La puttanata di Tex

Una faccia triste per Layla

La sorca dei pozzi

Morte allo specchio

L'informatrice

The incredible Shoop

LA PUTTANATA DI TEX

di Salvatore Conte (2024)

Girando per Tucson, si è preso una cotta per una puttana di prestigio: la cinquantenne Layla Gallego.

La tratta come una sgualdrina, e non ha ancora deciso se presentarla o no ai suoi pards.

Al momento si limita ad assecondarla nei suoi commerci illeciti con banditi messicani, da cui si rifornisce di droga per i suoi clienti.

«Io e te, Tex... abbiamo il West in pugno... nessuno potrà fermarci...».

«Sei una bella puttana, Layla... ma è presto per fare certi discorsi; sono un ranger, lo sai, e poi non so se hai la testa per starmi dietro, le zinne di sicuro...; e non so nemmeno come la prenderebbe il vecchio cammello...».

«Quel che conta è che te lo faccio venire duro, no?

Perché non ci sposiamo, Tex? Una come me non la trovi più».

«Sei una pragmatica, Layla...

Non dico di no a una bella donna come te, ma devi aspettare, voglio convincermi che sei la migliore...».

«Mi fai bagnare...».

«Sei una lurida vacca, Layla... ma con te ci sto bene».

Il rapporto, se così si può chiamare, va avanti in questa maniera, tra insulti e schizzi di follia. E tra commerci pericolosi.

Se lei ci lasciasse la pelle, lui in fondo ci godrebbe.

Ma per il momento non vuole farne a meno, l'ha intossicato.

C'è un imprevisto sulla pista, prima dell'incontro con i messicani.

Un gruppo di indiani ha fatto secco un mercante di whisky.

E non devono essere lontani.

«Zoccola... te lo sei mai fatto un indiano?».

«Certo, scopano anche loro».

«Io mi sono fatto un'indiana, molto tempo fa. Per fortuna è crepata giovane, mi stava scassando le palle».

       

«Ma di me non sei mai stanco...».

«È presto per dirlo, vecchia troia; ma prometti bene; hai le zinne, e sono due punti a tuo vantaggio».

«Con me vai sul sicuro, ti metti a posto per sempre...».

«Potrebbe anche essere, visti i tuoi numeri.

Ma le pallottole, le sai reggere?

Intorno a me fischiano spesso».

«Nessuno mi ha mai sparato contro».

«C'è sempre una prima volta, Layla».

«Non mi faccio ammazzare, se è questo il tuo problema».

«Lo vedremo, il piombo è una brutta bestia».

«So sparare e so uccidere, nessuno può fermarmi».

«Meglio così.

Perché adesso voglio dare una lezione a questi miserabili».

Tex si mette in caccia e dopo non molto riesce ad avvistare un bivacco indiano.

Devono essere gli autori dell'eccidio.

E per giunta sono navajos!

Tex decide di dar loro una bella strigliata.

«Tu non ti mettere in mezzo, stai zitta e rimani a guardare».

Gli indiani fanno bisboccia svuotando intere casse di whisky, sparando colpi a vuoto nel cielo terso del deserto straziato dal sole.
I navajos, con sorpresa della donna, conoscono bene Tex, lo considerano un capo, chiamandolo col lusinghiero nome di Aquila della Notte.
Per questo Layla è ancora più sorpresa quando Tex molla il calcio del proprio fucile sul muso di uno di quegli indiani.
«Siete solo degli ubriaconi, ve ne state a spulciarvi in questo deserto come dei luridi coyotes!».
Il più prestante degli indiani, dal corpo possente segnato da svariate cicatrici dovute a lame e pallottole, si fa avanti gettando via una delle bottiglie che ha appena svuotato, regge bene l’alcool, non sembra nemmeno brillo.
«Non puoi fare questo, cane bianco, non ho mai approvato tutte le stronzate che dicono su di te, sei solo un razzista che pensa ai soldi e vuoi sporcarci con la tua ideologia da cane addomesticato, ma hai detto bene, noi siamo coyotes e adesso ci fotteremo in gruppo la tua vacca bianca!».
C’è un tripudio di ghigni lascivi tra i navajos.

«Vi piacerebbe... ma è la mia vacca!».
Tex si fa avanti, è abituato a trattarli come cani randagi da ammansire e prendere a calci, ma questa volta non funziona.
Quello con le cicatrici schiva il colpo e accoltella il braccio del ranger, la ferita è di striscio, ma basta a fargli abbassare la guardia; presto si ritrova immobilizzato nella polvere con un pesante corpo sulla schiena, faccia a terra tanto da soffocare.
«Ringrazia che non ci inculiamo anche te, Aquila della Notte!», sussurra una voce piena di intenzioni all’orecchio di Willer.
Tex non vede il resto, sente solo le urla della Gallego.

«Basta! Siete troppi!».

Ma la gran troia ben presto si lascia ammansire, volente o nolente.
Niente di nuovo per la bella zoccola: cazzi indiani in ogni orifizio, bocca tappata da palle pulsanti, enormi tette maneggiate con troppa violenza tanto da renderle violacee, schiaffoni sulle natiche sobbalzanti tanto da lasciare i segni vermigli delle cinque dita callose abituate alla lancia e al tomahawk.

Culo rotto senza tanti riguardi, innumerevoli posizioni stranamente fantasiose per dei coyotes, e infine tanta di quella sborra da coprire non solo interamente il corpo nudo ed esausto di Layla, ma da rendere umida, simile a una pozza viscida, persino l’arida terra del deserto dove si è consumato il violento coito.
Una volta finita la festa, gli indiani si divertono a prendere Tex a calci in culo, lo rotolano nella polvere a suon di cazzottoni e zampate nelle palle, se lo passano martoriandolo in un severo, inesorabile pestaggio, poi lo lasciano crollare, tumefatto e insanguinato, accanto alla sua ganza imbrattata di sperma.
«Volevi maltrattarci, vero, Aquila della Notte?
Solo per esserci divertiti con quel bianco e aver bevuto la sua acqua di fuoco; adesso hai capito che noi non abbiamo padroni, tantomeno un cane addomesticato come te; nessun navajo crederà mai più alle tue storielle!
Ora andiamocene, compagni.
La bava di questo cane rognoso è disgustosa da vedere».

