Djanga contro Luciana
DJANGA CONTRO LUCIANA
di Federico Bianchini e Salvatore Conte (2021-2024)
Interpreti |
Personaggi |
Leila Hanna Luciana Paluzzi Angela Cavagna Anna Frezzante Eduardo Fajardo Franco Nero Gianni Garko Mario Brega Nathalie Fadlallah Romina Lopez Sun Nejadi Treasure Chest Vanessa Del Rio |
1
La pelle del viso ti brucia da morire, la gola è secca, arida, piena di polvere,
il sole ti ha quasi accecato.
Degli avvoltoi stanno volteggiando, non puoi vederli, ma li senti benissimo.
Ormai sei consapevole che manca poco alla tua fine, qui, in questo dannato deserto, con lo stomaco bucato, a cuocere al sole, arsa dalla sete.
Stai letteralmente per scoppiare: è una fine lenta e dolorosa, che non ti meriti, ma stavolta hai peccato di superbia, la grande Djanga è stata ingannata da una vecchia socia...
Evidentemente l'offerta che El Diablo ha fatto a Black Queen era superiore alla somma che avreste incassato dalla taglia, e ora ti trovi qua, a contare i secondi che mancano alla tua dipartita.
Da ovest, con il sole rosso del tramonto alle spalle, vedi arrivare la sagoma di un cavaliere vestito di nero, con mantellina e cappello; però ormai ci vedi poco e la testa ti scoppia, forse è un'allucinazione.
Sarà la tua vecchia amica Morte, che
è venuta a salutarti per l'ultima volta, prima di portarti via.
L'uomo a cavallo si ferma a pochi metri di distanza, il suo volto, come il resto del
corpo, è in ombra; si ferma e ti scruta.
«Sei... la Morte?», biascichi, con quel poco di voce che ti è rimasta.
«Quasi», risponde il cavaliere, mentre si accende un sigaro mostrando per quel
breve secondo il suo volto. «Sono il becchino».
Riconosci l'uomo e riesci ad abbozzare un ghigno, il destino a volte è davvero
beffardo.
Perdi definitivamente conoscenza, mentre Sartana scende da cavallo e prende una
borraccia d'acqua e una pala...
Vai al 282.
Per un pelo riesci a ripararti con Anna dietro una mezza
parete di barili e sacchi vari.
Dal fondo della sala arriva un'altra pioggia di proiettili e delle grida:
«Forza, belle, venite avanti, ho proiettili per tutta la notte!».
Allunghi il collo e vedi che, dall'interno di una celletta, attraverso una
griglia di sbarre, un omaccione con la barba e la giacca sudista vi sta sparando
con una mitragliatrice, dalla descrizione ricevuta non può che essere il
caporale Wallace.
Se non vi sbrigate, con tutte queste mitragliate presto i vostri ripari non ci
saranno più.
Continuate a sparare, ma il caporale si protegge dietro il muro della celletta;
ti serve un tiro preciso, dici ad Anna di coprirti mentre prendi la mira.
Si tratta di un bersaglio molto difficile, ma d'altra parte tu sei Djanga!
Vai al 270.
Mentre Cuchilla attraversa il portone, vedi la ruota con la miccia sibilante entrare dentro.
La messicana corre di lato, mentre gli uomini di guardia,
sorpresi, vengono investiti dalla deflagrazione della ruota...
All'interno del cortile trovate un gruppo di charros e qualche ex soldato dalla
logora giacca sudista, con loro ci sono anche delle donne messicane;
l'esplosione li ha storditi e feriti, ora sono tutti a terra, in cerca delle
armi, non capendo cosa stia accadendo.
Voi sparate a destra, a sinistra e di fronte, uccidendo gli uomini che
incrociate, a terra o riparati dietro un tavolo o una sedia. Le donne urlano e
scappano via, qualcuna viene colpita dalle pallottole vaganti.
«Quella è Nadalla», ti dice Anna, tra uno sparo e l'altro, indicando una donna riversa a terra, con un grosso buco in mezzo alle grosse tette.
Il vostro assalto ha prodotto la prima vittima illustre.
Ora è il momento di dividersi: se entri nell'ala est dell'edificio principale
vai al 421; se entri in quella ovest vai al 360; se vai negli edifici esterni di
servizio vai al 304.
«Bene, bene. Guarda chi c'è qui, una bella signora in
fuga...», dice Keoma, rivolto ironicamente a Cuchilla.
«Grazie dell'aiuto», risponde la messicana. «Il villaggio presso cui ero diretta
ha molti bambini poveri che soffrono la fame. Volevo solo renderli felici».
«Già... e se non ci fossimo risvegliati prima del previsto, in quel villaggio ci avrebbero ringraziati a colpi di fucile, scommetto...
Ti è andata male, Cuchilla.
Adesso scendi e te ne torni a casa a piedi.
E ti è andata ancora bene».
«Avrei fatto meglio ad ammazzarvi...».
«Quella messicana non mi è mai piaciuta», ti sussurra Anna.
Fate ritorno al pueblo fantasma e con sollievo di tutti scoprite che la Paluzzi è ancora viva e riesce a sospirare qualche parola.
A questo punto non perdete altro tempo.
C'è il rischio che qualcuno possa piombarvi addosso, specialmente se l'Incassatrice fosse riuscita a mettere insieme qualche superstite del vostro assalto.
Ripartite compatti verso El Paso.
Dopo qualche miglio la strada si biforca, entrambe le
direzioni conducono comunque verso il confine.
Anna non sa dire se una strada sia migliore dell'altra.
Se suggerisci di prendere il sentiero di sinistra, vai al 45.
Se invece suggerisci quello di destra, vai al 182.
Se prima di parlare, preferisci studiare le tracce al suolo, vai al
332.
Con un tiro preciso, apri un buco nella fronte di Rodriguez.
I suoi uomini, i pochi rimasti in piedi, si disperdono subito, costernati per la fine del loro capo. Non vale più la pena di rischiare la vita per un morto.
Lasciate dunque il villaggio, mentre lentamente i peones
scendono in strada gioendo e improvvisando delle danze a suon di musica,
contenti per come avete trattato i loro aguzzini.
Verso il tramonto avete quasi raggiunto il confine con gli Stati Uniti.
Vai al 39.
Metti i dieci dollari sul tavolo, il messicano li prende e li controlla:
«Devi tenerci parecchio per pagare così tanto», commenta.
«Allora, posso vederla?».
«Primo piano, stanza due, mezzora.
E ricorda la mia proposta...».
Sopporti la sua risatina, sali di sopra e bussi alla camera di Lulù; una voce
femminile ti dice di entrare e tu apri la porta.
«Madame...», saluti, entrando.
Vedi una vecchia cessa sui sessantanni, che si spazzola i
capelli allo specchio.
«Oh, ogni tanto qualcuno che mi chiama "madame"», dice, continuando a
spazzolarsi i capelli. «Vieni avanti, ogni tanto c'è anche qualche bella donna».
«Madame, ho saputo che ha due biglietti per la diligenza di domani, io ne
avrei una grande necessità, così mi chiedevo se pagandola non...».
«Oh no, ho sudato per farmi quei soldi e comprarmi i biglietti, puoi
scordartelo», risponde seccata, puntando la spazzola verso di te. «Quelli sono i
biglietti per una nuova vita, e non li vendo nemmeno per cento dollari o
duecento».
«Beh, forse possiamo trovare... un accordo», insisti.
«E di che genere?».
«Forse posso fare qualcosa per te, sì, qualcosa che per te valga quei due
biglietti».
«Uhm... devi avere molta fretta, bella».
«Sì, abbastanza».
Lulù riflette per un po', senza dire nulla, poi ti guarda: «Ci sai fare con
la pistola?».
«Sì, me la cavo», rispondi con modestia.
«Fai fuori quel serpente di Ramirez e i biglietti sono tuoi».
«Cobra Ramirez?».
«E chi se no?».
«Più che un serpente, m'è sembrato un grosso idiota».
«Attenta, non sottovalutarlo».
«Il secondo biglietto per chi è?».
«Mi faccio accompagnare da uno dei miei clienti più assidui, ha una cotta per
me».
«Sa sparare?».
«Se fosse veloce come a letto… sarebbe il pistolero più temibile del West…».
«Gli dirai che il viaggio è rimandato».
Detto questo, esci dalla stanza e scendi di sotto.
Se vuoi provocare Cobra Ramirez per sfidarlo a duello vai al 386,
se pensi che non ne valga la pena puoi cercare i biglietti in altro modo:
cercando Joe Dalton (vai al 168), Bill Duke (vai al 268), o rintracciando Sam
Wallash (vai al 490), altrimenti puoi sempre aspettare che torni Sartana,
sperando gli sia andata meglio (252).
Ricordi di aver già visto in Messico questa immagine, si tratta della Santa Muerte, una figura legata a un culto precolombiano di origine azteca.
Questo culto è rimasto presente nei secoli in alcuni piccoli gruppi messicani, e recentemente sta ritornando in voga tra peones e banditi.
In molti qui
vivono nella miseria e nell'ingiustizia, e pare trovino conforto pregando questa
personificazione della Morte, perché, dicono, la Morte non fa distinzione tra
ricchi, poveri, banditi o uomini di legge.
Ovviamente non sai se la medaglietta appartenesse a Cobra Ramirez o fosse un suo
trofeo, come gli altri pendagli o le ciocche di capelli.
Esci dal saloon proprio mentre arriva lo sceriffo con due vice armati di
doppietta.
Se lo hai già incontrato vai al 372, altrimenti vai al 106.
21
Arrivate davanti all'ufficio dello sceriffo.
Entrate proprio mentre, con due vice, la sorella di Sabata sta sbattendo in
cella, senza troppi complimenti, un paio di cowboy.
«Hai tempo per noi?», le domanda Sartana.
Se avete già pranzato vai al 225, altrimenti vai al 216.
Il corpo di Black Queen è a mollo nel suo stesso sangue, l'hai fulminata con un preciso colpo allo stomaco; rinfoderi l'arma mentre arrivano tre cinesi a controllare.
Dai loro dieci dollari: «Questi sono per il segaossa, ma non so se c'arriva.
Altrimenti dateli al becchino».
L'incidente ha causato un gran caos, se Cuchilla era qui, di sicuro se ne è
andata.
Puoi provare a cercarla al mercato (367), alla stazione di posta (131), o al saloon Lone Star (80); se ci hai già provato, ma senza successo, vai al 316.
Mentre arriva una barella per Black Queen, parli di lei a Najada.
Dalla frenesia con cui i cinesi la portano via, si direbbe in fin di vita, un braccio della mulatta penzola nel vuoto dal bordo della barella; forse non volevi arrivare a tanto, ma pare proprio che c'abbia rimesso la pelle.
I cinesi le urlano addosso per incoraggiarla; però sembra che Queen sia destinata ad arrivare cadavere dal dottore.
Invece tira su il braccio, portandosi la mano sullo stomaco, e mormora qualcosa: «Tranquilli... ne ho viste... di peggio...».
«Presto, presto! È viva!», urlano i cinesi, esaltati dalla reazione di Black Queen.
«Andiamo via anche noi...», dici alle tue compagne.
«Emiliano, presto», dice la locandiera a un ragazzino, «corri a chiamare Pedro, i
signori devono far riposare i cavalli».
Un minuto dopo ecco arrivare Pedro, il messicano che avete già incontrato due
volte oggi.
«Ben ritrovati, señores, ai vostri cavalli penso io».
Affidati i cavalli alle cure di Pedro, ora potete riempirvi la pancia.
Vai al 260.
Anna non vi ha fornito molte informazioni per cercare questa
messicana, sapete solo che è sempre in mezzo ai guai e che ci sa fare col
coltello.
Per fare più in fretta decidete di dividervi, vi ritroverete fra due ore qui
davanti.
Se hai conosciuto Pedro, il messicano, vai al 72; altrimenti vai al
394.
La prima tappa del viaggio è El Paso: «Qui», dice Sartana, «c'è una
donna che può
darci delle informazioni sul colonnello Jackson».
Tu sei ancora dolorante e sei giorni a cavallo ti sfiancherebbero oltremodo,
così individuate due possibilità: raggiungere a cavallo Daisy Town, a solo un
paio di ore da qui, e prendere la diligenza, altrimenti partire alla volta di
Poker City, a un giorno di strada, e prendere il treno.
Se andate a Daisy Town, vai al 111; se invece prendete la strada per Poker City,
vai al 223.
Attraversate il grande ponte che collega lo stato messicano di Chihuahua al
Texas, e rientrate così negli Stati Uniti.
Ormai è sera e dovete trovare un posto per il bivacco e per passare la notte.
Vi fermate vicino all'argine del fiume, dove potete fermarvi a riposare,
accendete un bel fuoco e date fondo alle ultime provviste.
Sartana è costantemente impegnato dalla Paluzzi, che pur stabile è sempre molto grave. Tutti andate a visitarla e a incoraggiarla. Anna non sembra mostrare risentimento. D'altra parte è tutta acqua passata, ormai; adesso ha te.
Jackson, invece, viene tenuto lontano; d'altra parte non mostra alcun interesse
per la sorte della sua ex compagna.
Vai al 91.
42
«Quel figlio di un serpente ha fatto un accordo con il governo del Texas: ha
venduto alcuni dei suoi compari più pericolosi in cambio della rimozione della
taglia. E ora se ne è andato tranquillamente nel New Mexico».
«E Black Queen?».
«Beh, Queen mi ha detto di salutarti, niente di personale, ha tenuto a precisare,
solo affari. Se poi El Diablo ha voluto metterti una pallottola in pancia, lei
non ne ha colpa».
«Con Black Queen pareggerò i conti la prossima volta, ora dimmi perché hai
bisogno di me».
Vai al 487.
44
Lo sceriffo alla fine disperde la folla, e anche voi fate ritorno all'albergo.
Sembra che per la cittadina di Bronson questa sia stata una serata movimentata.
Tornate all'hotel e vi mettete a letto.
Il mattino seguente ripartite per El Paso.
Il viaggio prosegue senza ulteriori interruzioni, se non per le soste
intermedie; arrivate a El Paso in tarda mattinata.
Vai al 511.
Dapprima incontrate solo qualche cespuglio, ma la vegetazione si fa sempre più
rigogliosa, finché non raggiungete la staccionata di una piantagione.
La costeggiate, superando anche un ruscello, e vi ritrovate ai margini di un
piccolo centro abitato, formato da una dozzina di case di calcina bianca.
Anna dice che questo posto dovrebbe essere Fuente Amarga, un piccolo villaggio
di peones che lavorano per un fazendero della zona.
