buco in pieno petto, tra i lembi della camicia sbottonata.

«S…a…l…», risponde dall’inferno, con la sua ultima bolla d'aria.

Ma il cavallo è ormai lanciato al galoppo.

Me la tengo addosso, rigida come un cadavere.

La signora Gallego mi guarda con occhi vitrei, ma sembra godere anche lei.

«Layla… è stato come ai bei tempi...».

Io sono arrivato, lei pure.

Possiamo sganciarci.

Ma non è una cosa semplice.

Mi sforzo per alzarmi da quella posizione e provo a staccarmi di dosso la signora, che è diventata più pesante e immobile di una statua equestre: non vuole proprio saperne di separarsi da me.

Riesco finalmente a buttarla fuori e per inerzia se ne scivola all'indietro lungo il cofano, tocca quasi terra e finalmente allarga le braccia, disarcionata dalla Mustang.

Per un attimo cerca ancora di reagire, sfiorando il paraurti, inseguendo un appiglio, ma è solo un sussulto.

Per Layla non c'è scampo, il collo si allunga all'indietro, gli occhi spalancati, il volto tirato, reso spettrale dai fari e dalla morte.

Layla Gallego è morta crepata.

Un grosso buco nel petto, la camicia sbottonata, e la fica bagnata.

Con le spalle tocca terra e si stabilizza, almeno nella posizione. Ma ormai è cadavere.

«Ma quanto c’hai messo?», chiedo a Kelly, la mia socia.

«Tu quanto c’hai messo!».

«Non siete mai contente…

Cazzo, potevi beccarla alla spalla…».

«Non l'avrebbe nemmeno sentita.

Hai ancora dei rimpianti?

Prendo la roba».

Si illude, Layla non ha portato niente con sé.

Voleva fregarsi i soldi e basta, accollando tutto a un mio colpo di testa.

Ne approfitto per darle un’occhiata.

Guarda fisso la luna, la romanticona.

Le metto due dita sul collo.

«È morta, non vedi?

Le volevo staccare la testa, come ai serpenti, ma s'è mossa all'ultimo momento».

Non ho il coraggio di dirle la verità.

«Per un po' Layla è stata la mia signora...».

«Quella?! Non farmi ridere... era solo una puttana; di grossa cilindrata, certo; ma solo una puttana.

E stava per fregarti...

Non c’è un cazzo qua dentro!

Che mignotta...

Allora, Sal: facciamo sparire i cadaveri nella miniera? Non li troveranno mai».

Me la guardo, e sono tuttora incredulo.

La potente Layla Gallego... uccisa?!

La bocca da pesce morto non lascia molti dubbi: la signora mi ha lasciato.

Li portiamo a braccia dentro la miniera.

C'è ancora un vecchio carrello su rotaia.

Li buttiamo là dentro.

Lui sotto e lei sopra.

Ma non credo gli verrà duro.

È finita.

«Addio, Layla…», e spingo il carrello per la leggera discesa, facendogli acquistare velocità: è arrugginito, ma ancora funzionante.

Non so fino a dove arrivi. Di sicuro all’inferno. Il posto giusto per lei.

«Ora non pensarci più», mi dice Kelly.

Accendo una sigaretta.

Neanche un paio di boccate e le viscere della terra rimbombano…

L’eco ha amplificato il rumore: sembrava un treno.

Il carrello è arrivato al capolinea.

E anche la signora.

«Possiamo andare…», getto il mozzicone a terra.

«S…A…L…!».

Io e Kelly ci guardiamo interdetti.

Se l’ha sentito anche lei, non è frutto della mia suggestione.

«Ma l'ho centrata…», appare delusa.

«Ascolta, Kelly… riporta alla base la Mustang».

«Tu che vuoi fare?».

Non ho il coraggio di guardarla.

«Vuoi scherzare?

Chi vuoi che la senta?

Tra poco sarà tutto finito».

È per questo che comincio a correre.

In tasca ho sempre una mini-torcia.

L'urto deve averla rianimata; anche se è una grande stronza, non posso farla morire da sola e al buio.

«Stupido idiota…!».

Meglio togliersi in fretta dalla linea di tiro della mia socia.

«S…A…L…!», Layla continua a chiamare, da lì non può muoversi, se continuo a seguire le rotaie devo trovarla per forza.

È decisamente su un binario morto.

«Layla! Sto arrivando!».