«Bastardi…
Le abbiamo prese, puttana…», Tex aspetta che gli indiani si allontanino, prima di rivolgersi alla donna.
«Sei uno stronzo… guarda come sono ridotta… ahh…», la donna è dolorante e perde sangue da tutti gli orifizi.
«Tu sei indistruttibile, Layla; è un complimento quello che ti faccio. Nessuno può fermarti, è la prova che volevo.

Ne ho viste di donne crepare lungo la mia strada…».
«Io non sono… come una di quelle cagne… ahh… te l'ho detto... io non mi faccio ammazzare…».
«Questo lo vediamo subito… mi hai fatto venire una gran voglia… di fotterti… anche così… sfondata da mezza tribù…».
La Gallego deve subire l’ennesimo assalto.
Piove sul bagnato, nel deserto più arido del West.
«Sei una puttana, Layla…», Tex si dichiara soddisfatto, quando estrae la colt fumante dalla fica sanguinante della sua donna.
Più duro di così non gli era mai venuto.
«Ci sposiamo, va bene?

Ti presenterò ai ragazzi».
Il patto è suggellato.

Un paio di giorni e i due si rimettono in piedi.

Ora cavalcano affiancati, a passo d'uomo.

Poiché hanno mancato l'appuntamento, andranno a casa del bandito.

«Se quel pendaglio da forca ci farà storie, non lo riconoscerà nemmeno sua madre...», Amarillo è in vista.

«Fai sempre il gradasso, non è vero?

Con gli indiani, però, abbiamo preso una bella ripassata...».

«Quei bastardi mi hanno preso alla sprovvista, ma con Sancho andrà diversamente.

È un figlio di cagna e lo tratterò come tale».

«Cerca di non rovinarmi gli affari...».

«Tanto dovrai smettere comunque».

Due tirapiedi del bandito li accolgono in città come sapessero del loro arrivo, forse la loro fama li precede, già si dice in giro che Willer voglia prender moglie.

«Non sei ancora sposata, vero, Layla?», esordisce Sancho. «Andiamo di là a discutere di affari...».

Willer lascia fare, gli sta bene che la sua donna vada forte.

Il ranger indugia per qualche secondo, poi si mette a guardare dal buco della serratura.

Sancho si sta palleggiando le tettone sobbalzanti di Layla.

Tex non sta più nella pelle, sente scoppiarsi il cazzo nei pantaloni, libera il suo arnese e comincia a menarselo come un forsennato, con la faccia schiacciata sul buco della porta.

Sta per schizzare contro il legno tarlato, ma qualcosa non va, il bandito invece di estrarre il proprio di arnese, tira fuori una derringer e tenta di infilarla nella passera della Gallego, forse per giocare, forse per farle un brutto scherzo...

La donna si dimena e il colpo parte!

Anche una derringer può essere mortale, se infilata in quel posto!

La pallottola può arrivare fino in bocca, o al cervello!
Tex entra furibondo col bastone dritto - una goccia di sborra sulla punta pronta a rompere gli argini, ma strozzata sul finale - e tira un destro a Sancho diretto sulla mascella e gliela spezza con un crack che sembra vetro frantumato.
«Adesso finisci il lavoro, grandissima troia, fammi sborrare, sto esplodendo, ne ho fin nel cervello, ti allago le tette, poi scappiamo da questa città del cazzo!».

È talmente su di giri da non rendersi conto che Layla ha una calibro 22 in corpo... la pallottola si è fatta il giro dei suoi organi... fregna, utero, budella fegato, polmoni... un tour completo...
Malgrado tutto, la moglie esegue fedele, la sega è compiuta, ma il respiro le manca.

«Sei mio marito...», sussurra la donna, allucinata e impaurita.

«Sei un pezzo di fica, Layla. Non mi stancherò mai di te».

Tamponata la vagina della moglie e sistemati i due tirapiedi con mezza tamburata di revolver, Tex mette la donna sul cavallo e i due lasciano le baracche della città, carichi di droga e progetti.

La loro cavalcata, però, dura poco, perché una volta ripresosi, Sancho - con la mascella frantumata, scrivendo bigliettini per di farsi capire, e imbottito di laudano per calmare il dolore accecante - raduna un gruppetto di bei figli di puttana e li lancia all’inseguimento di Tex e Layla.
I cavalli sfiniti dei fuggitivi vengono presto raggiunti dalla ciurma di Sancho.

Un certo Cane Pazzo Charlie comincia a sparare fucilate galoppando come un demonio, beccando Layla dritta in mezzo alla schiena, con la pallottola che le esplode fuori dalle tette!

La donna di Tex si china sul collo del suo cavallo, e inerte, quasi incosciente, si lascia trasportare alla cieca.
Tex tiene le redini della moglie, facendole seguire la sua direzione, le pallottole fischiano dietro di loro inseguendoli inesorabilmente.
«Resisti, siamo in territorio indiano, adesso scoppia un casino!».

Proprio in quel momento, però, il cavallo del ranger si becca una pallottola nelle chiappe!

Ne consegue un capitombolo colossale, i due destrieri si invischiano e cadono rovinosamente in una maestosa nube di polvere.
I fuggitivi vengono raggiunti, sono per terra, inermi, patetici, solo la colt di Tex può tentare di difenderli.
Gli scagnozzi di Sancho, armati fino ai denti, se la ridono e sono pronti a fare fuoco. Una freccia però trafigge da parte a parte il collo di un bandito: uno schizzo di sangue violento vomitato dall’aorta imbratta l'arido terreno!

Segue una pioggia di frecce, la ciurma è crivellata di saette, i corpi sembrano enormi puntaspilli.