Decidete di fermarvi qui per far riposare i cavalli e mangiare qualcosa, visto
che ormai è mezzogiorno passato.
Gli abitanti quando vi vedono corrono a nascondersi in casa, spaventati dalla
vostra presenza, soprattutto da quella di Sartana, che ha proprio l'aria di un
becchino che si procacci il lavoro da sé stesso.
Vi fermate in una piccola piazza, dove c'è un abbeveratoio per cavalli e una
povera locanda. Il villaggio è parecchio silenzioso, salvo il raglio di qualche
asino.
Sistemati i cavalli, entrate nella locanda: ci sono tre grossi tavoli di legno,
un forno di pietra e mattoni e una cantina piuttosto scarsa.
Sartana è rimasto accanto alla Paluzzi.
Il vostro ingresso in paese non è passato inosservato e poco dopo entrano dentro
la locanda due uomini con un cipiglio poco rassicurante e le mani sul cinturone,
non sono peones, si direbbero più guardiani della fazenda, di quelli che
frustano i peones e i neri per farli lavorare più sodo.
I due vi squadrano senza dire nulla, poi si avvicinano: «Ehi, voi non siete il
colonnello Jackson?», domandano.
«In persona, hombre», risponde il colonnello.
«E siete legato?».
«Il colonnello è sotto la nostra protezione, deve venire con noi», rispondi
secca.
«Questo è il Messico, bellezza», dice uno dei due, «e qui la protezione la può
dare solo el señor Rodriguez».
Tu, con gesto fulmineo, gli punti la pistola contro; Anna e Keoma ti imitano
all'istante.
I due sbiancano e si allontanano: «Non crediate di farla franca!», esclamano
uscendo.
«Meglio muoversi», dice Keoma. «Torneranno tra poco e saranno in parecchi».
Jackson se la ride: «Rodriguez è un mio vecchio amico, verrà in mio soccorso.
Qua intorno è tutto suo».
In pochi minuti finite di mangiare e pagate il conto, ma quando Keoma sta per
uscire dalla locanda per andare dai cavalli, un proiettile lo prende di striscio
alla fronte, conficcandosi nello stipite della porta.
Immediatamente vi organizzate: tu ti metti a una finestra, Anna all'altra,
Najada rimane accanto a Jackson e Keoma rientra nella locanda, toccandosi la
fronte. Sartana per il momento è rimasto fuori dalla mischia, nessuno pare
sospettare che il vostro carro trasporti un carico così prezioso.
Vedi un individuo sui sessant'anni a cavallo, con indosso dei costosi abiti di
foggia messicana, seguito da almeno una dozzina di uomini armati.
«Jackson, sei lì dentro?!», lo senti chiamare.
«Sono qui, Rodriguez!».
«Sono Miguel Rodriguez!
Parlo agli uomini e alle donne che sono nella locanda.
Rilasciate immediatamente il mio amico Jackson e vi prometto che non vi sarà
fatto alcun male».
«Mi spiace, signor Rodriguez», risponde Anna dalla finestra, «ma devo portarlo
negli Stati Uniti, dove sarà processato.
Sono Anna Frazer, lo sceriffo di El Paso, e se ostacolerete la giustizia, lo Stato del Texas emetterà una taglia contro di voi.
Perderete tutti i vostri affari, signor Rodriguez. Pensateci».
«E così gli sceriffi degli Stati Uniti credono di fare ciò che vogliono anche in Messico? E anziché una stella di latta sul petto, portano in giro due zinne sgonfie?
Bene, ne informerò il mio personale amico, il Governatore!».
«Faccia pure, Rodriguez. Ma due zinne come le mie, se le sogna!».
Il fazendero guarda l'orologio da taschino: «Vi do cinque minuti per rilasciare
Jackson; se non obbedirete al mio ordine, faremo irruzione e vi uccideremo
tutti, uomini e non».
Per cercare di guadagnare tempo pensate ad un piano.
Vi dividerete in due coppie: una andrà di sopra e una resterà di sotto.
Se vuoi salire vai al 134, se resti qui vai al 198.
Anna ti fissa: «Vado a dare un'occhiata ai cavalli».
«Non ti lascio andare da sola».
La
luna illumina debolmente il terreno roccioso su cui sorgeva Silvermine, e hai
come l'impressione di vedere ombre che strisciano lungo le pareti dei vecchi
edifici diroccati e occhi che vi fissano dal buio delle finestre senza vetri.
Aguzza i sensi, Djanga!
Vai al 178.
Ti fai largo tra la folla rumorosa
e raggiungi il tavolo di Cobra Ramirez, un messicano con un vestito verde da
charro; sta parlottando con un cowboy dal volto sfregiato che tiene in bocca un
fiammifero.
«Sei tu Cobra Ramirez?», domandi.
«Chi sei?», risponde prontamente.
«Cerco Lulù, è disponibile?».
«Ah, questa poi...
Dipende. Li hai dieci verdoni?
A meno che tu non voglia produrre
anziché consumare...», e ride come l'idiota che mostra di essere.
Se li hai e vuoi pagare vai al 16, se non li hai o non vuoi
spendere così tanto per una donna vai al 61.
Il viaggio prosegue senza ulteriori problemi.
Chiuso Jackson in cella, e consegnata al dottore Luciana Paluzzi, vi spostate
verso la Central Bank di El Paso.
«Qui fuori ci sono circa duecentocinquantamila dollari in oro dell'esercito degli
Stati Uniti, credo ci sia una ricompensa del 10% da riscuotere», dice Sartana.
Il
direttore di banca, sorpreso dal vostro ingresso, guarda la sceriffa che, con un
sorriso, annuisce.
Quattro impiegati trasportano il baule nell'ufficio a fianco, dove c'è una delle
casseforti più resistenti e pesanti di tutto il Texas.
«I signori incassano anche delle taglie», aggiunge Anna.
Sartana si fa avanti, verso il banco dietro al quale c'è il direttore, ben
vestito e con occhialini tondi; ci posa sopra il manifesto con la taglia di Jackson e i galloni dei suoi uomini: fanno
17.000 dollari».
Finite le formalità, il direttore mette mano alla cassa e tira fuori 42.000
dollari, che inserisce in un sacchetto; quindi vi appartate per dividere il
premio:
«Sono 10.500 dollari a testa», dice Sartana. «La sceriffa non ha titolo per
incassare».
«Penso che 10.000 vadano bene per tutti; i rimanenti 2.000 li daremo alla Paluzzi, per pagarsi il medico o il funerale; in fondo non c'è una taglia sulla tua testa e tra belle donne bisogna avere rispetto».
Nessuno replica.
«A te penso io, cara...», sussurri ad Anna, spingendola pancia su pancia.
«Bene, signore e signori; vi ringrazio per la collaborazione, direi che possiamo scogliere qui la nostra società», conclude Sartana.
«Noi invece la proseguiamo, Anna...
Al diavolo El Diablo e tutti gli altri; io metto radici qui, cara... con te».
«E con 70.000 dollari extra da spendere in camicie sbottonate...».
Una stretta di zinne suggella il fatale patto.
L'Incassatrice, che non ha mariti, è scesa a 40.000; alle altre due coppie, i rispettivi 70.000.
I conti sembrano tornare.
E stanotte torneranno del tutto: due messicani appartenenti alla banda dell'Incassatrice, la stessa che ha messo in salvo la metà del suo tesoro, libereranno il colonnello per sottrarlo alla forca.
Perché c'è sempre chi ride e chi piange, sotto qualunque bandiera, ed è meglio stare fra quelli che ridono.
F I N E
La
luce lunare è sufficiente solo per non uscire di strada, dovete trovare un
riparo sicuro per la notte.
«C'è la vecchia fazenda dei Montoya qui vicino», dice Cuchilla, mentre guida il
carro, «è stata abbandonata dopo che i peones si sono rivoltati contro i padroni
che li trattavano male e li torturavano. Un giorno hanno catturato i Montoya, li
hanno sepolti con la testa fuori dalla sabbia e li hanno lasciati lì a morire.
Morti loro, tutta la piantagione è andata in malora. Prima di andarsene i peones
hanno dato fuoco anche a tutto il pueblo, ora non ci sono che rovine».
«È distante?», domanda Sartana.
«Poche miglia, tra poco dobbiamo svoltare su una strada laterale non più
battuta, ma dovremmo arrivarci facilmente anche con il buio».
«Bene, fai strada, meglio levarsi dalla strada principale per ora, quelle donne
che sono scappate avranno già avvisato qualcuno del massacro che abbiamo fatto.
E
poi l'Incassatrice ci è sfuggita... potrebbe riorganizzare un gruppo di
desperados sotto il suo comando, avrei preferita lasciarla cadavere, anche se
non nego trattarsi di una bella donna...».
Tutti d'accordo, vi dirigete verso la fazenda abbandonata dei Montoya, prendete
il percorso laterale che una volta portava alle piantagioni, ma che ora è terra
brulla e disseminata di piante infestanti e rocce.
Dopo non molto avvistate il muro di cinta con l'ingresso ad arco ed entrate nel
cortile principale del pueblo, dove una volta c'era la casa padronale dei
Montoya, quelle dei peones e gli edifici di servizio come stalle, dispensa e
magazzini.
Scendete da cavallo e accendete un fuoco al centro del cortile.
Sartana continua a occuparsi di Luciana Paluzzi, ma intorno a lei c'è
concitazione. Troppa.
Vai al 105.
Vi avvicinate al saloon, da cui
proviene il solito chiasso, quando un uomo, evidentemente alticcio, viene
sbattuto fuori dalle porte dondolanti.
Un cartello all'ingresso recita: "Vietato l'ingresso ai cani e agli indiani".
«Forse è meglio se ti aspetto qui», dice Keoma.
Se vuoi entrare lo stesso con il tuo pard vai al 289, se concordi con lui entra
da sola al 190.
Intanto anche
Cuchilla si è unita alla tavolata.
Sartana le chiede che strada intenda fare per raggiungere il covo di Jackson.
«Le strade per raggiungere la missione spagnola sono tutte pattugliate, señor;
c'è solo una strada da cui non si aspettano che qualcuno arrivi: è un vecchio
sentiero che attraversa la
Sierra Encantada».
Vai al 173.
Scendi dalla diligenza per andare a
vedere di cosa si tratti.
Con il cocchiere e la guardia raggiungete a piedi il carro: due avvoltoi stanno
pasteggiando con il cadavere di un uomo dal ventre squarciato da un coltello, i
cavalli non ci sono più, per terra c'è una gran confusione di abiti, merce,
sacchi, cassette di legno...
La vostra presenza scaccia gli uccellacci.
Getti un occhio dentro al carro dove avverti un fastidioso ronzio di mosche, e
allora vedi il corpo martoriato di una povera donna, ha la gola tagliata, così
come la gonna, la
sottana e le mutande; anche lungo le gambe ha del sangue rappreso.
Qualcuno l'ha violentata e poi uccisa.
Vai al 518.
Entri nel saloon, ti avvicini al barista e gli domandi di Cuchilla.
«Se vuoi un'informazione, devi comprare qualcosa, o venderla...», ti risponde, guardandoti
allusivamente in mezzo alle zinne.
Ordini un bicchiere di whisky, il barista ti serve: «Oggi non si è vista.
Prova
a chiedere ai suoi compari, là dietro».
Vedi due messicani intenti uno a pulire il pavimento e l'altro a svuotare le
sputacchiere.
Ti avvicini e chiedi di Cuchilla, ma nessuno dei due l'ha vista oggi.
Aguzza i sensi e vai al 302.
Prendi di tasca la borchia che hai
trovato sotto il cadavere della donna, sembra proprio quella mancante dal
cinturone di Garret, e ora capisci: lui è l'assassino, ha incolpato la
mezzosangue per far chiudere in fretta l'inchiesta.
Se vuoi avvisare lo sceriffo vai al 328, se invece vuoi lanciare la borchia a
Garret e vedere la sua reazione vai al 288.
Riponi l'arma e fissi Anna negli occhi; lei capisce subito e si stringe addosso a te, in tutta la sua carne.
«Siamo noi le vere sbottonate... non quella zoccola di Luciana Paluzzi», sussurra.
«C'è da mangiare tanto qui dentro...», rispondi, abbassando gli occhi sulle zinne e la pancia gonfia, alludendo pure alla dispensa.
«Djanga contro la Sbottonata... un titolo ambiguo, non credi?».
Rimanete avvinghiate per un po', poi sei costretta a fare qualcosa, altrimenti i tuoi compagni mangeranno la foglia.
Fai irruzione nell'edificio a fianco (334).
Keoma dà una mano a Sartana, nel prendersi cura della Paluzzi, anche se non si può fare molto: le prospettive per l'importante donna non sono buone.
Dopo essere stato in silenzio quasi tutto il tempo, il colonnello Jackson, cui avete liberato le mani per mangiare, vi guarda: «Siete tutti ottimi pistoleri, comprese voi donne; se foste stati ai miei ordini forse il Sud non avrebbe perso».
«La guerra è finita da un pezzo, colonnello», gli rispondi. «Una bandiera o l'altra, non cambia molto: c'è chi ride e c'è chi piange; e lei ha pensato soprattutto a ridere in Messico...».
«Io... forse... quella puttana... mi ha fatto perdere la testa... e voi... provate ancora a salvarle la pelle...». Jackson sembra quasi confessarsi.
Keoma tira fuori una bottiglia di whisky e la porge al colonnello: «Beva, si sentirà meglio, è la sua ultima notte di libertà.
Il
whisky aiuta a sopportare i rimpianti...».
Bevete tutti un sorso e poi vi accordate per fare i turni di guardia a coppie,
esentando Sartana, impegnato con la Paluzzi.
La notte sembra scorrere tranquilla, ma è solo un'impressione.
Mentre tu e Anna siete un po' troppo distratte l'una dall'altra, l'Incassatrice scivola silenziosa fino ai margini del vostro bivacco, mettendo le mani su Jackson.
«Buono, colonnello... lasciate fare a me...», gli sussurra. «Alzatevi...».
Tenendogli un coltello alla gola, Romina Lopez si presenta.
«Sveglia, cabrones!
Sono l'Incassatrice e voglio una fetta della torta, o questo maiale arriverà in cattiva salute al suo processo...».
La massiccia e potente messicana si tiene addosso il colonnello, che deve sentire le grasse zinne della donna sbattergli contro la schiena.
«Voglio 50.000 dollari, non sono ingorda, la torta è abbastanza grande per tutti».
«Se diamo 50.000 dollari a te, bella Incassatrice, a noi rimangono solo gli spiccioli...», cerchi di farla ragionare, prima di far parlare le pistole.
«Non è detto, bonita...