Ma dove si è cacciata…

Quanto è profondo questo inferno?

«Layla!», ci sono.

Le illumino il volto: primo piano sulla morte.

Bocca semiaperta, impastata di sangue; occhi che vagano assenti nel buio.

«Sal…», mormora basso, ha capito che sono arrivato; qualcosa vede, qualcosa sente.

«Layla… non parlare…», la ferita si è quasi coagulata.

«Anche tu… non eri solo…

È un uomo… o una donna…».

«È un uomo».

Scuote lievemente il capo, non se la beve.

«Un uomo… non m’avrebbe… ammazzato…».

È sempre stata in gamba, la mia Layla...

«Dimmi una cosa, tesoro...

Sei venuta anche con il buco nel petto, vero?».

«S...ì...», con un lungo sussurro... che mi fa bagnare.

«È stata una tua idea quella di fregarmi?».

«Franck... te lo ricordi...».

«Quel bastardo?».

«È nella Spectre... mi ha ordinato... di... gnhh...».

«Calma... riprendi fiato...».

«Di eliminarti... tu... dovevi sparire… io... presentarmi dal Senatore... illesa... illesa... capisci...», una tragica nota di rimpianto nella voce ansimante.

«M’avresti sparato sul serio, quindi?».

«Non so... avrei deciso... gnhh... in quel momento...».

Probabilmente è sincera, imprevedibile fino in fondo...

«Hai sbagliato tutto, Layla. Franck ti ha mandato a morire. Lui odia tutte le donne, specialmente quelle che io amo o che ho amato. È malato, sia nel corpo che nella psiche. Qualcuno dice sia un rettile shapechanger».

«Sal... ho paura...

Io... io... voglio vivere... gnhh... voglio salvarmi...».

«Layla... dimmi se sei venuta, nonostante il colpo», voglio risentirlo.

«S...ì...», un lungo sussurro da ruffiana... come prima...

«Bevi qualcosa, pupa...», ho sempre con me la mia fiaschetta di whisky, come nei migliori polizieschi. «Sei sempre la migliore, Layla... ti riporto su...».

La risalita è maledettamente complicata.

Per controllarla meglio, l’ho messa con la faccia rivolta verso di me, invertendone la posizione sul vagoncino. Il suo scagnozzo l'ho lasciato all'inferno. Ha finito di godere.

La signora sembra quasi divertirsi.

Alla fine potrei rimanerci secco io.

Sempre che Kelly non sia rimasta su ad aspettarmi, pronta a spararmi.

Comunque dovrebbe mancare poco, lo saprò presto.

«Sal… io... Sal...», mi chiama all’improvviso, con voce languida.

Allarga un braccio e sfiora il bordo argilloso della galleria.

Mi fa quasi rallentare, ma io non mi fermo.

È rimasta con il braccio a penzoloni, la bocca spalancata e gli occhi che mi fissano basiti.

Era arrivata all’ultima curva ancora viva, di questo ne sono certo.

Io continuo a spingere.

E la porto fino al capolinea.

«ANNA…!», le urlo addosso, strattonandola per la camicia.

Faccio esplodere la mia rabbia, tanta fatica per niente?!

No, ha dei sussulti, non è finita.

Sta cercando di parlare...

«È stato... solo... un attimo...

Non... incazzarti... gnhh...».

«Se mi crepi in faccia, sei la solita stronza, Layla».

La carico sulla sua auto e la porto via.

So dove andare.

Uomini come Franck non moriranno mai.

Donne come la Gallego non moriranno mai.

Per questo lo lascerò marcire sulla sua carrozzina.

Intanto mi godrò Layla grazie a lui.

ULTIMA SPIAGGIA

di Salvatore Conte (2024)

«Kelly rimarrà uccisa, ma è troppo presto per seppellirla».
Nella rapina l'ex mercenaria ha preso una pallottola nello stomaco, però nessuno dei due ha il coraggio di finirla.
Perciò se la portano appresso.
Doveva essere l’arma di distrazione della piccola massa presente in banca, e così è stato fino a un certo punto.
Dopo, però, la guardia giurata - cosa abbia giurato non lo sa nessuno - ha pensato bene di intervenire, sparando per prima cosa a lei.
Forse aveva giurato di uccidere una bella donna.
La cosa, comunque, non gli ha certo giovato, poiché la guardia ha preceduto Kelly sulla Porta di Dite.
La Maddox è una biondona sui 50, pesante di seno, con i camicioni sbottonati fino allo stomaco, o la maglietta attillata a maniera.