La stessa Gallego è trafitta più volte, proprio nelle grosse zinne; e non esce solo sangue...
Poi urla invasate e selvagge, tomahawk che affondano nei crani. Qualcuno spara ancora, ma è inutile, gli indiani compiono un massacro.
Mentre piovono le frecce, Tex pensa bene di calarsi le braghe e con le chiappe al vento coprire il cadavere della moglie: vuole scoparsela così, con la bocca tinta di sangue, fredda e pallida come il ghiaccio, che in quel deserto del cazzo non si vede mai.

Glielo infila dentro, duro come un tomahawk, e bacia con la lingua quella bocca che espettora sangue nella sua.

Quando viene, capisce che la moglie non è del tutto morta, reagisce e ansima disperata, anche se con occhi spenti che fissano l'inferno. Nonostante ciò, le ficca in bocca il cazzo, impiastricciato di seme, nel tentativo di rianimarlo.

Tex si illude che la moglie giochi a fare la morta ancor più di quanto non lo sia davvero, dopo la fucilata che l'ha raggiunta in pieno alla schiena e dopo lo schizzo di derringer in fregna che le è arrivato chissadove.

È staccato da lei da un calcio nel costato che gli frantuma due costole. Rotola nella sabbia con le chiappe nude e il pene al vento, impanandosi di polvere come una cotoletta. È una visione degradante e triste. Un'intera tribù lo attornia e comincia a prenderlo a calci nel pallido deretano scoperto. Pugni, bastonate, persino un paio di frecce nei glutei.

Tex striscia umiliato, mentre gli indiani ridono sguaiatamente, sollevando di peso il corpo della moglie.

Glielo mettono vicino, a portata di lingua.

«Già tutti davano lei come quinto pard della tua banda, cane bianco...

La moglie che avresti usato per certi lavoretti sporchi...

L'avevi pensata bene: due grosse tette e una gran voglia di fare la zoccola e leccarti gli stivali.

Finora sembrava indistruttibile, l'ideale per te...

Ma guarda adesso come è ridotta! È una cagna miserabile!

E allora leccala, su! Cane!

Leccatevi!

E sarete marito e moglie, per Manitù!».

UNA FACCIA TRISTE PER LAYLA

di Salvatore Conte (2024)

S’era letteralmente mangiata una scarica di thompson.
Sette-otto pallottole .45 in pancia, difficili da contare sulla tuta scura.
Erano tante anche per una come Chana, la Papessa Nera.

Una dura, una bestia, che però adesso rischiava di chiudere i battenti prima della Boyle.

Layla, se non altro - pur mangiata dal cancro - queste complicanze le aveva evitate. La raffica era toccata a Chana.

I regolamenti di conti tra bande rivali erano frequenti in quegli anni.

Ma solo quando li toccavano da vicino, i pezzi grossi realizzavano la pesante tragedia del piombo.

Oggi era toccato a Chana scendere dal piedistallo.

La stavano portando da Williams, medico di fiducia della banda e primario di un'importante clinica privata; una specie di area franca, dove né la polizia, né le varie bande osavano disturbare la degenza dei malati di piombo.
«Va bene, Layla?», domandò Fred, dal posto di guida.
La Boyle aveva la faccia sempre più triste, ma con la sua carne gonfia cercava di mantenersi credibile, come donna e come sicaria; e infatti era ancora considerata potente da alcuni membri della banda.
Minata da un male incurabile, infagottata nel suo camicione bianco, ossessionata dal poco tempo che le rimaneva, la massiccia quarantottenne era la lontana parente della felice mignottona di qualche anno prima.

Le diagnosi di Williams furono spietate: Chana aveva le ore contate, Layla i giorni.

«Ma qual è il problema, Doc?», chiedeva Bill.
«E me lo chiedi? Il piombo se l’è mangiata…».
«E Layla?», anche la Boyle, che accusava dolori all’intestino, era stata visitata.
«Layla è arrivata… ha l’addome gonfio di ascite».

«Ascite...?».
«Insomma... ha la pancia piena zeppa di liquido tumorale!
È solo questione di tempo, e neanche di molto.
È finita, nessuno può salvarla».
Una doccia fredda per Bill, che pensava Layla potesse ancora gestirsi, come aveva fatto fino a quel momento.
«Ma l'ascite cosa sarebbe esattamente?».
«L’ho appena detto: è una raccolta di liquido, conseguenza di un tumore in fase molto avanzata».
«Layla è malata da tempo, lo sappiamo. Ma finora ha sempre tirato avanti, si è gestita bene. È grossa e potente, e ci tiene alla pelle. Doc, non puoi tirarle fuori questo liquido?».
«Lo faccio tutte le settimane, però il tumore si è allargato e il liquido aumenta sempre di più; adesso glielo tolgo, ma fra due giorni starà di nuovo male...».

Layla Boyle aveva l’intestino consumato da un tumore molto aggressivo; però era arrivata bene alla fase terminale, con disturbi fino a quel momento limitati e occlusioni intestinali che, pur dolorose, non si erano rivelate letali; un blocco intestinale in grado di ucciderla non si era ancora realizzato, data anche la sua tempra fisica, e così lei aveva tirato avanti, tanto bene che ora sembrava assurdo avesse poco da vivere.

«Layla... tu... mi raggiungerai... presto... ohh...».
«Non sei carina, Chana.
Sì, è vero, sono fottuta. Ma ho più tempo di te.
Molto di più».

Dopo l'estrazione delle scorie tumorali per mezzo di una grossa siringa, Layla aveva fatto visita a Chana; la tensione, però, si tagliava con il coltello.
«Ghh...».

La Papessa Nera stava rantolando.

Ormai non c'era più niente da fare.

«Tra poco toccherà a me».
«No. Fermeremo il cancro, in un modo o nell’altro».
«Ci riuscirai davvero, John?».
«Dipende anche da te, Layla».