Con 50.000 dollari acquistate a buon mercato un massiccio capro espiatorio».
«Ehi! E io che ci guadagno?», protesta il colonnello.
«Una corda un po' meno stretta...», gli risponde Anna, sempre svelta.
Vai al 54.
«Ce
li faremo bastare...», bofonchia Sartana, mordendo il sigaro. «A turno uno di
noi seguirà la diligenza col cavallo».
Prendete due stanze all'hotel Liberty, mangiate al ristorante e la sera andate a
letto dopo una rapida bevuta al bar dell'albergo.
Vi svegliate poco dopo l'alba, prendete una bella tazza di caffè al ristorante
dell'hotel e vi dirigete alla Wells Fargo, dove vedete la Caravan Imperium, con
i suoi otto cavalli, pronta a partire.
Quando avete raggiunto la diligenza vedete l'impiegato della Wells Fargo
chiamarvi.
«Abbiamo tre posti liberi, signori», vi dice l'impiegato. «Tre persone non si
sono presentate. Vi interessano ancora?».
Acquistate il biglietto che vi manca e poi salite sulla spaziosa diligenza dopo
aver mostrato i biglietti al cocchiere. Con voi viaggiano altre persone, tra cui
quattro facce sporche e poco rassicuranti.
Alle otto precise la diligenza parte.
Vi mettete in viaggio verso la prossima stazione di posta, a circa un'ora di
strada.
Vai al 179.
Keoma sta cercando di fare qualcosa per la Paluzzi.
Purtroppo la ferita sembra mortale. La donna a tratti perde i sensi, poi ha un blando risveglio, ma non può andare avanti per molto.
Sartana sembra più preoccupato di Jackson.
Le hanno sollevato le gambe quasi in verticale, per farle affluire più sangue al cuore.
«E
ora?», domandi a Sartana. «Dove portiamo Jackson e l'oro recuperato?».
«A El Paso. Penserà a tutto Anna. Poi andremo in banca a incassare».
«Per me va bene».
Ti avvicini ad Anna e la tocchi: «Abbiamo fatto i quattrini e non abbiamo rischiato più di tanto...
Ti sento come una moglie, cara...».
«Sei lo stesso per me...», ti risponde la potente sceriffa. «Nessuno può toccarci, abbiamo tutto quello che ci serve...», stringendosi a te, zinna contro zinna.
«Sartana! Presto!», Keoma lo chiama con urgenza.
È chiaro che non ci sono buone notizie.
La Paluzzi è in fin di vita, è rimasta con la bocca aperta e gli occhi socchiusi.
Respira ancora, ma è penoso vedere una donna così potente spegnersi come una mignotta.
Sartana le asciuga il collo, imperlato di sudore, cercando di parlarle: «Calma... stai calma... non perdere il controllo... apri gli occhi... stai in guardia... se perdi il controllo, è finita...».
«È morta?», chiede Jackson, legato in disparte, con un certo tono di indifferenza.
Ma nessuno gli risponde.
Vai al 497.
106
«Che succede qui?», tuona lo sceriffo Luke. «Chi ha fatto secco Cobra Ramirez?».
«È stato un caso di legittima difesa, sceriffo», rispondi, «tutti possono
testimoniarlo».
«Ti conosco, bella: tu sei Djanga, la cacciatrice di taglie».
«Al vostro servizio, sceriffo».
«Fa’ poco lo spiritosa, e vedi di lasciare la mia città entro domattina, o
saranno guai per te e il tuo amico».
«È mia intenzione andare via al più presto. Glielo assicuro».
«Ora vattene. Levatevi dai piedi».
Lasci lo sceriffo ed esci.
Se vuoi puoi attendere il ritorno di Sartana al 252,
altrimenti puoi cercare Joe Dalton (vai al 168), Bill Duke (vai al 268), o
rintracciare Sam Wallash (vai al 490).
Sellate i cavalli e prendete il
sentiero che conduce a Daisy Town.
La strada è poco frequentata, gli alberi sono radi in questa zona, ben presto vi
trovate in una zona pianeggiante dove coloni e rancheros gestiscono appezzamenti
per la coltura e per l'allevamento.
A poche miglia di distanza dalla cittadina iniziate a incrociare cowboy a
cavallo, allevatori su carri o commercianti su calesse.
Daisy Town è stata fondata ormai venti anni fa, da allora è molto cresciuta,
superando i cinquecento abitanti; ben presto, però, è diventata
preda di briganti e rapinatori, come sempre quando una cittadina si ingrandisce,
si arricchisce e diventa un piccolo centro commerciale, con saloon, negozi,
banche, e case da gioco.
Entrate in paese, come al solito la città è molto viva, con diverse persone in
giro o a cavallo, per affari e commercio.
Vi
fermate davanti alla Wells Fargo, l'agenzia che gestisce le diligenze in
transito per Daisy Town.
Tu e Sartana entrate a chiedere tre biglietti.
«Mi dispiace, signori, la diligenza Caravan Imperium di domani è al completo,
avrei posto fra... sette giorni può andare bene?».
«Una settimana? No che non va bene, dobbiamo partire domani», ringhia Sartana.
L'impiegato, intimorito, cerca di convincere il tuo compare: «Mi spiace, l'Imperium
è una diligenza molto grande, da dodici posti e quattro coppie di cavalli a
tirare, ma i posti sono già tutti venduti... se avete molta fretta, posso
solo suggerirvi... beh, di convincere chi ha acquistato i biglietti a
cederveli».
«Dammi la lista».
«Subito», l'impiegato annota rapidamente su un foglio i nomi delle persone che
hanno prenotato, e poi lo passa con mano tremante a Sartana.
Dei nomi della lista, l'unico a vivere fuori città è un ranchero di nome Joe
Starret, che ha comprato giusto tre biglietti. Gli altri viaggiatori vivono
tutti in paese.
Decidete di dividervi.
Se vai con Keoma da Starret vai al 14, se invece rimani in paese e lasci che sia
Sartana ad andare a convincere il ranchero vai al 462.
Al passaggio della
Santa Muerte, qualcuno alza delle immagini cristiane, dipinti ed effigi
di santi, ramoscelli di ulivo e foglie di palma, e dà loro fuoco urlando lodi
alla Morte.
La folla depone la statua al centro della piazza.
I fedeli lasciano
ai suoi piedi doni, offerte, fiori, cesti con pane, grano, frumento, acqua,
verdure.
Vai al 188.
D'un tratto sentite un gran clamore: un gruppo di uomini esce da un porticato.
Trasportano un
baldacchino illuminato da candele e torce; sul baldacchino c'è la statua a
grandezza naturale di una donna seduta, con il
velo sul capo, ma il suo volto è quello di un teschio.
Al suo passaggio in molti alzano le braccia e invocano preghiere, lanciano fiori
e toccano la statua: è la Santa Muerte.
Se hai già visto questa effige vai al 116, altrimenti vai al
242.
Seguendo alcuni cartelli
pubblicitari, raggiungete i bagni pubblici.
Si tratta di un grande edificio, vedi parecchia gente entrare e uscire, sia
uomini che donne.
Attraversato un porticato, entrate in una sala d'ingresso: subito venite accolte
da un profumo inebriante di balsami, lavanda, menta, rosmarino e altre piante
aromatiche.
Una donna cinese ti saluta con un inchino: «Buon giorno, vuole fare un bagno,
sì? Prego, legga pure i nostri servizi»; la donna ti indica un grosso cartello
in tre lingue: inglese, spagnolo e cinese; sono i vari servizi della casa con i
relativi prezzi.
Tu annuisci: «Va bene, siamo in tre».
«Prego, seguitemi».
Dalla sala di ingresso in cui vi trovate, si dipartono due corridoi, a destra
per le signore, a sinistra per gli uomini.
La cinese percorre il corridoio fino a uno spogliatoio piuttosto grande, con
panche e
asciugamani, l'aria è molto umida, intrisa del vapore dell'acqua calda che
proviene dalle vasche.
Da quanto capisci potete accedere, discesi tre gradini, a una sala con delle
vasche comuni: sono delle tinozze di legno tonde, dal diametro di circa sei
metri e con sponde alte un metro, riempite continuamente di acqua calda, sapone
in scaglie e balsamo.
Invece un altro corridoio dà su una
serie di piccole alcove chiuse ognuna da una tenda; incuriosita, ne tiri
leggermente una scoprendo una vasca singola.
Noti che oltre ai cinesi che dirigono la casa, ci sono dei messicani che
fanno i lavori di fatica, come cambiare l'acqua, pulire le vasche e lo
spogliatoio, e cambiare gli asciugamani.
Se sei già stata al mercato, alla stazione di posta, o al saloon Lone Star, vai
al 458; altrimenti affila i sensi e vai al 435.
Alla stazione di
posta ci sono parecchie diligenze che vanno e vengono, da El Paso è possibile
raggiungere le maggiori città del Texas, e un cartello indica tutti gli orari e
i costi dei biglietti.
Nel via-vai di gente ci sono anche numerosi messicani che si offrono di portare
borse, bauli e casse ai viaggiatori.
Forse Cuchilla è qui o qualcuno l'ha vista.
Vai al 554.
Sali
con Anna al piano superiore della locanda: c'è un enorme salone usato come
dormitorio, ci sono due finestre che danno sulla via principale e una terza sul
fianco della casa che dà sull'abbeveratoio dei cavalli.
«Quelli sono capaci di dare fuoco alla locanda pur di stanarci», dice la tua
donna, osservando dalla finestra i movimenti dei messicani.
«Noi
siamo in una posizione di vantaggio da quassù, abbiamo campo libero per sparare
con i fucili, e il riparo del muro».
«Non esserne tanto sicura, cara...», Anna scruta la strada e anche tu ti sporgi,
e un brivido ti corre lungo la schiena, quando vedi gli uomini di Rodriguez
portare avanti un cannone d'artiglieria Dahlgren, di quelli in uso durante la
guerra di secessione.
«Altro che dar fuoco», mormori, «quelli vogliono buttare giù tutta la
locanda...».
«Basta un solo tiro di quel cannone e questo posto viene giù tutto», conferma
Anna. «Che si fa?».
«Possiamo tirare a tutti gli uomini di Rodriguez», rispondi.
«Non so... appena prendiamo il primo, qualcuno farà partire la cannonata.
Dovremmo concentrare il fuoco sul cannoniere, ma da qui non è facile...».
Una fucilata risponde ad Anna.
Sartana ha centrato il cannoniere di Rodriguez!
A questo punto, aprite il fuoco tutti insieme.
Vai al 245.
137
Il viaggio prosegue senza intoppi fino alla stazione di posta successiva, a
ogni stazione c'è chi scende e chi sale, e quando è ora di pranzo vi fermate in
una piccola città di nome Eastwood.
La diligenza ripartirà tra un'ora circa, per cui potete fermarvi a mangiare alla
stazione di posta (521), o cercare un ristorante (274).
Ti
viene affidato il compito di preparare la ruota esplosiva: sistemi un candelotto
dentro al mozzo, mentre con dello spago leghi altri due candelotti ai raggi
della ruota.
Agendo col favore del buio, vi avvicinate piano piano al recinto della missione,
sul lato settentrionale, dove c'è il portone di ingresso.
Trovate riparo dietro ad alcune rocce e attendete che Cuchilla si faccia aprire,
intanto Sartana ti porge un fiammifero e ti tieni pronta ad accendere la miccia.
Dalla missione giungono urla e schiamazzi; se, come speri, non lesineranno
tequila e whisky, sarà più facile sopraffarli.
Cuchilla con la sua cavalcatura si avvicina lentamente al portone.
La
osservi in silenzio, stringendo il fiammifero tra le dita, mentre i tuoi compari
mettono mano a fucili e pistole, pronti a fare fuoco.
«Señores!», grida la messicana. «Aprite, señores! Ho importanti notizie da dare
a El
Coronel Jackson!».
Vedi uno sportellino nel portone aprirsi: «Chi sei?! Che vuoi?!».
«Mi chiamo Cuchilla, señor, devo parlare con El Coronel».
«Il colonnello Jackson non parla con le puttane, vattene via!».
«Voi non capite, señor, ho notizie molto importanti per lui... ci sono dei
gringos che lo cercano... per matarlo».
«Come? Matarlo? Gringos? Chi sono?».
«Mi faccia parlare con El Coronel, prego».
«Aspetta».
Sentite il portone aprirsi, è il tuo momento: ti avvicini di lato a circa venti
metri, accendi la miccia e lanci la ruota in direzione del portone che si sta
spalancando...
Vai al 10.
Man mano che vi
addentrate nel Messico il paesaggio si fa più desolato: sabbia, rocce, pozzi
prosciugati, povere case abbandonate, sparuti villaggi quasi deserti dove
riempite le borracce. Arrivano alcuni bambinetti vestiti di stracci e date loro
un po' di pesos perché diano ai cavalli fieno e acqua.
In una piccola piazza vuota circondata da povere case dai tetti di paglia, vi
fermate a mangiare; qui non ci sono locande, stazioni o negozi, per cui mettete
mano alle vostre scorte.
Prima di ripartire vi prendete una breve pausa all'ombra, intanto che i cavalli
mangiano e si riposano.
Da dietro le tende di porte e finestre i pochi abitanti vi scrutano, sono tutti
messicani, gente povera che vive alla giornata.
Spesso gli uomini di questi
villaggi stanno via intere settimane a lavorare nelle fazendas di qualche ricco
possidente per un pugnetto di dollari; tornano al villaggio con un po' di
provviste per la famiglia, si fermano uno o due giorni, e poi ripartono.
Mentre sei seduta all'ombra, vedi sotto al porticato di un edificio, uno strano
dipinto sotto cui sono ammassati lumini e candele, offerte,
messaggi e fiori.
Se vuoi avvicinarti vai al 504, altrimenti vai al 284.
Con
una fulminea sbracciata, le fai saltare di mano il coltello; poi riprendi
la pistola e gliela punti contro.
«Ehi, no, señora, non sparare, io scherzavo», si giustifica la messicana.
«Resta dove sei, stupida», le ordini.
Se sei entrata nella stalla con l'appoggio di Keoma vai al 264, se sei
completamente da sola vai al 296.
170
Un quarto d'ora più tardi, tra il borbottio dei passeggeri, il cocchiere ritorna
al suo posto e sprona i cavalli a ripartire.
«E dunque?», chiedi nuovamente, affacciata al finestrino.
«Troppo tardi. Una coppia di coloni è stata derubata e assassinata, non c'era
niente da fare. Segnalerò il luogo alla prossima stazione e torneremo a prendere
i corpi perché abbiano degna sepoltura».