Non accennava né a invecchiare, né a sfasciarsi, prima della pallottola.

«Quel bastardo… m’ha fottuto…».
L’hai capito anche tu, bella. Di solito le bionde non hanno cervello.
«Stai calma... arriviamo al covo e ti attacchiamo al respiratore: ti sentirai meglio».
«Cristo... perdo troppo sangue...!».
Frana di spalla contro il socio, per farsi commiserare un po’.
Le donne sono fatte così.
Donald e la bella puttana occupano il sedile posteriore.
Angus è alla guida.
«Andiamo… premi sul buco… così… forte... o rimarrai uccisa».
Non sembra fregargliene un cazzo.
Le allaccia le mani sullo stomaco e rimane a guardarla mentre crepa: figura ingobbita, volto pallido, mormorii incoerenti.
È la fine della potente Kelly Maddox.
Lo sa anche lei, e le donne non ci stanno a crepare senza ricevere un po' d'attenzione.
«Non morirò così...», sussurra, prima di inscenare una rabbiosa sfuriata.

La biondona sogna di mettersi in marcia verso la salvezza; a passi decisi; è sempre tracotante, nonostante il buco mortale; ma si sente ricacciata indietro... verso la morte...
«Ferma... ferma...! Non voglio crepare...!», urla disperata, mentre si stacca la mano dallo stomaco e la mette in faccia ad Angus, insanguinata com'è.
«Dannata puttana: stai buona o ti faccio secca», Donald le fa sentire la canna della pistola sul fianco.
«Stronzo...!».
Quel gesto la fa infuriare ancora di più.
«Che vuoi farmi...?», lo strattona, ha ancora birra.
BANG
È partito un colpo!

Kelly strabuzza gli occhi e spalanca la bocca, tragicamente incredula di aver perso ogni influenza su di loro e di aver giocato così male le sue ultime chance.

"NO!", un grido esplode nella sua mente.

È stata eliminata senza tanti riguardi.

Adesso è fottuta sul serio!

Perdendo il controllo, si rovescia all'indietro, sbattendo a peso morto contro la portiera, le braccia inerti lungo i fianchi.
Ora la birra l'ha finita.
La gran puttana è fottuta!
«Ma che cazzo hai fatto?!
L'hai ammazzata!», anche se sembra biasimarlo, Angus ha ormai capito che è giunto il momento di sbarazzarsi di quella troia.
«Era isterica... non volevo farlo...
Adesso dobbiamo scaricarla».
«E dove?
Arriviamo al torrente...».
La strada diventa un ponticello.
Angus fa passare un'auto dal senso opposto.
Non c'è molto traffico, per ora, ma devono far presto.
Scendono e scaricano la bella troia.
Non ha mai esercitato, ma le belle donne, depositarie del potere femminile, vengono chiamate così.
SPLASH

Kelly Maddox è scaricata.

Poco più a valle un pescatore ha lanciato l'amo.
Certo non si aspettava che il pesce fosse così grosso e biondo.
La corrente è leggera, ha il tempo di entrare in acqua e portare a riva il corpo.
Spinge sul petto e le soffia aria in bocca, senza alcun disagio e senza stancarsi, ma con  tanto gusto.

«Hh... ghh...».
Quando ha la certezza che sia ancora viva, si interrompe e cerca di chiamare la polizia; ma la zona è rustica e il cellulare non ha campo.
Allora mette in moto il cervello, ma sembra ingolfato da troppi pensieri.
È una gran bella donna e ha due grossi buchi in pancia: quella visione, troppo fuori da ogni canone, lo sconcerta.
L'afferra sotto le spalle e la trascina fino alla macchina.

Kelly allunga la mano verso di lui.
«Niente ospedale... voglio... solo... crepare... in pace...».
L'ospedale era l'unico punto fermo, nella sua testa.
Se non lì, dove?
La pesca è stata esagerata, il boccone è troppo grosso per lui.
«A casa tua... tu... mi hai raccolto...».
Pescato... sarebbe forse più corretto.
È confuso al punto di darle retta.
Vive solo, in un villino poco distante.
La ricovera sul suo letto a due piazze.
«Che cosa devo fare?», le chiede, riconoscendo la sua sudditanza.