«Basta stronzate: quanto mi rimane?».
«Non è così semplice, bambola.
Sei dentro la fase avanzata del cancro già da diversi mesi.
Però, nonostante tutto, il tuo fisico massiccio è riuscito ad adeguarsi e a trovare un equilibrio, sia pur precario, con il tumore; è per questo che voglio ancora tentare qualcosa… ossia... l’adattamento totale!», esclamò il medico con enfasi innaturale.
«Tu non vuoi dirmelo...».
«Se va avanti con questo ritmo, tra una settimana dovrai metterti a letto.
Poi, la durata dell'agonia dipenderà da quanta voglia avrai di lottare.
Sono sicuro che una come te non si arrenderà.
Col tuo fisico potrai trascinarti per un paio di mesi, anche tre.
Ma sarà dura. Ci sarà da soffrire. E se attaccasse il pancreas, la situazione precipiterebbe nel giro di pochi giorni.
Io ti sarò vicino, sarai ricoverata qui».
«Bene... ora so che è finita».
«Lo sapevi già, Layla».
«Ma non volevo crederci.
Non so se avrò voglia di lottare».
«Ti verrà. Ne ho visti tanti di pazienti nelle tue condizioni.
Non ci si rassegna mai. E tu non farai eccezione.

Ora, però, rilassati: non sei in pericolo di vita, la fine non è imminente».

«Cosa intendi per adattamento totale?».

«Una tecnica estrema che vorrei sperimentare nei miei laboratori su pazienti selezionati e che consiste in una radioterapia generale e periodica, fino al raggiungimento di un punto di equilibrio con la tossicità tumorale: più radiazioni vogliono dire più tossicità nelle cellule sane, ma anche meno tossicità in quelle malate...».

«È dolorosa questa tecnica?».

«Assolutamente indolore».

«E allora cosa mi costa provare?».

Williams condusse Layla nei sotterranei della clinica, dove aveva installato i suoi laboratori segreti. Solo lui aveva la chiave per consentire al montacarichi di scendere al di sotto del livello -1.

«Oltre alla tecnica dell'adattamento totale, avrai a disposizione un'arma estrema: la rianimazione forzata; ma speriamo di non doverci arrivare.

Però intanto la proveremo su Chana».

Il medico aprì una porta chiusa a chiave e Layla vide il cadavere della compagna disteso su un lettino.

Williams preparò all'uso uno strano congegno.
«È un apparecchio rianimatore di ultima generazione. L’ho progettato io stesso», spiegò alla Boyle.

Il medico digitò sul pannello di comando una serie di istruzioni.

«È l'algoritmo della rianimazione!

Stai indietro, adesso».
Williams spinse l'interruttore e una forte scarica elettrica attraversò il corpo di Chana.
Complessivamente, il medico generò dall'apparecchio tre scosse di intensità crescente.
Il cadavere di Chana sussultò due volte, per poi tornare rigido.
Dopo la terza scossa, però, avvenne l'impensabile: la bocca della Papessa Nera si dischiuse, gli occhi si riaprirono.
Chana era rinata!
«È fatta...!

Adesso fai parlare me...».

«Finora hai parlato solo tu...», precisò Layla.

«Chana! Io, John Williams, ti ho ridato la vita! Io sono il tuo padrone, Chana! E tu mi devi obbedienza, se vuoi vivere ancora! E la devi anche a Layla Boyle, la donna che è accanto a me! Layla Boyle è la tua padrona, Chana!
Le istruzioni devono essere semplici, capito?».
«Capito».

«Il cervello non è più quello di prima, ma con il tempo può riacquistare diverse funzioni; almeno credo.
Chana! Se qualcuno minaccia la vita dei tuoi padroni, tu devi uccidere quel qualcuno, chiunque sia, mi hai capito bene?».
Un blando cenno di assenso con il capo.

«Questo tornerà utile quando riprenderà a sparare...
Ora alzati e cammina! Ritorna alla vita, Chana!».
La zombi si alzò lentamente, goffamente, come avesse dimenticato tutto, anche le cose più semplici.
Una volta in piedi, la rediviva non prese iniziative, rimanendo immobile, come un braccio a riposo.
«Chana! Tu sei la guardia di questo edificio! Uccidi chi è nostro nemico!
È meglio darle subito un obiettivo, intorno a cui aiutarla a ricostruire la propria identità», spiegò il medico, rivolgendosi di nuovo a Layla.
La zombi prese a muoversi lentamente.
Individuò l'uscita della stanza e la oltrepassò, sbattendo dapprima contro la porta chiusa, per poi ricordarsi che andava aperta.
Williams la seguì a distanza: Chana stava perlustrando il corridoio sotterraneo; quindi si piazzò al fianco di un armadio, in piedi, impostata come una guardia; le mancava solo un'arma.
«Perfetta... che ne dici di festeggiare il tuo successo, John...?».
«Mi sembra più che giusto, Layla...».

           

«Mi è venuta un'idea, John...», si rialzò dal lettino completamente nuda, a parte gli stivali, e indossò il camicione bianco da gran puttana, allacciando a malapena un paio di bottoni, all'altezza dello stomaco.

Aveva gli occhi allucinati.

«Eccolo... questo è perfetto...», estrasse un revolver a canna corta dalla tasca dell'impermeabile e lo porse a Williams. «Io sono pronta. E tu?

Diamoci un taglio, Doc».

Quindi strinse la mano del medico intorno al calcio dell'arma e orientò la canna verso sé stessa, contro la sua pancia gonfia...

«Vedrai come cola via l'ascite...».
«Layla... è una follia...».
«Perché mai, John...? La follia sarebbe quella di illudermi ancora.

È finita, lo hai ammesso».
«Ma io ti sarò vicino... hai ancora mesi davanti a te, Layla...».
«Sì, mesi di sofferenza su un lettino a contorcermi come una biscia, sperando che il pancreas non mi dia subito il colpo di grazia.
No, non fa per me. Non voglio crepare come una puttana.

Certo... le tue cure attente... mi farebbero campare qualche settimana in più, ma la fine sarebbe la stessa.
E sai per primo che non sarebbe piacevole vedermi arrovellare su un letto a gestire gli ultimi spiccioli, già di fatto sotterrata.