Al tramonto arrivate finalmente a Bronson, qui potete cenare e pernottare,
domani riprenderete il viaggio.
Vai al 508.
La Sierra Encantada
è una zona impervia, dove, fino a pochi anni prima, sorgeva un villaggio di cercatori d'argento.
A furia di scavare, però, una miniera crollò e più di venti uomini morirono
sepolti dalle macerie.
Al suo posto ora c'è solo una ghost town.
Vai al 369.
175
Tra
i cacciatori di taglie ne riconosci qualcuno con cui hai avuto a che fare: Wild
Cat Hendrix, noto anche per la sua passione in favore del gioco d'azzardo;
ha dei conti in sospeso con Sartana, se non ricordi male; L.J. Carradine, un
cacciatore di taglie ormai in là con gli anni, ma sempre in gamba; Clint Bennet,
detto Clint il Solitario, un professionista del Colorado che lavora sempre da
solo.
Tutta gente rapida e letale, ma che
non ritenete possa fare al caso vostro.
Vai al 295.
«La Santa Muerte...»,
ti volti e vedi Cuchilla che sgranocchia una pannocchia lessa. «Molti peones la
venerano, dicono che la Morte tratta tutti in egual modo, per questo porta la
bilancia con sé».
«Credevo che la gente di qui fosse cristiana».
«Sì, per la maggior parte, ma sai... noi siamo gente povera, viviamo sempre
sotto lo stivale di qualche uomo ricco e potente. I preti ci hanno insegnato a
pregare, a perdonare, che Dio è misericordioso, che la Madonna ci protegge,
basta pregarli... ma dopo tanti anni di miseria per noi, i nostri genitori e i
nostri figli... in tanti hanno capito che pregare non serve; i ricchi non
pregano eppure hanno tutto, noi preghiamo e non abbiamo niente, anzi... ci
uccidono come mosche, ci affamano, ci spezzano la schiena nei loro campi... la
Santa Muerte non ti inganna, non ti parla di salvezza eterna e di misericordia,
ma promette solo che lei arriverà per tutti, prima o poi».
«E non chiede in cambio tributi di sangue, vero?», ti ricordi di alcuni culti
voodoo in cui vengono sacrificati animali.
Cuchilla ride: «Cosa credi, che siamo cannibali?».
«Alle volte...».
«Ad Agua Santa c'è un santuario dedicato alla Santa Muerte, stasera sarà festa,
vedrai con i tuoi occhi».
Vai al 284.
Stringendo il fucile in mano cerchi di osservare meglio la strada antistante la locanda, e senti qualcuno strisciare sul terreno roccioso, nascosto dal buio della notte; però qualcosa riesci a distinguere: è il bianco degli occhi che riflette la luce lunare...
Prendi la mira e spari.
Vai al 506.
179
La diligenza viaggia di buon passo, la strada per El Paso è lunga.
Ogni stazione di posta dista dall'altra circa otto o dieci miglia, qui di solito
vengono cambiati i cavalli e il cocchiere con la guardia, questi con un paio di
cavalli fanno ritorno alla stazione da cui sono partiti.
Contando la sosta per dormire, dovreste arrivare a destinazione domani, salvo
inconvenienti.
Ricevi ancora fitte dallo stomaco, mentre Sartana legge un giornale che ha trovato in carrozza, e Keoma ha
gli occhi chiusi, in meditazione.
Se hai preso i biglietti di Lulù, la prostituta, vai al 137; altrimenti vai al
545.
Allunghi alla signora
il biglietto da visita che ti ha dato lo sceriffo di Bronson: «Questo ce lo ha
dato un comune amico, se vuole consegnarglielo, noi aspettiamo qui».
La signora prende il biglietto e lascia la postazione.
Vai al 449.
186
Noti che Garret porta un cinturone con delle borchie su cui è incisa la testa di
un cavallo, solo che gliene manca una.
Se hai con te una borchia di cinturone vai all’81, altrimenti vai al
44.
Non immaginavi che
questo vecchio culto azteco della morte avesse preso piede in tal modo.
Speri solo che non vi siano anche tributi di sangue o altre pratiche abominevoli,
come accadeva in passato tra i popoli pre-colombiani.
Vai al 299.
Mentre alcuni messicani ti
rispondono di non aver visto Cuchilla oggi al mercato, trovi finalmente chi l'ha
vista da poco.
Se sei già stata ai bagni pubblici vai all'89, altrimenti vai al
311.
Entri nel saloon dove vieni
assordata dal vociare confuso dei clienti; ci sono giocatori ai tavoli da poker,
allevatori e cowboy che si dissetano con birra o whisky al bancone.
In fondo al locale due tizi, tenendo delle prostitute sottobraccio, salgono una
scala che porta al piano di sopra.
Ti avvicini al bancone e quando il barista ti viene incontro gli chiedi di Lulù.
«E vorresti saperlo gratis, bellezza?».
«Ok, portami un whisky», metti 75 centesimi sul tavolo e bevi un sorso di un
terribile whisky esageratamente alcolico.
«Lulù la trovi di sopra a battere; prima però devi parlare con Cobra Ramirez, il
proprietario del saloon, è lui che gestisce gli appuntamenti».
«E qual è?».
Il barista ti indica un uomo alto in fondo al saloon, vicino alle scale, indossa
un vestito da charro di colore verde, porta un curioso sombrero da cui pendono
medaglie, nastri, ciuffi di capelli, monete, pendagli e denti.
«Che buffo cappello», commenti.
«Fossi in te non glielo direi; ogni oggetto appeso al sombrero l'ha preso da
qualcuno che ha ucciso.
«Uhm... sono degli scalpi?».
«Chiamali come vuoi, ma vedi di non farlo agitare, è capace che ti faccia secca
sul posto solo perché lo infastidisci, e non fa sconti alle belle donne».
«Capito».
Se vuoi avvicinarti a Cobra Ramirez vai al 51, se non ti fidi
puoi sempre cercare di recuperare i biglietti cercando Joe Dalton (vai al 168),
Bill Duke (vai al 268), o rintracciare Sam Wallash (vai al 490), altrimenti puoi
aspettare che torni Sartana, sperando gli sia andata meglio (252).
Un'ora più tardi siete fuori dalla Sierra Encantada, è ormai mattina fatta, la
strada scende verso la pianura, dall'altura in cui vi trovate vedete in
lontananza un muro che circonda dei piccoli edifici.
«Eccola...», indica Cuchilla, «la Missione di San Juan».
«Jackson e i suoi sono nascosti là dentro», aggiunge Anna.
«Ora dobbiamo solo trovare il modo di entrare.
Aspetteremo il buio», ordina Sartana, «e ci divederemo i compiti».
«Hai già un piano?», gli domandi.
«Qualcosa di simile.
Cuchilla si farà aprire il portone, dirà che ha informazioni vitali per Jackson».
«Seguro!», interviene la messicana. «Potrei dire che un gruppo di gringos con
aggiunta di belle donne sta arrivando a matarlo».
«Giusto.
A
quel punto prendiamo la ruota di un vecchio carro e la riempiamo di candelotti,
e non appena aprono il portone, la facciamo rotolare dentro».
«E appena esplode», dice Najada, «entriamo sparando».
«Li coglieremo di sorpresa», continua Anna.
«Esatto.
A
questo punto ci divederemo: Cuchilla troverà un carro con cui trasportare l'oro,
dobbiamo stare pronti a partire in fretta. Poi due di noi cercheranno di
recuperare l'oro rubato, gli altri invece si divideranno per cercare il
colonnello Jackson.
Non dovremo lesinare proiettili», Sartana vi guarda negli occhi. «Facciamo fuori
tutti quelli che incontriamo, saranno colti di sorpresa, non si aspettano di
essere attaccati in casa loro. Prendete vivi solo Jackson e la sua donna, la
famosa Luciana Paluzzi; lui morto non ci serve a nulla; lei è molto famosa, il
suo cadavere ci rimarrebbe sul groppone. Carichiamo loro due e l'oro sul carro,
e filiamo via».
Tu guardi Anna: «Dove potrebbe essere Jackson?».
«Se attacchiamo col buio, probabilmente nei suoi alloggi, a scoparsi la sua
mignotta».
«E dove si trovano?».
«Guarda...», Anna scende da cavallo, prende un legnetto e disegna un cerchio nel
pietrisco. «Allora, questo è il recinto. Il portone è a nord, noi arriviamo da
sud-ovest. Dentro il recinto ci sono due piccoli edifici sul lato ovest:
l'armeria e la dispensa. Dalla parte opposta, a est, ci sono le stalle. Al
centro c'è una fontana. L'edificio principale è attaccato al muro meridionale,
ed è diviso in due corpi. L’ala occidentale ha al piano terra il refettorio e al
primo piano alcune grosse sale comuni usate come dormitori. L’ala orientale era
un ospedale dei frati, ora ci vivono Jackson e i suoi luogotenenti. Al piano interrato c'era la
sala dove venivano accolti malati, viandanti, feriti; Jackson la usa ancora come
infermeria».
Riprendete la discesa verso la vecchia missione che ha più l'aria di un fortino
adesso, da lontano vedete alcuni carri e dei cavalli entrare e uscire: ci sono
uomini con la giubba grigia, peones e bandidos messicani che vanno e vengono.
La strada defilata che percorrete vi permette di arrivare dopo un paio d'ore in
prossimità della missione senza essere visti. Decidete di fermarvi dietro alcuni
massi, per mangiare, riposare e attendere il tramonto.
Vai al 352.
Poco
dopo l'alba e una bella tazza di caffè siete pronti a rimettervi in sella.
«Meglio levare le tende», dice Sartana. «I comanche torneranno presto a prendere
i loro morti. Meglio non farsi trovare».
Keoma attira la tua attenzione su un'area di Silvermine che ieri, col buio, non
avevate notato.
Si trova in una rientranza tra due pareti di roccia, ci sono un paio di travi
marce, forse sono i resti di un recinto per animali.
Sul terreno però sono visibili delle linee e dei cerchi tracciati con delle
pietre.
Vai al 375.
«Guarda», dici,
slacciando il cinturone e gettandolo a terra, «ora sono disarmata, vuoi uscire
adesso?».
D'un tratto senti un rumore in alto, alle tue spalle, non fai in tempo a girarti
che Cuchilla ti salta addosso, e ora ti punta il coltello contro...
«Mossa stupida, gringa, a Cuchilla non la si fa».
Devi lottare contro di lei.
Se vinci vai al 167, se perdi vai al 411.
216
La sceriffa vi fa cenno di seguirla: «Venite, vi offro il pranzo».
Seguite Anna Frazer in un ristorante, dove vi viene servito del fagiano arrosto con
patate e verdure.
Mentre vi rimpinzate lo stomaco, guardi la sorella di Sabata: è una bella
puttana come te, un po’ sfatta, ma sempre in tiro, allentata con buongusto, non
ti stupisci che per un periodo sia stata la donna del Colonnello.
«Sono tutta orecchi», vi dice,
riempiendosi un bicchiere di vino.
Sartana le racconta del colonnello Jackson, Anna ascolta tutto senza mai
interrompere.
«Quindi», dice alla fine del pasto, «volete il mio aiuto per ritrovare Jackson».
«Esatto. Puoi aiutarci?», le domandi.
Anna si stira addosso il camicione
rosa, gonfiando le zinne, le piace
essere guardata da te.
«Trovare Jackson non sarà facile, si nasconde da qualche parte oltre il confine,
in territorio messicano.
So
che oltre ai suoi uomini è riuscito a convincere dei messicani a unirsi a lui,
grazie ai soldi e ai buoni uffici di quella grossa zoccola che si è messo
vicino...».
«Come lo troviamo?», interviene Sartana.
«Vi serve qualcuno che vi conduca da lui, penso di avere l'uomo, o per meglio
dire, la donna adatta».
«Chi?».
«Una messicana sfuggente come una lepre: Cuchilla Sanchez.
Ha sempre qualcuno
alle calcagna che vuole farla fuori (o scoparsela...), ma lei è furba e lesta come una faina. La
trovate qui in giro, sicuramente in qualche guaio».
«Come la riconosciamo?».
«È una molto svelta col coltello.
Ma dite... siete solo voi? Siete un po' pochini per affrontare Jackson e i suoi uomini».
«Hai qualcun altro da suggerirci?», chiede Sartana.
«Fammici pensare…
Potete chiedere a Johnny Yuma, ha una piccola attività poco più avanti, insegna
a sparare alle signore, è molto redditizia.
È in gamba ed è stato sergente sotto Jackson, lo conosce bene. E se poi andate all'ufficio dei telegrafi, lì c'è
sempre una coda di cacciatori di taglie. Qualcun altro lo trovate di sicuro».
«E a te… non viene voglia di venire con noi?», la guardi in maniera allusiva.
«Potrei anche pensarci… in fondo quel bastardo merita una lezione.
Potrei affidare la baracca a uno dei miei vice, almeno per un po’…».
«Io ci terrei molto», insisti in maniera esplicita. Ti piace.
La sceriffa annuisce.
«Bene, possiamo andare», dice Sartana, alzandosi. «Grazie per le informazioni e
per il pranzo, ripasseremo più tardi».
Se vi mettete alla ricerca di Cuchilla Sanchez vai al 27, se invece vi recate da
Johnny Yuma vai al 295, altrimenti potete andare all'ufficio dei telegrafi al
454.
Centri Garret in piena fronte,
l'uomo cade a terra stecchito.
Terminato il caos, la folla si riavvicina, mentre Corbett raggiunge il corpo di
Garret: «Hai davvero trovato la borchia sotto il cadavere di quella donna?», ti
domanda, raccogliendola da terra.
«Sicuro, con me c'erano il cocchiere e la guardia della diligenza, può chiedere
a loro».
«Lo farò subito. Siete di passaggio?».
«Andiamo a El Paso».
«Ho un amico a El Paso, lo chiamano Johnny Yuma, se avete bisogno di aiuto
ditegli che vi manda Jonathan Corbett», ti allunga un biglietto da visita.
«Grazie».
Corbett e il suo vice portano dentro il cadavere di Garret, davanti a una folla
ammutolita, mentre Najada viene liberata.
«Bella mossa, signora. Mi avete salvato la vita. Cosa volete in cambio?».
«Non mi devi niente. Mi piace sparare addosso ai gradassi. Ci trovo gusto.
Però ho una proposta da farti: vado in Messico per un affare, insieme ai miei amici.
Vuoi unirti a noi? Mi sembri bella sveglia».
La mezzosangue accetta senza esitazioni.
Festeggiate l'incontro con una
buona bevuta e il mattino dopo ripartite per El Paso.