Kelly risponde fissandolo.
«Sì, certo...», conferma l'uomo, cose se avesse ricevuto delle istruzioni.

Gli viene in mente che in bagno ha dell'ovatta.
Le tampona i buchi.
Poi le dà qualcosa da bere, di forte.
«M'hanno mollato... quei bastardi... cough...».
Non gli interessa sapere chi.
La sua attenzione è focalizzata su di lei.
Certo, qualcuno le ha sparato, per determinati motivi.
Ma a che servirebbe conoscere i particolari?
Di fronte a questa donna, bella e con le zinne grosse, mai vista da così vicino, tutto il resto scompare.
Sembra più sotto shock lui, che non lei.

«Ho un'amica che fa l'infermiera. È brava. E terrà la bocca chiusa.

La chiamo?».

Kelly annuisce.
«Mi serve... ossigeno... cough...».
«Sì, certo, le dirò di portarlo».
«Presto... ho poco tempo...», l'ha lusingata e ora ha ripreso a sognare.

Con la maschera in faccia va decisamente meglio.
Dopo aver acceso la tv, non ci vuole molto a capire chi sia, tanto più che ha agito a volto scoperto, per la solita storia della distrazione di massa.
«Non m'importa sapere quello che hai fatto.
Anche Layla la pensa così.
Il destino ti ha portato.
E il destino non sbaglia.
Ubbidirò ai tuoi ordini».
«Come ti chiami...».
«Fred».
«Sono fottuta... Fred...», detto questo, si stira addosso il camicione a quadri, già appesantito dal grosso seno.

La Maddox muove la lingua, Fred capisce subito, come un cane, d'istinto, gli ordini del padrone.
Le lecca le zinne, a lei piace.
La Maddox se la stira tutta, fino alla fine.

Sta tremando, l'infermiera l'ha coperta e guarda allusivamente Fred, scuotendo furtivamente il capo.

«A...c...q...u...a...».

Le bestie hanno sete quando muoiono. La flebo non basta.

Ma non riesce nemmeno a bere.

L'acqua si versa ai lati della bocca.

Niente da fare per la gran puttana.

«Era ancora viva quando l'abbiamo gettata?», domanda Angus.

«Che importanza ha?».

«Abbiamo controllato se è andata a fondo?».

«Non c'è stato il tempo di ricamarci sopra, Angus, lo sai».

Stanno ascoltando l'autoradio, sono ancora in fuga, vogliono allontanarsi.

«Non parlano del cadavere di Kelly...».

«Quella zona è poco abitata e poi il torrente è abbastanza profondo».

«Sono rimasti a quand'era ferita. Stanno controllando gli ospedali. Imbecilli».

«Dovrebbero controllare i torrenti...», sussurra divertito Donald.

«Il corpo non è stato ritrovato».

«Che importanza ha?».

«Fai sempre le stesse domande».

«Per forza, tu non rispondi...».

Non lo fa nemmeno questa volta, qualcosa lo rode.

«Era una bella puttana», è una mezza risposta.

«Vero.

Lo sai con questi soldi quante ne possiamo avere?», scuote il sacco, per farglielo capire meglio.

«Come lei?».

«Più o meno come lei».

«Ne dubito».

«Parli come un innamorato.

Se ci tenevi tanto, perché non gliel'hai mai detto?».

Già... perché...

SCREEEK...

La macchina inchioda le gomme.

Colto alla sprovvista, Donald sbatte contro il sedile anteriore e rimbalza indietro.

BANG

Angus ha tutto il tempo di estrarre e sparare.

BANG

BANG

E di finirlo.

Entra in una stradina laterale e lo scarica in un fosso.

L'ha vendicata.

Ora deve fare i conti con sé stesso.

Rimonta in macchina e torna indietro, accettando il rischio.

La lascia vicino al ponticello e cammina lungo la sponda.

Se non è affondata, qualcuno a valle potrebbe averla vista, oppure potrebbe essersi arenata sulla riva.

Sulla sponda ci sono un paio di pescatori. In questo tratto il torrente ha formato una spiaggetta.

Angus fa qualche domanda.

Uno non sa niente, è lì da poco.

«Però Fred di solito viene a pescare prima di me», si è voltato verso l'altro.

«Salve, Fred. Il suo amico mi ha detto che lei è qui da un po'».