No, non mi salvo da questo tumore, per me finisce male; anche se sono stata brava a tirarla per le lunghe, anzi bravissima... alla fine avrei troppi rimpianti.
Verrebbero a trovarmi qui da te, morbosamente ansiosi di vedermi lottare inchiodata al letto, invocando una mascherina dell'ossigeno o una trasfusione per tirare avanti a oltranza e guadagnare qualche giorno, spaventata a morte dalla fine.
Ma un'altra possibilità c'è...

Fammi rinascere... John…».
«Layla... no!».

La Boyle indurì lo sguardo.
BANG
L'aveva fatto...

«Layla... cosa cazzo... hai combinato...?!», mentre lei cadeva sulle ginocchia.
Il dottore si chinò su di lei: la pallottola era esplosa nelle budella, a bruciapelo.
Un colpo mortale, anche per una donna in piena salute, e lei non lo era.
Williams impallidì. Non c’era alcuna possibilità di salvarla.

Layla si accasciò in avanti con un gemito di sofferenza.
«John… sto morendo…», cercava un po’ di compassione in quel momento estremo.
«Maledizione...», Williams la sollevò, non senza fatica, e la distese sul lettino del laboratorio.
Sangue e ascite colavano dal buco.
«No… non voglio morire…», Layla si guardava attorno con occhi spaventati. Aveva qualche comprensibile rimpianto. Ampiamente tardivo.
«Fermarsi adesso sarebbe assurdo, Layla.
Rimarresti a metà del guado, non torneresti in vita e non avresti nemmeno la possibilità di tirarla per le lunghe… con questo buco non arrivi a domani mattina...».
«Lo so... dannazione... lo so... aspetta solo un attimo... ohh...», la bocca spalancata e gli occhi dilatati, ma le mani a stringere forti la pancia, addosso al buco e allo stesso tumore, quasi a controllare la situazione e a misurare il tempo che le rimaneva.

Si era fatta letteralmente esplodere e ora aveva tanti rimpianti.
«Lasciati andare, Layla...».
A rompere l'impasse giunse la crisi della Boyle.
«John...!», lo invocò allarmata. «John...», ripeté debolmente, ormai stordita. «Non... voglio... morire... ho... sbagliato... a...i...u...t...a...m...i...».
Seguirono degli spasmi; poi le mani caddero lungo i fianchi e gli occhi raggelarono.
La Boyle, che con feroce lucidità si era fatta esplodere la pancia, aveva stirato le zampe.
Williams attaccò Layla al rianimatore e inserì la sequenza dell'algoritmo: adesso era tutto pronto per la seconda resurrezione.
Bastava solo spingere l'interruttore.
Lo fece senza indugi e la prima scossa attraversò il corpo della Boyle.
Poi la seconda e la terza, a intervalli regolari e intensità crescente.
Il dottore osservò ansioso il letto ove giaceva il cadavere di Layla.
Le gambe reagivano!
Si scuoteva!
Anche stavolta ce l'aveva fatta...
Era rinata!
«Layla Boyle! Tu sei la mia schiava! E tu perciò farai tutto quello che io ti chiederò di fare!», Williams aveva un debole per lei, ma Layla era abituata bene, e se aveva ceduto qualcosa negli ultimi tempi, a lui, un viscido, stempiato, imbranato segaossa, era stato soltanto per farsi curare con maggiore attenzione, visto che perlomeno le aveva allungato la fine.
Adesso, però, Williams poteva asservirla per sempre.
«Vieni verso di me, Layla!».
Un paio di barcollanti passi e gli fu davanti, camiciona bianca appena abbottonata e stivali neri, mentre lui si era già allentato i pantaloni.
«Inginocchiati all'altezza del mio membro e prendilo in bocca!», la mano sulla testa di lei ad accompagnarla nella giusta direzione.
«Sì, Layla! Fammi godere...!

Puttana...!

Zoccola...!».

BANG

«Tu sei bravo... a muovere quel coso...».

«Quale coso, signora?».
La Boyle imitò il ragazzo che guidava, le mani sul volante.

Dopo aver ripreso il montacarichi, era uscita da una finestra e aveva fermato una macchina: si trattava di un giovane che aveva visitato un parente ricoverato nella clinica di Williams.

«Mi scusi, signora... è sicura di sentirsi bene?».
«Io... sto bene...».

Il trench nero mascherava bene le tracce di sangue e il buio dell'abitacolo faceva il resto.

«Però non mi ha detto dove è diretta... insomma dove posso lasciarla...».

«Io... a casa tua... andrà bene...».

Tenuto conto del trench molto scollato, il ragazzo cominciò a nutrire dei dubbi.

«Signora... lei è molto attraente, ma non so se... ecco...».
La zombi notò un oggetto nel vano dello sportello.

Era una torcia elettrica.
«Mi ricorda qualcosa... lo prendo...».
Layla afferrò la torcia e se la infilò senza esitazioni nella sorca.
Così facendo, si accese e il riflesso del cono di luce proiettato sui piedi, ne illuminò il volto spettrale.
Il ragazzo era basito.
«Signora... se lei si sente così sola... beh... io ho un'altra torcia: non fa luce, ma funziona lo stesso... e senza batterie...

Come ti chiami, bella signora?».

«Mi chiamo... inizia con la elle... almeno credo...».
«Sarai anche suonata, però sei un bel tipo, sai?».

Erano giunti a casa del ragazzo. Un economico alloggio di fortuna, nell'estrema periferia.
«Sono un semplice studente, mia cara Lana... mi dispiace non poterti offrire di più...».
«Tu... cosa studi...?».
«Medicina».
La Boyle si accomodò sull'unica poltroncina, stringendo le mani sui braccioli come se si ritrovasse su un trono.
«Lana... vuoi farti una doccia?».
«No... Layla... mi chiamo Layla...».
«La sbornia sta passando, eh?».
«Se studi medicina... vuol dire... che diventerai... un dottore... come John...?».
«Prima o poi... ma chi è questo John?».
«Hai già fatto... l'esame dei tumori... che uccidono...?».
«Oncologia...?
L'ho appena superato!».
«Bene... allora mi aiuterai... fammi una visita...».
La zombi si aprì il trench.
«Ma...!? Sei ferita! Questo è il buco di una pallottola!».
«No... controlla il tumore...
Ehi... cos'è questo buco...?».
«Qualcuno ti ha sparato, Layla. Non te lo ricordi?».
«Sì... sono stata io...».
«Io... chiamo subito un'ambulanza...».
«No... pensaci tu...