Il viaggio prosegue senza ulteriori interruzioni, se non per le soste
intermedie.
Arrivate a El Paso in tarda
mattinata.
Vai al 511.
241
A pomeriggio inoltrato giungete nel cuore della Sierra Encantada.
Qui sorgono i resti della vecchia Silvermine.
Più che un paese lo
chiameresti un assembramento di baracche di legno abitate una volta dai
cercatori d'argento.
Attraversate i resti spettrali di Silvermine, piccoli edifici di terra, sassi e
legno con i tetti sfondati o le pareti crollate; alcuni negozi dal marciapiede
in legno e il porticato ormai inagibile, il vecchio saloon con l'insegna tenuta
su dall'ultimo chiodo rimasto.
Qui una volta, nonostante il duro lavoro, la sera c'era allegria, confusione, di
tanto in tanto passavano carovane viaggianti di attori, ballerine e donne di
piacere, per allietare la vita di quelli che erano venuti in cerca di fortuna.
Dei quattro pozzi che individuate uno ancora pompa un po' d'acqua, riempite e
versate alcuni secchi negli abbeveratoi dei cavalli, e riempite anche le borracce.
Trovate una vecchia locanda con la stalla, che individuate come luogo adatto per
fermarvi a mangiare e riposare.
«Ho l'impressione che qualcuno ci stia osservando», ti confida Keoma, mentre
legate i cavalli. «Non so da dove, ma qualcuno ci osserva».
«Comanche?».
«Presto per dirlo. Se sono comanche, ce ne accorgeremo quando avremo la lama del
loro coltello alla gola».
«Spero di accorgermene prima».
Vai al 345.
I
tuoi compagni stanno decimando gli uomini di Rodriguez, mentre quelli sparano
all'impazzata contro le finestre della locanda.
D'un tratto vedi proprio Rodriguez, a piedi, spostarsi dalla strada principale
verso l'abbeveratoio, è l'occasione per porre fine a questo massacro.
Vai al 13.
252
All'orario stabilito vi trovate davanti all'ufficio della Wells Fargo, e
poco dopo vedete arrivare Sartana.
Se hai 3 o più biglietti per la diligenza vai al 234, se ne hai almeno due vai
al 103, se ne hai uno o nessuno vai al 300.
Durante la cena a base di tortillas rivedete il piano di viaggio.
Domattina partirete verso il confine.
Anna vi dirà dove potrete trovare Jackson, e Cuchilla vi indicherà che strada
prendere.
Più tardi andate a dormire; riposate bene, senza particolare disturbi, e al
mattino siete pronti per partire.
La sporca mezza dozzina che lascia El Paso è dunque
così composta:
Vai al 505.
264
Keoma ti raggiunge, mentre anche gli altri arrivano.
«Ci deve essere un
errore», dice la messicana, «io non ho fatto niente, io non c’entro».
«Finiscila», le rispondi, rinfoderando la pistola, «è stata la sceriffa a farci il
tuo nome, abbiamo bisogno di te per un lavoro, siamo disposti a pagarti bene».
La messicana vi guarda confusa e sospettosa: «Davvero vi manda la señora Anna? Non mi volete fregare?».
«No».
«Potevate dirlo subito».
«E come? Tu corri sempre», le rispondi. «Malgrado la ciccia...», aggiungi
ironica.
«Di che lavoro si tratta?».
Sartana le racconta di Jackson, Cuchilla è perplessa, ma poi
annuisce: «Muy bien, posso accompagnarvi oltre il confine».
«Bene. Allora preparati perché si parte domani all'alba».
«Un momento, señora, qual è la parte di Cuchilla?».
«Se fai bene il tuo lavoro, ti daremo dieci dollari al giorno», le propone Sartana.
La messicana dallo sguardo furbo sorride e scuote il capo: «Eh no, señor; voi avete
bisogno di me, ne voglio almeno cento al giorno».
«Cento? Sei pazza?», esclama Sartana. «Sai quanti ne troviamo come te a El
Paso?».
«Nessuno, señor, solo io posso portarvi da El Coronel».
La messicana ha ragione, e voi lo sapete, dopotutto è una cifra ragionevole
rapportata al compenso che riscuoterete una volta preso Jackson e recuperato il bottino.
«D'accordo, cento al giorno, ma bada che se tenti di fregarci...».
«Cuchilla è una donna di fiducia; se voi
non la fregate, lei non frega voi».
«Allora a domattina, qui alla stalla, e già che ci sei fai provviste di cibo e
acqua».
«Va bene, señor, a domani».
Se non sei ancora stata da Johnny Yuma vai al 295, se devi
ancora andare all'ufficio dei telegrafi vai al 454, se sei già stata in entrambi
i posti vai al 194.
La
tua mira infallibile non perdona: centri Wallace in fronte, attraverso le
sbarre.
Uscite dai ripari e vi avvicinate al fondo della sala.
Qui trovate diverse armi, per lo più fucili e della dinamite, ma soprattutto
un'enorme cassa piena di sacchi d'oro, la cui vista vi fa tremare le gambe.
«Ci saranno più di cinquecentomila dollari in oro qua dentro», mormora Anna.
«E la cassa peserà un quintale», fai notare. «Ci serve aiuto per portarla
fuori».
Intanto fuori ancora si spara. Cuchilla arriva in mezzo al cortile con un carro
trainato da due cavalli.
«Ecco il carro, forza, muoviamoci!», esclama Anna, mentre spara verso alcune
finestre dell'edificio principale.
Dall'ala est escono Keoma, Sartana e Najada, scortando un uomo che, dall'aspetto e
dal portamento, sembra proprio il colonnello Jackson; con loro c'è anche la
Paluzzi, che però si regge la pancia con entrambe le mani...
«Sartana!
L'oro è qui!», lo chiami a gran voce.
Qualche proiettile fischia ancora da dietro un barile o una staccionata, ma sono
solo dei colpi sparati per coprire la fuga: oramai il plotone di Jackson non
esiste più.
Caricate sul carro il colonnello, la Paluzzi e la cassa, poi correte a prendere
i cavalli.
Nel buio della notte spronate le bestie a percorrere la strada verso nord,
lasciandovi alle spalle una scia di morte e di sangue.
Vai al 464.
Mentre
continuate a scendere, lo sguardo ti cade su un cespuglio a ridosso di una parete
di roccia, da dove vedi
spuntare una mano.
Ti avvicini guardinga, scendi da cavallo e proprio tra il cespuglio e la roccia
trovi il cadavere di un pellerossa.
«Ehi, venite qua», richiami l'attenzione dei tuoi compagni.
«Comanche…», dice Keoma, riconoscendo la foggia dell'indiano. «Allora girano
ancora da queste parti».
«Deve essere caduto da lassù», Anna indica uno spuntone in alto. «Ha tutte le
ossa disarticolate».
«Già, e ha anche un'intossicazione da piombo all'altezza del torace», aggiunge Sartana, guardando il buco nel petto del pellerossa. «Ho idea che qualcuno ci
abbia preceduti in questo luogo dimenticato da Dio».
Lasciate il corpo del pellerossa e continuate la marcia.
Vai al 241.
Ordini a Najada di andare a controllare che non sia entrato qualcuno dal piano di sopra, mentre tu proteggi Anna, sebbene sia una valente sceriffa.
Siete ormai asserragliati nella locanda.
Vai
al 437.
282
Piombi in un incubo delirante: un turbine di ricordi, morti, sparatorie,
fantasmi e fiumi di sangue si alternano senza costrutto nella tua mente.
Quando finalmente ti svegli, ti ritrovi dentro quella che sembra una tenda
indiana, hai la pelle del viso coperta di panni umidi, la testa ti scoppia, le
ossa ti dolgono, ti senti stanca morta, ma sei ancora viva.
Vedi con difficoltà una borraccia di pelle vicino a te, allunghi con fatica il
braccio e la raggiungi, bevi un sorso e ti senti rinascere, pensavi che non
avresti più sentito in gola la freschezza dell'acqua di fonte.
Chiudi gli occhi per riposare, ma senza più riuscire a prendere sonno, non sai
dove ti trovi o chi ti abbia salvato, ma finché non riacquisti le forze è meglio
restare fermi.
Tempo dopo senti qualcuno entrare nella tenda: «Come sta la nostra
bucherellata?».
Apri gli occhi, la vista non è ancora al meglio, e non riesci a distinguere i
lineamenti dell'uomo che hai di fronte. Riconosci gli indumenti dei navajo, ma
parla un inglese fluente, forse è un meticcio o uno scout che lavora per il
governo.
«Ti ho portato qualcosa di leggero da mangiare, e qualche erba per farti
recuperare le energie», l'indiano rimuove lentamente i panni umidi dal volto.
«Resta ferma», prende da un vasetto una qualche poltiglia maleodorante di erbe
medicinali e te la spalma sulla pelle rinsecchita; dopo di che, ti rimette le
bende.
«Lo stomaco sta andando a posto, nel giro di una settimana tornerai come nuova».
«Grazie...».
«Non ti sforzare, sei arrivata qui più morta che viva, ma Gitchi Manitou ti ha
protetto e ha mandato qualcuno a salvarti in tempo. Si vede che non era la tua
ora di raggiungere i Grandi Pascoli».
«Chi…», mormori.
«Il nostro vecchio amico Sartana…
Quel vecchio cacciatore di taglie ti stava cercando per un affare, e quando ti
ha trovato, ha pensato bene di portarti qui da me».
«Tu…?».
«Oh giusto, non riesci a vedermi bene...
Beh, è passato un po' di tempo, ma ne abbiamo fatte di cose insieme... ti
ricordi quando abbiamo dato la caccia a Starblack e la sua banda? E quel carico
di oro rubato all'esercito da El Capitan? E anche l'assedio di Fort Texas,
quando in venti riuscimmo a resistere a più di cento comanche furiosi.
Mi hai
salvato la vita almeno tre volte, e ti sono debitore».
«Keoma...».
«Keoma, sì... sono il vecchio mezzosangue Keoma, cara la mia Djanga…
Vedrai, ti rimetterai presto, come uomo di medicina sono meglio del cacciatore
di taglie, fidati.
Però hai rischiato grosso, ragazza…».
Abbozzi un sorriso di ringraziamento e richiudi gli occhi.
Dieci giorni più tardi sei di nuovo in piedi, vi trovate in uno spazio verde
sulle colline, Keoma vive da eremita, e il villaggio più vicino è almeno a
un'ora di cavallo.
Ti eserciti con la pistola sparando ad alcuni barattoli, ma subito ti stanchi,
sei ancora rattrappita.
«Sarà meglio che aggiusti la mira in fretta, mi servi», ti volti e vedi Sartana
che scende da cavallo. Non avevi ancora avuto modo di ringraziarlo per averti
salvato la vita. «Non l'ho fatto per altruismo», ti spiega avvicinandosi, «mi
servono delle buone pistole, e tu sei una delle migliori che conosca. Ti è
andata bene che ti ho trovato in tempo».
Se gli chiedi di El Diablo, vai al 42; se invece gli chiedi
cosa vuole da te, vai al 487.
Una volta riposate
le cavalcature, riprendete il viaggio.
Nel tardo pomeriggio iniziate ad incrociare sulla vostra strada carri, uomini a
dorso di mulo, contadini con forconi in spalla.
Dalla via principale si
diramano sentieri che conducono alle fazendas dei proprietari terrieri e degli
allevatori.
Al tramonto vedete in lontananza le abitazioni di Agua Santa, con le prime luci
che vengono accese all'imbrunire.
«Eccoci, amigos», esclama Cuchilla. «Agua Santa, il villaggio senza legge».
«Intendi dire che nessuno lo governa?», domandi.
«Esatto, señora; per questo è terra di bandidos, desperados, ricercati e
trafficanti. Ad Agua Santa non c'è legge, si può trovare di tutto, ma
bisogna fare attenzione a non litigare, qui le pistole cantano in fretta».
Gli edifici di Agua Santa ricalcano quelli tipici dei villaggi messicani: case
basse di terra, fango e legno; bianche e con i tetti in paglia.
Entrando in paese c'è un gran movimento di peones, charros, vaqueros,
señoritas con gonne sgargianti, mariachi che suonano chitarra e tromba, creando
un'atmosfera di allegria e spensieratezza.
Noti anche una
bella donna che anima la fiesta: Cuchilla ti dice che la chiamano "la Negra",
per via dei suoi vistosi costumi neri.
Vedi anche diversi gringos, cowboy e pistoleri che probabilmente fuggono da
qualche taglia, cercano lavoro per furti e rapine, offrono le proprie pistole al
servizio di qualche proprietario, o semplicemente vengono a spendere in tequila
e donne i proventi di qualche colpo.
Non mancano nemmeno gli indios locali, mal
visti sia dai messicani che dai gringos.
Il vostro ingresso non passa inosservato, e quasi subito qualcuno riconosce Cuchilla; la messicana scende da cavallo per salutare dei vecchi amici.
«Questi amigos sono con me», dice a degli uomini con poncho e sombrero,
«prendete i nostri cavalli e andiamo a festeggiare».
Scendete da cavallo e date i vostri destrieri agli amici di Cuchilla.
«Non preoccupatevi», vi dice Cuchilla, «questi sono amici miei, gente
fidata. Venite, vi porto alla miglior posada di Agua Santa».
Entrate nella locanda e subito un ragazzo
corre incontro a Cuchilla: «Cuchilla! Hermosa!».
Trovate un tavolo sparecchiato e vi sedete, la locanda non sembra male.
Oltre al ragazzo di
prima, due donne e un paio di ragazzini corrono avanti e indietro dalla cucina,
per servire i clienti o ripulire i tavoli. Qui la tequila scorre a fiumi e in
molti sono già ubriachi nonostante sia solo il tramonto.
Mentre vi guardate attorno, le due cameriere vi portano dei vassoi con del cibo
appetitoso: «Buenas tardes, señores», saluta una delle donne. «Buon appetito».
Stanchi per il viaggio, passate all'attacco dei
vassoi.
Se vuoi chiedere ad Anna di parlarti del plotone di Jackson vai al 548, se invece
preferisci non discuterne qui vai al 70.
«Ehi, Garret, questa è tua! Era sotto il corpo di quella donna!», gli gridi, lanciandogli la borchia; lui la riconosce e capisce.
Ti guarda con odio ed estrae la pistola.
Vai al 233.
292
Dopo un altro paio di brevi soste lungo la strada che attraversa la valle,
sentite il cocchiere fermare i cavalli senza che vi siano città o stazioni in
vista.
Metti la testa fuori dal finestrino, rivolgendoti al cocchiere: «Che succede?
Perché ci fermiamo?».