«Io...?!», non è certo il tipo che sa mantenere il sangue freddo.

È tornato perché non reggeva la tensione. Ha lasciato Kelly a Layla.

Non essendoci campo telefonico, non può neppure essere avvisato, se la situazione precipita.

«Qualcosa non va, amico?».

«Joseph è un chiacchierone. Io sono qui da poco».

«È esattamente quello che ha detto, infatti...».

Lo tira su di peso e lo trascina dietro un arbusto, tenendo un occhio su Joseph, nel caso si allarmasse.

«Parla, o t'ammazzo...», la voce, fredda e decisa, è più minacciosa di un'arma.

«Sta morendo... lasciatela in pace...».

Morendo?

«Ma di chi parli?».

«Io...».

«Descrivila!».

«È molto bella...».

«È la più bella donna che tu abbia visto?», tanto per tagliare la testa al toro.

Annuisce.

È lei.

Angus cambia atteggiamento.

«Io non voglio farle del male.

Se l'hai aiutata, sei stato bravo.

L'hai vista e l'hai tirata fuori dall'acqua, vero?».

Annuisce.

«E non hai chiamato un'ambulanza?».

Scuote il capo.

«Quindi l'hai presa e portata dove?

Come stava, Cristo!?», gli parte uno sclero.

«Stava male. L'ho portata in un posto e ho chiamato un'amica che fa l'infermiera».

«Quale posto?».

È indeciso.

«Avanti... ho fatto il colpo con lei e se la cerco è per aiutarla.

Ho io i soldi...», gli mostra una mazzetta. «Sei stato bravo finora. Hai fatto le cose giuste».

«Sta molto male... è a casa mia».

«Andiamo... non perdiamo tempo.

Tranquillizza il tuo amico».

La ritrova attaccata alla maschera dell'ossigeno.

Qualcosa gli diceva che forse era ancora viva.

«Posso parlarle?».

«Solo pochi minuti».

Annuisce.

L'infermiera la stacca.

Le prende la mano per tranquillizzarla.

«Mi dispiace, Kelly. Pensavo fosse finita. Ho perso la testa.

Ma io stavo guidando, la cazzata l'ha fatta Donald e gliel'ho fatta pagare cara...».

«Okay... acqua passata... che facciamo... cough... la grana ce l'hai tu...».

«Certo... abbiamo il gioco in mano.

Pensi di riuscire a gestirti?».

«Certo... non sono una stupida...».

«Lui l'ammazzo subito e l'infermiera la blocchiamo qui.

Ti va bene?».

«No... la cercherebbero... cough...

È una bella donna... stai attento...».

«Ora basta, mi dispiace», l'infermiera è rientrata.

Le applica la maschera e le somministra un leggero sedativo.

«Cos'è quello?», Angus si riferisce al contenuto della flebo; sembra plasma, ma presenta filamenti verdi.

«È sangue sintetico, a viscosità relativa. Se la pressione scende - a causa di un'emorragia, per esempio - diventa quasi solido, riducendo al minimo la perdita.

Me lo fornisce un amico. Anni addietro faceva il medico.

Ma nessuno ne sa niente».

«Tranquilla, io so tenere la bocca chiusa. E tu?».

«Anch'io. Specie se arriva una bella mancia.

E qualche gratifica...», Layla si allenta l'impermeabile: sotto non ha niente, a parte due belle zinne.

Angus ne approfitta subito.

«Bocca chiusa, capito?».

Layla ha gettato l'amo ed è soddisfatta della pesca.

Un socio è morto, può rimpiazzarlo lei.

«E di Fred che ne facciamo?».

Angus ha già capito.

«Ha un debole per me, lo controllo io».

«Ci sono problemi con Kelly?».

«Massima allerta, ma può farcela».

«Va bene, Layla, la terza quota è tua.

Se la riporti a riva, te la sei guadagnata».

LA MORTE CENA AL DINER

di Salvatore Conte (2024)

«Lo sai come tiro avanti, Jack...

Faccio la zoccola e giro un po' di roba. Ma non la taglio io...

Se qualcuno ci rimette la buccia, non è colpa mia».

«Posso anche crederti, ma il padre della figliola è incazzato nero e bisogna dargli qualcosa da masticare».

«Ho capito, la solita storia. Farò qualche domanda in giro...».

«Sì, ma con cautela. Non mi va di ritrovarti in una stanza d'albergo con le budella di fuori».