E non fare scherzi...», la zombi estrasse il revolver e glielo puntò contro.
«Come vuoi... stai calma... ho delle bende».
«Non ce n'è bisogno...
Per il tuo bene, figliolo, vai a nanna e dimentica tutto...
Ci occupiamo noi della signora».
L'avevano ritrovata.

A quattro settimane da quella incredibile notte, la malattia di Layla si era pesantemente aggravata.
La Boyle si era ridotta a essere la biscia umana dei suoi peggiori incubi: avvitata al letto, inquieta, impotente e senza prospettive, nonostante il fisico possente.
Le complicanze della pallottola nelle budella l'avevano ulteriormente indebolita.
Si diceva ormai che ne avesse per pochissimo.
Il Boss la visitava spesso, per non perdersi il momento fatale.
Vederla annaspare lo eccitava, ed era per questo che si augurava la fine non giungesse rapida.
Ma ormai il vice Primario lo aveva avvisato che la situazione poteva precipitare da giorno all'altro.

Layla andò in crisi alle undici della sera. Non respirava più senza mascherina.
Il Boss aveva interrotto una riunione e stava arrivando di corsa.
Trovò il vice Primario intento a ridurre l'ascite della Boyle con una siringa di grandi dimensioni: incuteva soggezione solo a guardarla.
Era tutto inutile, ma si cercava di farle guadagnare un po' di tempo.
Anche Fred era arrivato e assillava lo staff medico con le sue domande. Voleva assolutamente sapere se poteva trattarsi della crisi fatale.

Bill viveva praticamente in clinica.
Il loro speciale interesse per la moribonda era noto. L'avevano incoraggiata insieme fino a quella mattina.
«Non mi lascio andare... promesso.... meglio fare la biscia... che essere mangiata dai vermi...», gli aveva risposto, poche ore prima che le mancasse il respiro.
La situazione era critica, ma relativamente sotto controllo.
La trasfusione era pronta.
Non si badava a spese per lei.
Se Layla non si fosse ulteriormente aggravata, avrebbe superato la notte.
L'obiettivo era quello di stabilizzarla.
Non sarebbe servito ad allungarle di molto la vita, ma nessuno aveva il coraggio di staccarle la spina.

Il Boss volle parlarle. Le fu tolta la maschera dell'ossigeno.
«Layla... vecchia mia... stanno facendo il massimo... ti teniamo...».
«Okay... ci provo... ci provo...».

«Brava... fai la brava...».
La Boyle superò la notte e passò una settimana relativamente tranquilla.
Era orgogliosa della sua tenuta e chiedeva spesso notizie di improbabili miglioramenti.
I giorni continuavano a passare tra frequenti malesseri, ma senza crisi acute.
Il suo organismo sembrava adattarsi di continuo.
Sangue a volontà, ossigeno, vitamine, farmaci, un monitoraggio medico continuo e frequenti prelievi di ascite la rendevano una privilegiata nella sventura, anche se il fisico massiccio risultava ancora la sua risorsa più preziosa.
Erano passati 15 giorni dalla crisi che aveva minacciato di risultarle fatale e la Boyle riusciva tuttora a gestire la situazione, con Bill e Fred sempre accanto a lei.

Però Layla aveva la faccia triste, perché la tenevano a galla, ma il tumore si era allargato ancora.

Per quanto si sforzasse, non vedeva alcun futuro per la sua carne marcia. Viveva solo nel presente e si attaccava alla vita che le rimaneva.

«Se anche oggi respiro... allora è un gran giorno.

Non voglio morire...», sussurrava ai due ragazzi, aggrappandosi al fisico da gran puttana; il Boss intorno a lei come un avvoltoio, gli altri a sperare nella radioterapia d'emergenza che lo staff medico aveva deciso di eseguire, in memoria del Primario Williams.

E allora... faccia triste, ma con un leggero sorriso...

E tanta voglia di tirare avanti.

LA SORCA DEI POZZI

di Salvatore Conte (2024)

È al servizio di Rafeeq, il braccio armato di King Awad, Re d'Arabia e del Petrolio. È una grossa puttana, molto ben stagionata, sempre sbottonata, con una kefiah da guerrigliera a mascherare le origini occidentali: è Anna Frazer, anzi Hanna Al Zafar.

Patrick Hale le ha subito messo gli occhi addosso, smentendo sé stesso.

È una storia sbagliata, con una donna sbagliata, ma in un mondo sballato come questo, non si può escludere che sia la cosa giusta.

Per lui è ormai diventata la sorca dei pozzi, perché tutto ha inizio da una parola magica e da strane voci nel deserto.

Non si può stare fermi, il sistema è programmato per generare conflitti e allora il brutale Rafeeq deve tirare per la dishdasha il Re buono, il Re santo, King Awad.

Si sono conosciuti attraverso i pozzi, dove il potere non conosce limiti.

A lui piace quella carne grassa, da mignottona. E il camicione di jeans sbottonato fino allo stomaco.

«Forse è meglio se smetti, troppi rischi...

Quando ho finito qui, puoi tornare con me... in fondo sei americana».

«Qui mi piace, ho potere... ma so di rischiare...», gli occhi si fanno allucinati. «A volte mi chiedo se... se sarei in grado di gestire una raffica di kalashnikov in pancia...», la lingua sul labbro e la mascella bassa, eccitata.

«Non è pensabile che tu debba correre un rischio del genere, Anna...

Le pallottole uccidono anche una come te...».

«Stai calmo... finora non sono morta.