Non puoi vedere il cocchiere, ma senti la sua voce: «Là in fondo, c'è un carro
abbandonato».
Da qui non vedi nulla.
Il regolamento della Wells Fargo impone al proprio
personale di segnalare situazioni impreviste durante il tragitto, perciò il
cocchiere è tenuto a investigare.
Se vuoi scendere a vedere anche tu vai al 74, altrimenti aspetta qui al
170.
Trovate l'ufficio di Yuma in un edificio dall’elegante porticato, proprio in mezzo a un salone di bellezza e al negozio di abiti "La Parisienne".
Fuori dalla porta
c'è un cartello variopinto con la scritta "Club di Tiro per Signore", e da
dentro rimbombano spari a ripetizione.
Se sei già stata qui, rientra pure al 269, altrimenti continua a leggere.
«Meglio se io aspetto fuori», dice Keoma. «O rischio di prendermi una pallottola
appena varco la porta».
«Stessa idea», aggiunge Najada.
«Bastiamo noi due».
Tu e Sartana
entrate nella sede del club.
Nel piccolo ingresso c'è il tavolino dell'accoglienza, con un bel vaso di fiori
e il registro da compilare; una gentile signora di mezza età ti saluta: «Buongiorno, signora, ha deciso di perfezionarsi?», dice, notando il tuo cinturone.
«Non esattamente.
Io e il mio socio cerchiamo Johnny Yuma. È la sceriffa che ci
manda».
«Oh, ma... il signor Yuma è impegnato in una lezione, non sarà libero prima di
un'ora».
Se hai il biglietto da visita di Corbett vai al 183,
altrimenti vai al 275.
Dopo un po'
decidete di andare a dormire, domani avrete un’altra giornata impegnativa.
Durante la notte nessuno vi disturba e con le prime luci dell'alba vi svegliate.
Vai al
539.
Dietro una tenda
spunta un altro peone, ti avvicini e gli domandi di Cuchilla.
In cambio di un dollaro ti dirà dove puoi trovarla.
Sborsi la moneta: «Canta», gli dici.
«Oggi Cuchilla dovrebbe trovarsi al mercato, oppure ai bagni pubblici, señora».
Ringrazi il messicano e lo lasci al suo lavoro.
Se vai al mercato vai al 367, se vai ai bagni pubblici vai al
121.
Ti avvicini insieme ad Anna ai due edifici posizionati sul lato ovest.
Se
entri in quello di destra, vai al 537.
Se entri in quello di sinistra, vai al 334.
«Era col dottor Fajardo», ti dice
il peone, «ha un carro dal quale vende delle medicine e degli elisir, Cuchilla
faceva pubblicità alla merce. Ma credo se ne sia già andata».
«E dove?», domandi.
«Quien sabe, señora? È sempre in giro».
Imprechi alla sfortuna e fai un'altra scelta: torni ai bagni pubblici (121),
alla stazione di posta (131), o al saloon Lone Star (80).
Altrimenti vai al 316.
Non riesci a
trovare Cuchilla da nessuna parte e alla fine, stanca, rinunci, sperando sia
andata meglio ai tuoi compagni.
Stai tornando al luogo dell'appuntamento, quando vedi una messicana correre a
gambe levate in mezzo alla folla, inseguita da Keoma: non può essere che Cuchilla.
Ti getti anche tu all'inseguimento, fino a quando Cuchilla non si nasconde in
una stalla.
D'intesa con Keoma tu entri dal portone principale, mentre lui passa da dietro.
Se hai conosciuto Pedro, il messicano, vai al 428; altrimenti vai al
381.
Guardando la strada ti sembra che quella di destra sia più battuta rispetto a
quella di sinistra, altro non riesci a desumere.
Se suggerisci di prendere il sentiero di sinistra vai al 45,
se invece suggerisci quello di destra vai al 182.
Non
appena mettete piede dentro l'edificio, venite accolte da una scarica di
proiettili provenienti dal fondo; ma fai in tempo a lanciarti dietro un riparo,
trascinando con te Anna.
Vai all'8.
345
«Stanotte faremo turni di guardia a
coppie, giusto per stare sicuri», dice Sartana, mentre si accende un sigaro.
Dopo un frugale pasto, vi organizzate per dormire e montare la guardia; in quel
momento sentite echeggiare nella
gola l'ululato del coyote, sempre che non siano i comanche che comunicano tra
loro.
Se ad Agua Santa la sorella di Sabata vi ha fornito informazioni sul colonnello Jackson e i suoi
uomini vai al 485, altrimenti vai al 37.
350
Ringraziate i tre messicani ma preferite arrangiarvi, loro con un inchino si
congedano.
È una mattinata di sole molto movimentata a giudicare dal via-vai di persone,
cavalli e calessi lungo la strada principale.
Se volete andare subito a cercare un albergo, nel caso doveste fermarvi, vai al
543; se invece volete cercare l'ufficio dello sceriffo, vai al 21.
Mentre attendete il tramonto ti dedichi a pulire bene le tue armi, ingrassare la
fondina della pistola, controllare i proiettili.
Anna, vicino a te, è sovrapensiero, l'azione che vi attende è particolarmente
pericolosa, potreste rimanere uccise, lo sapete bene.
«Perché lo stiamo facendo?», domanda quella che è ormai la tua donna, mentre
prende dei sassolini e li lancia nel vuoto. «A noi che ce ne importa di questo
colonnello Jackson?».
«Niente, lo stiamo facendo per i soldi, Anna.
Tu
perché fai la sceriffa?», le rispondi con una domanda.
«Lo so, lo so, per i maledetti soldi. Ma hai idea di quanti uomini dovremo
uccidere?
Venti? Trenta? Magari anche quaranta... più diverse donne... sempre che non ci
uccidano loro...».
«Pensiamo alla nostra vita insieme, Anna... i quattrini ce la renderanno più
comoda, al resto penseremo noi...».
«Hai ragione, Layla...», stavolta è lei a infilare la mano nella tua camicetta.
«Là dentro dovremo rimanere sempre vicine, se qualcosa va storto, ti porto via subito».
«Va bene, l'importante è salvare la pelle», conclude Anna.
Finisci di pulire le armi e lasci la tua donna ai suoi pensieri, mentre ormai il
sole sta scendendo, e la luce arancio bruna del tramonto si riflette in tutta la
pianura.
Ormai manca poco, Cuchilla è già tornata con una ruota di carro che ha trovato
un miglio più avanti, ed è pronta per uscire dal nascondiglio.
Adesso dovete decidere come dividervi dopo aver fatto irruzione.
Se vuoi entrare nell'ala orientale dell'edificio principale, vai al 31.
Se vuoi entrare nell'ala occidentale dell'edificio principale, vai al 9.
Se vuoi entrare negli edifici esterni di servizio (dispensa e polveriera), vai al 441.
«Mandiamo a morire gli altri, cara... noi, sempre sbottonate, ci gustiamo lo spettacolo dalla dispensa...», sussurri ad Anna nell'orecchio.
Lei, per risposta, si stira addosso il camicione.
«Yuma mi ha
consigliato la locanda della señora Navarro, poco più avanti», dice Sartana,
mentre vi incamminate.
Raggiungete così la locanda, da dove arriva un buon profumo di cibo.
Se avete affidato i cavalli a qualcuno vai al 398, altrimenti vai al
23.
Raggiungi la strada del mercato,
qui c'è una piazza dove mercanti, allevatori e coltivatori mettono in vendita i
prodotti più svariati.
Le bancarelle sono a decine, se non a centinaia: dalla frutta alla verdura, dai
formaggi ai salumi stagionati, dall'olio agli utensili, dal legname alle
sementi, dai vestiti alle armi, dai maiali alle galline.
Trovare Cuchilla in mezzo a tutta questa gente è come cercare un ago in un
pagliaio.
Ci sono anche parecchi messicani qui in giro che fanno lavori di fatica per i
commercianti, come trasportare casse e sacchi, pulire o prendersi cura delle
bestie.
Se vuoi chiedere a uno dei messicani se ha visto Cuchilla, vai al
189.
Altrimenti puoi sempre lasciar perdere e cercarla da un'altra parte: ai bagni
pubblici (121), alla stazione di posta (131), o al saloon Lone Star (80).
Se ci hai già provato, ma senza trovarla, vai al 316.
«Se la via più sicura è attraverso la Sierra Encantada, allora è di là che passeremo»,
dice Sartana; poi si volta verso Anna: «A meno che
tu non abbia una proposta più convincente».
«Bah! La messicana ha ragione», borbotta la sceriffa, «l'idea non mi piace, ma ha
ragione».
«D'accordo, allora vada per la Sierra Encantada».
Nessuno ha nulla da obiettare, per cui avete stabilito la vostra prossima meta.
Un cowboy dalla barba incolta si siede al tavolo nell'angolo. La sabbia della
strada gli cade dal poncho.
Ordina un whisky e poi vi guarda con fare sospetto.
Se domandi a Cuchilla chi sia vai al 450, altrimenti vai al
509.
Non
ti ci vuole molto a capire che questo posto era, e probabilmente è tornato ad
essere, un cimitero indiano.
«Quando le miniere sono state abbandonate», dice Keoma, «i comanche si sono
ripresi la Sierra e hanno ripristinato il culto dei morti là dove era già
presente».
«Quindi ce l'avevano con noi perché credevano che fossimo venuti nuovamente a
portare via il loro terreno sacro?».
«Penso proprio di sì».
«Accidenti, meglio andarcene al più presto allora, potrebbero tornare in massa».
Ritornate ai cavalli e prendete la strada per uscire dalla città.
Vai al 191.
Proprio fuori dalla stalla dove si è infilata Cuchilla incroci il messicano che
si era offerto di accudirvi i cavalli.
«Tu conosci Cuchilla, vero?».
«Sì, señora, l'ho vista correre dentro, come al solito».
«Puoi dirgli che non ha nulla di cui preoccuparsi? Di venire fuori?».
«Perché dovrei, señora? Io non vi conosco».
«Tu... diglielo...».
«Io ci provo, señora, ma Cuchilla Sanchez è molto sospettosa, anche dei suoi
compaesani».
Pedro, questo il nome del peone, entra nella stalla; tu lo segui, lasciando
fuori Najada.
La stalla è buia,
entra la luce dalle feritoie tra le assi, ci sono balle di fieno disposte in
alto su un soppalco, e i cavalli dentro gli appositi scomparti.
«Cuchilla», la chiama Pedro, «questa donna vuole solo parlarti. Vieni fuori».
«Sicuro, così mi spara», la voce della messicana rimbomba nella stalla e non
riesci a individuarne la posizione.
Se vuoi levarti il cinturone per mostrarle la tua buona fede, vai al
215; altrimenti vai al 468.
Ritorni al tavolo del Cobra, lui ti
guarda e scoppia a ridere: «Le fusa sono durate poco... ah-ah-ah!».
«Hai un bel coraggio a ridere degli altri, quando vai in giro con un cappello
del genere», rispondi a tono.
Immediatamente cala il silenzio nel saloon, Ramirez ti fissa con sguardo
omicida, mentre i suoi compari si spostano.
«Come hai detto, straniera?», domanda, alzandosi in piedi; Ramirez è un bestione
alto quasi due metri e dalle spalle larghe.
«Mi hai sentito», ripeti, facendo un passo indietro.
«Ora ti ucciderò», starnazza il messicano, mentre sta per estrarre la pistola.
Vai al 484.
Ti incammini con Najada
per le strade di El Paso, chiedi un po' in giro, in particolare ai messicani che
incontri.
Capisci che Cuchilla è una che vive alla giornata, fa servizietti di ogni tipo
per chiunque, ma vive anche di furtarelli e truffette, per questo è sempre in
mezzo ai guai.
Alla fine individui quattro posti dove potrebbe trovarsi: nella zona del mercato
(367), ai bagni pubblici (121), alla stazione di posta (131),
o al saloon Lone Star, qui vicino (80).
Uscite dalla locanda.
Fuori, nella piazza
principale, ci sono diverse persone che bevono, danzano e si divertono.
Vai al 417.
Nella piazza di Agua Santa c'è una gran confusione: si balla e si suona, sono comparse delle pignatte di dolciumi appese in alto sui dei fili.
Diversi peones
hanno preso sulle spalle i figli che, bendati, cercano di rompere le terracotte
piene di dolci con dei bastoni.
Gira
parecchia tequila e ci vuole poco perché qualcuno urti qualcun altro, o gli si
rivolga in malo modo, e così scoppiano risse e scazzottate.
Vai al 120.
Nel vociare caotico dello
spogliatoio, ti sembra di riconoscere una voce proveniente da una della alcove.
Mentre ti avvicini, la cinese ti ferma: «Prego, signora, qui no
pistola, no stivali, prego… prima spogliatoio, prego».
Ignori l’inserviente perché quella voce ha destato in te un profondo sentimento
di rancore, più ti avvicini e più non hai dubbi: è la voce di Black Queen...
Ti scrolli di dosso la cinese con una manata, mentre prosegui nel corridoio delle
vasche singole, facendo cenno a Najada di rimanere indietro.
Ti fermi davanti alla tenda da cui
proviene la voce dell'ex socia.
Impugni la pistola e con l'altra fai scorrere di lato la tenda: «Il Texas è
piccolo, vero Queen?».
Black Queen è seduta nella vasca, con l'acqua fino alle grosse zinne, dietro di lei c'è
una donna cinese che si spaventa nel vederti.
«Fila via, tu», le intimi, ma quella non attende nemmeno il tuo ordine, perché
si è già levata di torno. «Ti fai pure grattare la rogna, adesso?».
Black Queen - una grossa mulatta che a parte questo momento veste camicie nere molto
sbottonate - alza le mani: «Dico... non ce l'avrai ancora per quella storia,
vero?».
«E invece sì», rispondi, armando il cane.
«Non era nulla di personale, lo sai, si trattava di soldi.
El Diablo mi ha dato di più, tutto qui».
«Rivedrò anche lei, prima o poi, e me la guarderò un po', prima di bucarle la pancia...
Intanto, però, voglio sapere se il suo denaro ti servirà a qualcosa,
nel posto in cui stai andando...».
«No, aspetta! Sono disarmata! Non vorrai uccidere una donna disarmata?!»,
esclama la possente mulatta.
«Beh, tu cosa hai fatto con me? Mi hai colpito a tradimento...».
Noti un
furtivo movimento di Black Queen verso il cappello appoggiato sulla sedia alla sua destra e capisci, non è
una sprovveduta, lo sai bene, come non lo sei tu, e da sotto il cappello estrae
la pistola...
Vai al 22.
Uccidete i primi guerrieri, ma altri sbucano dal buio, decisi a farvi fuori.