«Lo vedi allora che tu ci tieni a me?

Se mi mettessi gli occhi d'addosso... io la farei finita con questa vita...».

«Layla... hai venti anni più di me...».

«Dieci... ma non sono finita e prometto di invecchiare bene».

«Se è solo per questo, la promessa l'hai già mantenuta... sei una vecchia stronza spompata... ma di serie A...».

«E allora... che aspetti?

Con la camicia sbottonata non sembro tanto più vecchia di te».

«Vacci piano con i bottoni, Layla. Non si parla bene di te. Hai troppi anni per fare la strappona.

E questa collana d'oro finto da mignottona, che sbatti in faccia a tutti per non passare inosservata, potrebbe costarti la pelle, prima o poi...».

«Ho una pistola nella borsetta, cocco mio...».

«A quanto sei arrivata?».

«Di cosa?».

«Di anni».

«A 58».

«Come no... sul groppone nei hai 72, cocca mia...

Ti controllo, lo sai...

E quel problema al fegato?».

«È lento, lo tengo sotto controllo».

«Dicono tutti così, Layla...».

«Ma guarda quanto fai lo stronzo...».

«Hai il collo bovino da vecchia mignotta, Layla...

Anche quando fai la vaga con occhiali scuri da quarantenne...».

«La roba buona non invecchia mai...

Pagati la birra e il panino da piedipiatti di serie B...».

Gli sbatte in faccia 10 dollari e alza i tacchi.

È sempre una grande stronza, oltre che una gran fica.

Non c'è molta gente al Neon Diner, tana di piccoli spacciatori e prostitute di un certo lusso.

«Jack... hanno strangolato Layla... con la sua collana...

Rantola appena... forse l'assassino è stato disturbato...

È viva, ma non so per quanto...

Se vuoi vederla, devi correre.

Oppure aspettala all'ospedale, o all'obitorio.

Siamo al Neon».

«Sono vicino, vengo lì».

«Il locale era chiuso, ma doveva avere un appuntamento.

Il titolare le lascia le chiavi, lo sai.

Ci ha chiamato un passante, stava passeggiando con il cane, quando l'animale ha sentito qualcosa.

Si è difesa come una bestia, c'è un casino qua intorno.

Strano che una come lei si sia fatta sorprendere...».

«Per un po' di soldi Layla perde la testa... e stavolta sul serio...

Altri venti secondi e ci rimaneva secca; però è conciata male lo stesso.

Io salgo con lei».

«Certo... Jack...».

«Se l'è cavata senza danni permanenti, per fortuna; ma il tumore al fegato è peggiorato, Jack; e ha generato una metastasi all'intestino.

Se continua così, non dura più di tre mesi».

«Non si può fare niente?».

«Una radioterapia d'attacco, prima che sia troppo tardi».

«Va bene, la porto io».

«Anche domani, è urgente. La inserisco tra gli assicurati».

«Grazie, Phil, sei un amico».

«La vecchia piace a tutti, in città...».

«Qualche risposta c'è stata, però non quanto sarebbe servito.

Ritenteremo il prossimo mese, ma sarà difficile farla durare più di sei mesi.

Organizzati, Jack. Le ultime settimane saranno brutte.

Proverà a resistere e sappiamo tutti come è fatta».

«Va bene, ho capito. Il cancro se la sta mangiando.

Ma lei proverà a tirarla per le lunghe».

«Sposiamoci, Jack.

Voglio morire da tua moglie.

Ma proverò fino all'ultimo.

Voglio durare almeno un anno, fino al primo anniversario».

«Avrai un bel regalo.

Intanto che ne dici di mezzo sandwich per uno al nostro diner preferito?

Ti fai vedere e la sfidi, sbottonata fino allo stomaco, con la collana che ti rimbalza sulle zinne.

Tu non rimani uccisa, Layla. E non invecchi mai».

«Non sono finita, te l'ho detto. Noi possiamo durare per sempre, Jack...».

DUE ANNI DOPO

«Mi spieghi come fa a stare ancora in piedi?

Per me l'hanno imbalsamata...».

«Te lo dico io.

Si fa delle siringhe di alcol puro: addormentano il tumore; e tira avanti.

Sono dolorose, ma la sorca vuole campare a tutti i costi.

E lui se la vuole tenere».

«Per la fortuna del nostro diner...», conclude l'amico.