Qui ho il mio potere, ma con me ti metti a posto, è chiaro: sono il tuo pozzo».

Anna ha ragione, se non ha torto: nel cervello gli è entrata forte, lei e le sue zinne sbottonate da sorcona, il pisello si fa subito duro quando la vede.

La storia diviene ancora più sbagliata quando a King Awad le voci del deserto (la CIA e il Mossad) suggeriscono di regalare due valigie atomiche a Rafeeq.

La cosa si fa imbarazzante, quasi giusta.

A questo punto parte la corsa alle valigie. E dentro c'è pure Hanna El Zafar, tanto sbottonata quanto risolutiva.

Siamo dunque alla resa dei conti: quel che è giusto è sbagliato, e ciò che è sbagliato è perfino giusto.

«Non pensavo che... m'avrebbero sparato addosso... ormai sono famosa...», Anna è stata raggiunta da una raffica nella pancia, come nei suoi incubi o desideri più perversi. Mentre si aspetta l'ambulanza, Patrick Hale è accanto a lei, in veste di giornalista.

«Volevo... mettermi in salvo... sapevo che l'elicottero... sarebbe stato abbattuto... ma prima... dovevo... mandare... a morire... le puttanelle... dell'Islam...».

Una confessione completa, da sbottonata.

«La famosa terrorista è stata trasportata in ospedale, in fin vita, accompagnata da Patrick Hale in persona. Sulle sue condizioni c'è il massimo riserbo, ancora non trapela se sia deceduta, o rimasta uccisa.

Nel suo caso, comunque, la cintura esplosiva non è esplosa: una bella fortuna per la signora...», strombazzano dalle TV.

Rimane solo da disfare le valigie, 20 anni prima.

MORTE ALLO SPECCHIO

di Salvatore Conte (2024)

Ha preso due brutti colpi, ma può ancora salvarsi, se sta attenta.

Adesso, però, non può più sbagliare, deve tenersi bassa, strisciare giù per le scale e mettersi in salvo.

Però c'è una cosa che Anna non ha considerato, ovvero uno specchio.

Ed è grazie a quello che il muro diventa trasparente...

Non c'è riparo!
È una doccia fredda per la Frezzante!
Crolla in avanti e sbatte col grugno sul gradino.
Non c'è più tempo per fuggire, Anna decide di sbattergli la sua morte in faccia; ansante, risale le scale, puntando lo specchio che l'ha tradita.
La bocca è spalancata, sa di averne ancora per poco, ma vuole spremersi fino in fondo.

Una come lei non è facile da buttar giù, ma il killer c'è riuscito, uomo o donna che sia.

Anna continua a strisciare... come una grossa serpe.

È arrivata davanti allo specchio, e lo guarda, con il sangue alla bocca...

BANG

Ci ha ripensato, dovrà rimanere con la curiosità, non la vedrà mai, morta.

L'INFORMATRICE

di Salvatore Conte (2024)

«Io sto crepando... e tu vieni a chiedermi informazioni...», l'accoglienza non è delle migliori, ma c'è da capirla.

È sofferente, impacciata, imbarazzata, e più gonfia del solito; insomma, Layla è quasi irriconoscibile.

Non è più molto giovane, ma era ancora una bella donna, prima del tumore...

Ormai è una vecchia cessa sbottonata, che continua a rimorchiare nei pub, malgrado un cancro all'intestino arrivato al IV stadio (!).

Layla è stata una gran fica da giovane, ma poi si è appesantita troppo, si è sfondata.

       

«Non vedi come sto male...?».

«A me veramente non sembra...».

«Non fare lo scemo, John...».

«Se ti rifiutano le cure, gli schiarisco io le idee...».

«No, John... sono ancora in cura... ma ho troppe metastasi, non posso più salvarmi, solo tirare avanti».

«E ti sembra niente?

La stessa vita è un tirare avanti, bellezza...

Ma se ti fa piacere, verrò a trovarti più spesso, Layla».

«No, vecchio bufalo, non mi basta...

Stavolta ci sposiamo...».

«Mi piaci ancora, Layla, ma il passo, per uno come me, lo sai... è troppo grande...».

«Non me ne frega niente.

Se vuoi farmi cantare, stasera mi scopi e domani ti metti l'anello. Non ho molto tempo. Due mesi e torni libero».

«Non ci credo che ci metti due mesi a crepare».

«Ormai ce l'ho dappertutto: non mi piace dirlo, ma sono finita».

«Mi dispiace, Layla...».

«John... non canto, senza qualcosa di grosso in cambio...».

«Tu giri ancora per i pub, ti chiedo solo qualche nome».

«Non mi freghi, John... io ho il nome giusto, ma se canto... mi becco anch'io tre pallottole nello stomaco come quella tua amica di nome Myra...

E io non ho tanta fretta di crepare...».

«Ancora con quella storia?

È stata una fatalità».

«Già... una fatalità... che però potrebbe ripetersi...».

«Piuttosto... perché non te lo sei fatto togliere?».

«Il tumore?».

Annuisce.

«Si è allargato in fretta. Si chiamano tumori galoppanti.

E adesso, se non sto attenta, rischio di rimanere fulminata, perché a questo stadio il tumore può farsi fulminante...».

«Come una pallottola?».

Annuisce.

«Allora... se è così... non c'è tempo da perdere, no?».

Layla Boyle è riuscita a convincere il tenente Parker: è ancora una grossa fica e risponde ai trattamenti; se non subentrano complicazioni, può tirare avanti.

«Proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere... alla fine ti ho beccato, John...».

«Adesso cerca di durare, Layla...».

«Nessuna fretta di tornare libero?».

«Nessuna fretta».

«Ci provo, ma siamo grandi, lo sai quello che mi aspetta...».

Annuisce.

La moglie di Parker ha un tumore all'intestino giunto da tempo al IV stadio, con metastasi a fegato, stomaco e utero: un quadro allarmante, da cui non si esce vivi.

Il tenente Parker ha il gioco in mano: ha parlato con i medici e sa la verità; anche se risulta ancora ufficialmente in cura, la moglie è da considerarsi una malata terminale con poche settimane di vita.