Vai al 533.
Attraversate un
salone dove una dozzina di donne sta sparando contro una serie di bersagli più o
meno improvvisati: da manichini ad assi di legno dipinte, da vecchie lattine a
sagome di cartone.
Il rumore è assordante e le donne ci prendono gusto a fare fuoco con vari tipi
di pistole e fucili. Quelle che sembrano più agguerrite e determinate hanno i
capelli grigi.
Oltrepassate una porta ed entrate in un ufficio dove il rumore si attenua.
Dietro a un tavolo sommerso di carte, trovate Johnny Yuma, un uomo sui
quarantanni,
dai capelli neri e lo sguardo intelligente; indossa un gilet beige sopra una
camicia rossa.
«Così è la sceriffa che vi manda...», dice scrutandovi, poi vi fa cenno con la
mano di accomodarvi sulle sedie.
Sartana non perde tempo e gli racconta del colonnello Jackson; all'udire quel
nome Yuma drizza le orecchie e adombra il viso.
«Anna vi ha spiegato perché ha fatto il mio nome?».
«Dice che conosci Jackson, che sei stato un suo sottoufficiale», gli rispondi.
Yuma sbuffa: «Quel vecchio pazzo... che il diavolo se lo porti.
Il giorno della
resa del generale Lee era come impazzito, diceva che per lui la guerra non era
finita, che lui non era mai stato sconfitto, e che avrebbe continuato a combattere
contro i nordisti, o chiunque sarebbe arrivato dopo di loro», apre un cassetto e
prende una sigaretta. «All'inizio eravamo tutti con lui, anche noi eravamo
orgogliosi, uomini scelti, in gamba, e nessuno ci stava a tornare al forte
disarmati e derisi dagli unionisti.
Così iniziammo ad organizzare degli agguati alle giacche blu che incontravamo,
li derubavamo degli averi e delle armi, e poi nei villaggi reclutavamo ex
soldati che sposavano la causa di Jackson.
Poi però... il
colonnello si fece prendere dall'avidità e dalla pazzia, non faceva più
distinzione tra nordisti, sudisti o esercito dei nuovi Stati Uniti, voleva
combattere tutti, incendiare i forti, depredare le diligenze e assaltare i
treni.
La notte si ubriacava e iniziava a inveire contro Lee, contro Grant e il mondo
intero.
Anche i miei
compagni presero a ubriacarsi sempre più, e poi anche a sparare e a uccidere
chiunque li ostacolasse, gente inerme, soldati disarmati, o messicani la cui
unica colpa era quella di non aver preparato un pasto decente al colonnello.
Poi ci furono le violenze a carico delle donne... bianche, rosse, messicane...
senza distinzione...», Yuma fissa il vuoto, raccontando, «e così, quando ne ebbi
la possibilità, fuggii. Dovetti scappare come un ladro, altrimenti mi avrebbe
certamente fatto fucilare.
So che mi cercò per alcuni giorni, ma riuscii a nascondermi bene, e dopo un po' lasciò perdere, così arrivai a El Paso e aprii questa attività.
Solo
Anna qui
conosce il mio passato, gliel'ha raccontato il fratello, Sabata; avrebbe potuto
arrestarmi e mandarmi a processo, ma non lo fece; credo avesse capito che io
non ero che una delle tante vittime di Jackson e della sua follia».
«Abbiamo bisogno di te per fermarlo. Lo conosci bene, sai come si muove, conosci
i suoi uomini, i suoi nascondigli, la sua strategia».
Yuma scuote il capo: «Dopo tutto quello che ho fatto per non rivederlo più, ora
voi mi chiedete di ritornare da Jackson? Dovete essere pazzi almeno quanto lui».
«Potrebbe essere l'occasione per metterti a posto con la coscienza», mormora
Sartana. «Hai partecipato anche tu alle scorrerie di Jackson, ed è chiaro dal
tuo racconto che provi rimorso per quello che avete fatto».
«Quello che c'è tra me e la mia coscienza non è affar vostro», esclama irritato
Yuma.
«Il lavoro è ben retribuito. Tra taglie e premi per il recupero del
maltolto, sono parecchi soldi, anche dividendoli».
«Mi dispiace, ma sto bene così.
Vi
prego di non insistere. Devo tornare al mio lavoro...».
Pare proprio che non ci sia niente da fare.
È il momento di cercare Cuchilla.
Vai al 27.
«D'accordo», dice Sartana. «Io, Keoma e Najada nell'ala est; Djanga e Anna negli edifici di servizio.
Tu, Cuchilla, prepara carri e cavalli.
Sarà
un inferno di fuoco, avremo il vantaggio del fattore sorpresa, ma non
sottovalutate mai il nemico. Ricordatevi che il colonnello Jackson ci serve
vivo, e che anche Luciana Paluzzi non deve morire; gli altri potete anche
ucciderli, al governo interessano poco».
«E per la loro taglia?», chiede Najada. «Non possiamo portarci dietro
tutti quei cadaveri».
«Prendete i galloni che portano sulla giacca», risponde Sartana, «come prova
della loro uccisione».
Vi caricate di armi e proiettili, e poi, col buio, vi preparate all'azione.
Vai al 138.
Vieni svegliata di soprassalto: «Djanga! Djanga!».
Qualcuno ti scuote, ti senti intontita e cerchi alla cieca la pistola.
«Ehi, sono Keoma, svegliati!».
Stropicci gli occhi e riconosci il tuo amico: «Ma che succede?», cerchi di
alzarti, ma senti un cerchio alla testa e tutto ti gira attorno.
«Cuchilla deve avere drogato il caffè», ti dice. «È
sparita col carro insieme all'oro.
Dai, Djanga, muoviti!
Anna
viene con noi. Qua
rimangono Sartana e Najada».
Vai al 489.
446
Nel frattempo Sartana si è recato all'ufficio del telegrafo per mandare un
messaggio a El Paso.
«Non ci hai ancora detto chi dobbiamo incontrare a El Paso», dici a Sartana.
Legate i cavalli al carro e salite sulla diligenza.
«Una vecchia affiliata del colonnello Jackson, dovrebbe sapere dove possiamo
trovarlo», ti risponde, mentre prendete posto.
«E
ha un nome questa tizia?».
Sartana vi guarda: «Sabata».
«Sabata?», era parecchio che non sentivi quel nome. «Pensavo fosse morto a
Silvertown».
«Infatti. Si tratta della sorella: Anna.
Per vivere fa lo sceriffo di El Paso».
«Una sorella di Sabata che fa la sceriffa a El Paso?», Keoma è sorpreso.
«Questa è bella».
«È una vecchia pellaccia, scaltra e veloce; per un po’ è stata al servizio di
Jackson, pare se la sia anche scopata. Ma poi il colonnello deve aver perso la
testa per la famosa Paluzzi», conclude Sartana.
L'impiegato della Wells Fargo chiama tutti a bordo, salgono alcuni nuovi
passeggeri e riprendete il viaggio.
Se hai mangiato al ristorante vai al 285, altrimenti vai al 292.
La signora torna
dopo un minuto, tutta sorridente: «Prego, venite con me, il signor Yuma vi
attende».
Vai al 439.
«Oh,
quell'hombre è loco, señora», ti dice, «è un gringo che cerca la madre e che
pensa di trovarla qui, ad Agua Santa...».
L'uomo continua a fissarvi, poi d'un tratto si alza e vi raggiunge.
«Ehi, americani, sto cercando mia madre.
L'avete vista, per caso?».
Guardandolo più da vicino, ti sembra di riconoscerlo.
«Lo sai a chi somiglia?», sussurri all'orecchio
di Sartana. «Al
tizio coinvolto nell'attentato a Luciana Paluzzi... quando la potente
signora venne ferita da un colpo di derringer... rimanendoci quasi secca...».
«No, mi dispiace, amigo. Non l'abbiamo vista», risponde secco Sartana, a nome di tutti.
Il tale torna al suo posto, con fare meccanico.
«Credeva che la Paluzzi fosse sua madre e che fosse responsabile della morte del padre; vera la seconda, ma falsa la prima, dev'essere impazzito...».
«Beh, se non era la madre, è impazzito per l'occasione persa, suppongo...», replica Sartana, con ironia tipicamente maschile.
«Non vorrei che impazzissi anche tu, nel vederla; perché dovrai aprirle un buco in pancia, in quel momento... calibro 45, stavolta...».
«Calma, calma... la Paluzzi non ci interessa».
Vai al 453.
Alcuni spari vi fanno scattare, ma capite subito che si tratta della fiesta,
fuori sono iniziate danze e musica, e alcuni pistoleros ubriachi sparano in aria
per fare fracasso.
Se possiedi una sella d'argento vai al 333, altrimenti vai al 395.
454
L'ufficio telegrafi di El Paso non è come quello degli altri paesi dei pionieri,
questo è un vero e proprio centro amministrativo: si tratta di un grande ufficio
con sportelli e impiegati, dove si possono inviare e ricevere telegrafi, ma è
anche un grosso centro di smistamento della posta che arriva tramite il treno.
Quello che a voi interessa però è un particolare sportello che dà direttamente
all'esterno dell'edificio: qui nel porticato, appesi un po' ovunque, ci sono
manifesti dei ricercati con taglie che vanno dai 500 ai 2.000 dollari; talvolta
se ne possono trovare anche più alte, come nel caso del colonnello Jackson.
C'è una piccola folla di pistoleri e bounty killer qui davanti, in coda per
riscuotere la taglia. Portano i cadaveri sul cavallo o su un carretto. Il
funzionario esce a controllare con il manifesto della taglia, e dopo aver
verificato che l'uomo è quello giusto, paga il lavoro svolto.
«Sono otto dollari per la sepoltura in cassa singola, o un dollaro per la fossa
comune», dice alla fine l'impiegato al ruvido pistolero che ha appena incassato;
questi mette il dollaro sul tavolo dello sportello e se ne va.
«Tante belle facce», commenti, guardandoti in giro.
Vai al 175.
455
Dopo un'ora di strada raggiungete un bivio.
Andando dritto vi inoltrerete nella regione, tra fazendas, vecchi pueblos di
peones e campi coltivati; a un certo punto incrocerete una strada che vi
condurrà alla missione spagnola in cui sono nascosti Jackson e i suoi uomini.
Dall’altra parte, invece, raggiungerete la Sierra Encantada.
«Da qui in poi», dice Cuchilla, «i nostri movimenti saranno controllati; anche
se non sanno che stiamo dando la caccia al colonnello sudista, un gruppo come il
nostro si nota qui in giro, e mette tutti in guardia».
«E alla prima sparatoria», mormora Sartana, scrutando il paesaggio, «ci
troveremo gli uomini di Jackson addosso».
«Non lo so», interviene Najada, «la Sierra Encantada era territorio comanche una
volta, non mi stupirei se ora che è stata abbandonata qualche fratello ci
faccia ancora un salto».
«Non ci sono più i comanche», risponde Cuchilla, «i minatori e il
governo li hanno cacciati via con la forza per cavare le miniere d'argento.
Ora non c'è più nessuno in quella zona».
«Comunque», aggiunge Keoma, «meglio pochi comanche che trenta o quaranta
pistoleri».
Fugati i dubbi, prendete la strada che, secondo Cuchilla,
dovrebbe sbucare alle spalle del covo del colonnello Jackson, che di certo non
si aspetta di essere attaccato dalla Sierra.
Poco dopo il terreno diventa pietroso, piante e fogliame sono sempre più radi,
la strada sale e il paesaggio si riempie di rocce e creste, qualche cespuglio
spinoso qua e là, radi torrenti con poca acqua che scendono a valle, e
pareti di roccia che si alzano formando delle piccole gole.
Il caldo inizia a farsi sentire, prendi la borraccia e ti versi un po’ d'acqua
in mezzo alle zinne da bagascia che ti ritrovi.
Poi il sentiero comincia a scendere e scorgete i resti delle
prime miniere abbandonate, con vecchie scalinate e passerelle di legno ormai
consunte che attraversano le pareti di roccia a varie altezze, binari e vecchi
carrelli arrugginiti, qualche piccone rotto, cumuli di detriti, vecchi setacci,
e - in generale - tutto ciò che vedete ha un'aria spettrale.
Vai al 277.
«Sta bene», dice Sartana, dandoti la lista, «ci rivediamo qui tra un paio d'ore».
Poi sale in sella al cavallo e
parte diretto al ranch.
Tu e Keoma guardate la lista: dei nove posti rimasti quattro sono stati
acquistati da un certo Joe Dalton che ha dato come indirizzo l'albergo Tin Star,
poi due appartengono a un certo Bill Duke, che ha dato l'indirizzo di un
negozio, altri due alla signora Lulù, che puoi trovare al saloon; e infine
l’ultimo a un certo Sam Wallash, che ha una camera dalla signora Dawn.
Se vuoi cercare Joe Dalton vai al 168, se vuoi andare da Bill Duke vai al 268,
se vuoi parlare con Lulù vai al 64, se invece cerchi di
rintracciare Sam Wallash vai al 490.
Mentre galoppate lungo la strada, noti che Sartana è salito sul carro accanto a Luciana Paluzzi.
La donna è gravemente ferita, ha ricevuto un colpo nella pancia.
«Come è successo?».
«È stato uno degli uomini del colonnello: moribondo a terra, si è sentito tradito, e si è vendicato così».
«Mi dispiace...».
Ma in realtà sei interessata solo ad Anna, illesa e in salute come te.
Vai al 63.
Fulmini Ramirez con un colpo
preciso che gli spacca il cuore, il messicano crolla sul tavolo e poi sul
pavimento.
Tutti ti guardano, tu tieni la pistola pronta a tirare, se necessario, ma
nessuno sembra voler fare l'eroe; nello stesso momento Keoma si precipita dentro
arma in pugno.
«Tutto bene?», ti chiede, coprendoti le spalle.
«Sì, abbiamo avuto solo una divergenza di vedute sul suo abbigliamento»,
rispondi.
Dalla balconata del primo piano si affacciano le donne con i loro clienti; vedi
Lulù scendere di gran corsa.
«L'hai fatto secco davvero, straniera», ti dice, sorpresa; poi si avvicina al
corpo di Ramirez e lo prende a calci, insultandolo.
«Djanga, meglio levare le tende alla svelta», sussurra Keoma nell'orecchio.
Afferri la donna per il braccio: «Ho fatto come hai chiesto, dammi i biglietti».
«Ce li ha quello stronzo...».
Perquisisci il cadavere e trovi conferma alle parole della vecchia prostituta.