Lei si ostina a promettergli anni di matrimonio, ma nasconde la realtà a sé stessa, come molti malati spaventati dalla fine.

John ha già assunto un infermiere per gli ultimi giorni.

Layla sarà assistita a casa, niente ricovero, morirà in pace, tra le sue braccia.

E lui tornerà libero all'anagrafe.

Però, arrivati alla fine, anche il vecchio bisonte è nervoso.

Layla ha avuto un infarto, ma è stata rianimata dall'infermiere, molto scrupoloso e diligente.

Anche troppo, per i gusti del tenente Parker.

La moglie alterna momenti di relativa lucidità, in cui afferma di volersi salvare, a periodi di coma durante cui balbetta mezze parole prive di senso, come "sal... sal...", che con molta probabilità riflettono il sogno di una salvezza ormai impossibile.

Parker fa un sogno in cui vede Layla e l'infermiere abbracciarsi contenti.

In senso metaforico, in effetti, è quello che sta accadendo da alcuni giorni.

Lei lo ringrazia spesso, quando cosciente, per l'attenzione con cui la segue.

Layla non è per niente rassegnata, crede di potersi riprendere e di essere ammessa a nuove terapie.

Ancora non capisce che è in fin di vita.

L'infermiere, Salvatore Barone, le asciuga il collo con pazienza: diverse gocce di sudore freddo lo imperlano, Layla si spreme a fondo per resistere.

Ed è più di un abbraccio.

D'altronde è sempre stata una mignotta.

Si conoscevano da prima, lui era tra gli assidui ed era nato qualche progetto, che adesso rivive sull'orlo della fossa.

D'altra parte, i collezionisti della città si stanno muovendo.

Layla sarà ricoverata e sottoposta a radioterapia d'urgenza, bruciando sul tempo le liste d'attesa degli ospedali.

Pronta per lei anche la nuova terapia ipertermica.

Si cerca di tenerla a galla, di trovare il modo di farla arrivare al primo anniversario di matrimonio; con il progetto di scorta sempre a portata di mano...

«La tua informazione era giusta, finalmente l'abbiamo pizzicato.

Però quell'altra...».

«Quale...?».

«Quella relativa ai due mesi...».

«Sta al poliziotto... vagliare le informazioni...».

«È vero... avrei dovuto capire che stavi per fregarmi...».

«Lo sai come sono fatta...».

Annuisce.

«Lo so».

E risponde.

THE INCREDIBLE SHOOP

di Salvatore Conte (2024)

Pamela sta crepando di cancro, non ha più un futuro davanti.

Ufficialmente è ancora in cura, ma le metastasi sono troppe per sperare di invertire la tendenza. Finché il fisico regge, può tirare avanti, ma senza un futuro.

A 60 anni, con l'ascite in bocca, non ha perso il vizio di sbottonarsi le camicette, è ancora una gran puttana; un'emittente televisiva americana vuole realizzare un documentario sulla sua vita avventurosa, da diffondere prima della sua morte, per creare ulteriore eccitazione intorno al suo disperato caso.

«Ho cominciato in una sala giochi di New York: facevo la stronza per incentivare le giocate... è lì che ho conosciuto l'incredibile Hulk.

Si spacciava per un uomo tranquillo, all'inizio aveva ingannato persino me, ma poi l'ho visto incazzarsi di brutto in mezzo al traffico... e allora ho capito che era meglio non farlo arrabbiare.

New York non era una città adatta a lui».

«Poi mi sono spostata a Las Vegas; facevo la zoccola in un casinò spaziale... una di quelle cose per cui Las Vegas è famosa. Lì conobbi Buck Rogers, il grande astronauta. Faceva lo schizzinoso, il damerino dello spazio...».

«E va bene...

A Los Angeles facevo coppia con un truffatore; era uno stronzo; e ci siamo fatti beccare.

Ma alla fine abbiamo restituito tutto; ero al verde, in quel periodo».

«Alle Hawaii, una volta, ho cercato di adescare un magnate del petrolio, ma a momenti ci rimanevo secca: proprio quella sera cercarono di rapirlo... bella fortuna...

Quello spilorcio si sdebitò del mio aiuto con un drink...!».

«Comunque... visto che mi trovavo ancora lì, alle Hawaii... ci riprovai con il famoso Tom Selleck; però all'epoca se la tirava un sacco... fu un altro fiasco.

Ero una fica, del resto lo sono sempre stata, ma a volte la fortuna era come se mi abbandonasse...».

«Tornata a Las Vegas, non mi sono accontentata di Robert Urich; in quel momento era fissato con il suo lavoro di detective privato, e forse è andata bene così: non era il mio tipo, mi sarei stancata presto, a me piace il fosforo...».

«Per un periodo lavorai a Fantasy Island, il luna park per ricchi messo su alle Hawaii da Ricardo Montalban. Fu disgustoso farsi baciare da certi vecchi bavosi, annoiati e prepotenti, e una volta fui perfino minacciata da autentici galeotti evasi dal carcere».

«A Chicago accettai un incarico dalla mala locale e dovetti subito pentirmene... a momenti, tanto per cambiare, ci rimanevo secca...».

«Ebbene sì... a San Diego ero un'addetta alla sicurezza... e mi imbattei nei famosi fratelli Simon: fu divertente».

«Potrei proseguire per ore, ma purtroppo le mie ore sono divenute preziose.

Concludo accennando alla mia esperienza presso un Circo itinerante dell'Arkansas, come equilibrista... funambola... in bilico sul precipizio, proprio come adesso...

Tale esperienza fu resa problematica da un caso di omicidio; in quella circostanza fui interrogata dalla famosa Signora in Giallo, una rompiscatole insaziabile ma risolutiva.

E poi c'è quella volta che ho spennato un pollo... ma era un tipo...

E altre cose che non posso raccontare.

Potrei andare avanti per ore, ma il tempo rimasto è poco.

Vorrei vederlo anch'io questo documentario...».