La tua curiosità è attratta per un attimo da uno strano pendaglio tra quelli appesi al sombrero del Cobra; quella incisa sembra la classica immagine velata della Vergine Maria, solo che al posto del volto c'è un teschio, e in piccolo leggi due lettere: S.M.
Poiché sei pratica
di miti e leggende, puoi andare al 17.
Altrimenti esci dal saloon proprio mentre arriva lo sceriffo con due vice armati
di doppietta.
Se lo hai già incontrato vai al 372, altrimenti vai al 106.
Najada e Keoma si
offrono per il primo turno di guardia, tu vai a coricarti sulla coperta, cercando
di riposare un poco.
Vieni svegliata da Anna quando mezzanotte è passata da parecchio, non è
successo nulla e ora tocca a voi prendere turno.
Sbadigli e ti stiracchi mentre la Frazer ti passa una tazza con del caffè bollente,
da queste parti la notte è fresca.
I vostri compagni dormono della grossa, tu ti siedi vicino a una delle
finestre, l'unica luce è quella lunare che illumina debolmente la gola in
cui vi trovate.
«Ho visto come mi guardi, Djanga. Qual è il tuo vero nome?», ti chiede Anna.
«Layla; sono in pochi a saperlo».
«E se io te... facessimo coppia fissa...?», la sceriffa si fa intraprendente.
«Anna... ci tengo a te... lo avrai capito... ti ho voluto con me in questa missione...
Adesso, però, dobbiamo salvare la pelle».
«Ci salveremo insieme, cara...
Però
c'è silenzio», sussurra Anna, guardando fuori, «troppo silenzio».
«Meglio così, no?», rispondi, ancora un po' assonnata.
«Non si sentono animali, non si sente nemmeno il vento, non mi piace».
«È una città-fantasma...», borbotti, «ci sono solo i fantasmi».
D'un tratto vi sembra di sentire i cavalli nitrire nervosamente.
Se vuoi andare a
controllare la stalla vai al 371, altrimenti vai al 46.
487
Vi sedete su alcune rocce poste attorno al fuoco, su cui Keoma sta scaldando del
caffè.
L'aria qui in collina è fresca, il paesaggio verdeggiante e i boschi in
lontananza ti danno una sensazione di pace e serenità, ma
non vedi l'ora di arrivare in qualche città per metterti
qualcosa di decente addosso.
Sartana si accende un sigaro: «L'affare è per tutti e due», racconta, rivolgendosi anche al compare mezzosangue, «e forse avremo bisogno pure di qualcun altro.
Ve
lo ricordate il colonnello Jackson, dell'esercito confederato?».
«Vagamente», rispondi.
«Beh, è uno di quegli ufficiali del sud che non ha accettato la resa, e che
continua la sua battaglia privata contro l'esercito degli Stati Uniti a distanza
di anni dalla fine della guerra. Ha con sé un plotone di una trentina di uomini,
tutta gente in gamba, che sa sparare bene; in più ha stretto un sodalizio con
una vecchia bagascia che sembra tenerlo per le palle: la famosa Luciana Paluzzi...
è lei che gli soffia sul collo.
Come se non fosse abbastanza tutto questo, El Coronel si è pure alleato con un paio di bandidas molto pericolose: una in particolare è nota come l'Incassatrice, perché si considera in grado di assorbire qualsiasi colpo».
«Romina Lopez... ne ho sentito parlare... una grossa zoccola molto in carne, che è riuscita a tenersi la pelle, nonostante dei brutti colpi addosso...
Però non è detto che le vada sempre bene...».
«L'hai detto...
All'inizio il governo ha tollerato il comportamento del colonnello, che si limitava a qualche scorreria nelle riserve indiane. Ora però ha alzato il tiro: assalti a treni e diligenze, carichi di oro e di armi, razzie in villaggi, omicidi e violenze a carico di donne e bambini.
Si pensa che sia stata la nefasta influenza
della Paluzzi a fargli perdere definitivamente la testa.
Sono come dei pazzi senza freni.
Si nascondono presso una vecchia missione spagnola gestita dai peones al di là del confine, dove l'esercito non può raggiungerli, e da lì rientrano per darsi alle loro scorrerie».
«Tutto in nome del Sud?», chiedi.
«Non so quanto centri ancora la causa confederata, credo sia più una questione
personale. Il colonnello si è sentito tradito quando il generale Lee ha firmato
la resa, e ora lui e i suoi uomini sono carichi di odio e rancore, a cui danno
sfogo in questo modo».
«E noi che c’entriamo?».
«Il governo ha le mani legate, il colonnello Jackson era un commilitone e grande
amico del governatore del Texas, e questi ha per lui ancora un occhio di
riguardo, perché gli salvò la vita in diverse occasioni durante la guerra.
D'altra parte è necessario fermarlo; così è stata messa sulla sua testa
una grossa taglia, diecimila dollari, e almeno altri settemila per il resto della
compagnia. Però lo vogliono vivo, affinché sia processato;
morto, non se ne fanno niente».
«Diciassettemila dollari?», gli occhi ti brillano.
«Non solo: da quanto ne so quel briccone ha rubato oro per un valore di quasi
cinquecentomila dollari; se riusciamo a recuperarlo, ci spetterà almeno il dieci
per cento, vale a dire cinquantamila dollari».
Gli occhi ti brillano ancora di più: «Sono quasi settantamila dollari da dividere».
«Esatto, per questo ho bisogno di pistoleri in gamba e fidati.
Allora, ci
state?».
«Solo noi tre contro un plotone di oltre trenta uomini?».
«Troveremo alleati lungo la strada, ho già un paio di idee. Ma dobbiamo fare in
fretta, so che c'è altra gente che vuole quei soldi e che si sta mettendo
insieme, come noi».
«Ad esempio?».
«Cacciatori di taglie».
«Gente in gamba?», chiede Keoma.
«Proprio così; per questo dobbiamo fare in fretta, e abbiamo già perso diversi
giorni per aspettare Djanga. Allora, che ne dite?».
«Ci sto», rispondi senza battere ciglio; poi guardi Keoma, sempre perplesso.
«Non so, ora sono un uomo della medicina, curo gli uomini, non li uccido».
«Per questo avremo bisogno di te».
Keoma scuote prima il capo e poi annuisce: «D'accordo.
E poi è tanto che non diamo la caccia a qualcuno tutti insieme».
Sartana butta il sigaro in mezzo alle braci del fuoco: «Preparate borraccia e
provviste, partiamo tra poco».
Vai al 35.
Seguire le tracce del carro non è troppo difficile.
La strada presa da Cuchilla sale per un tratto su una zona rocciosa, per poi scendere di quota.
Improvvisamente udite degli spari poco distanti, e poco dopo scorgete in lontananza un gruppetto di charros a cavallo che inseguono il vostro carro.
Arrivate subito a dare man forte a Cuchilla, lasciando a dopo
la questione che avete in sospeso con lei.
I charros non sono buoni tiratori, si disperdono in fretta, senza bisogno di
usare molto piombo.
Vai all'11.
Sartana non può nemmeno andare a pisciare, per la paura di ritrovarsi la Paluzzi cadavere, al ritorno.
Cuchilla intanto prepara un caffè bollente per tutti, per
scaldarvi un po' le ossa, la notte da queste parti è bella fresca.
Se prima di dormire vuoi fare un giro per il pueblo abbandonato vai al 148,
altrimenti ti corichi accanto ad Anna e provi a dormire al 442.
Il dipinto sul muro raffigura una donna che stringe una falce in una mano e una bilancia nell'altra.
La donna però è uno scheletro, con le dita ossute e un teschio come volto. Sopra
il dipinto la scritta: "Nuestra Señora de la Santa Muerte".
Vai al 177.
La vostra prima
tappa è il villaggio di Agua Santa, a una giornata da El Paso, da lì deciderete
poi come procedere.
Secondo Anna, il colonnello Jackson si nasconde ancora in una vecchia missione
spagnola, ormai abbandonata, che si trova oltre il confine.
Le strade
principali sono pattugliate, utilizza occhi e orecchi dei messicani per
conoscere gli spostamenti dell'esercito, o per sapere se ci sono stranieri che fanno domande su di lui.
«C’è un percorso al sicuro da occhi indiscreti?», domanda Sartana.
«Ci sono dei sentieri non più battuti», risponde Cuchilla, «che attraversano le
sierras. Così, forse, potremo sorprendere El Coronel».
Dopo
non molto raggiungete il Rio Grande, il fiume che separa il Texas, e quindi gli
Stati Uniti, dal Messico.
Attraversate un lungo ponte per giungere dall'altra parte, entrando in Messico.
Vai al 155.
Il
tuo sparo desta improvvisamente i tuoi compagni che, ancora intontiti, impugnano
le pistole.
La figura che strisciava nel buio ha rantolato di dolore e si è fermata,
centrata in pieno.
«Che? Dove?», Anna non ha capito ancora niente.
«Stai giù... torniamo dentro».
Proprio in quel momento, dal buio balzano fuori una decina di individui armati di scure: «COMANCHE!!», gridi, iniziando a sparare; copri la ritirata di Anna, preoccupata per lei, e la segui dentro la locanda.
«Stai bene?», le chiedi, apprensiva.
«Certo...».
Le
infili una mano nella camicia sbottonata, ti piace, e anche lei è innamorata di
te, sembra.
Tutto questo mentre i tuoi compagni, nonostante il brusco risveglio, si mettono
a far fuoco dalle finestre e dalla porta.
Dei rumori provenienti dal piano di sopra ti allertano, temi che qualche
comanche sia riuscito a entrare attraverso le finestre del piano superiore.
Se vai a vedere vai al 249, se mandi qualcun altro vai al 280.
508
Bronson non è una città che offra molti svaghi, abitata per lo più da allevatori
e commercianti, c'è un solo saloon e nemmeno troppo frequentato.
State bevendo l’ultimo bicchiere prima di andare a dormire, quando sentite un
gran baccano provenire dalla Main Street. D'un tratto un uomo mette la testa
dentro il saloon: «Ehi, gente! Vogliono ammazzare Najada!».
Tutti corrono fuori dal locale, barista incluso.
Vuotate il bicchiere e uscite anche voi.
Fuori, armato di torce e fucili, c'è un gruppo di persone assembrate davanti
all'ufficio dello sceriffo, urlano e sbraitano contro questa Najada che, da
quanto intuisci, è chiusa in cella.
Avvicinandoti alla folla di curiosi capisci che Najada, una mezzosangue, è stata arrestata nel
pomeriggio per l'omicidio dei due coloni che avete trovato morti lungo la
strada.
Sembra che lo sceriffo l’abbia arrestata su testimonianza di un certo Garret, un biondo slavato vestito da damerino in prima fila con torcia e corda insaponata.
Fosse stata una yankee, di certo c'avrebbe pensato due volte.
«Ce la dovete dare a noi, sceriffo!», urla Garret, spalleggiato da quelli che
sono con lui. «Dobbiamo impiccarla subito!».
Per nulla intimorito, lo sceriffo esce col fucile in braccio: «Tornate a casa,
tutti quanti! Questa donna ha diritto a un regolare processo, tra due giorni
arriverà il giudice e deciderà lui se impiccarla o meno».
«No, Corbett!», grida Garret. «Najada è più sfuggente di una lepre, scapperà di
certo. Io l'ho vista fuggire dopo che ha ucciso i Johnson, insieme a un
complice... non ci sono dubbi che
sia lei l'assassina!».
«Lei dice che è stato qualcun altro, per cui vedremo se il giudice le crederà
o meno».
«Metti in dubbio la mia parola, Corbett?», esclama sempre più furente l'uomo.
«So cosa ho visto».
«Ne sono certo, ma gli indiani sono tutti uguali, lo dici sempre anche tu.
Magari ti sei confuso», noti una punta di ironia nel tono dello sceriffo. «Ora
tornate a casa».
«Non ci muoveremo, finché non l’avremo impiccata, sceriffo!».
«Sì!», grida la folla, agitando forconi e torce. «Impicchiamola!», la folla si
avvicina e così lo sceriffo spara un colpo in aria, disperdendola.
Nel fuggi-fuggi generale, solo Corbett non si allontana.
Vai al 186.
511
El Paso è una città in forte crescita, è ormai diventata un centro finanziario,
amministrativo e anche politico.
Qui si fanno grossi affari: c'è il mercato delle vacche e dei cavalli, si
vendono appezzamenti di terreno, i contadini di tutti i paesi vicini portano la
loro verdura al mercato; non mancano le banche, i notai e gli avvocati.
Con la ferrovia giunge continuamente il legname per costruire edifici, ma anche
carpentieri, ingegneri, letterati e cronisti.
A El Paso si pubblicano ben due giornali, il commercio è fiorente, anche se non
manca il rovescio della medaglia: tanta ricchezza attira banditi, pistoleri,
ladri, e amministrare la giustizia non è facile.
In giro si vedono parecchi messicani che si offrono per i lavori più faticosi,
giungono da oltre il confine, che dista poche miglia da qui.
Proprio un gruppetto di tre messicani con i vestiti bianchi dei peones, sandali
consumati e sombreri lisi, vi si avvicina offrendo i suoi servigi: «Buenos dias,
señores. Possiamo prenderci cura dei vostri cavalli? Per solo un dollaro al
giorno li portiamo nella stalla qui vicino, daremo loro da mangiare e da bere,
li striglieremo e ci assicureremo che riposino in tranquillità».
Se accetti vai al 399, se preferisci portarlo nella stalla dell'albergo vai al
350.
Noti qualcosa di metallico sotto la gonna della donna, ti allunghi e trovi una borchia circolare con incisa la testa di un cavallo, è una di quelle che si trovano sui cinturoni o sui cappelli, può averla persa solo l'assassino.
La metti in tasca.
Ritornate quindi alla diligenza e ripartite.
Una volta arrivati alla prossima stazione segnalerete questo luogo di modo che
qualcuno possa venire a prendere i corpi.
Al tramonto arrivate finalmente a Bronson, qui potete cenare e pernottare,
domani riprenderete il viaggio.
Vai al 508.
«Bene, direi che per oggi possa bastare.
Andiamo a cenare e poi a riposare, domani sarà una
giornata campale».
Se hai già preso stanza in un albergo vai al 398, altrimenti vai al
354.
521
Questa stazione di posta è dotata di un piccolo ristorante gestito da una coppia
di messicani, è a disposizione del personale della Wells Fargo e dei clienti
che, come voi, vogliono fermarsi a mangiare un boccone in attesa della
ripartenza.
Dopo una sosta al bagno, avete ancora da aspettare una mezzora.
Sartana si accomoda su una sedia a dondolo nel portico della stazione a
sorseggiare un bicchiere di whisky, mentre Keoma si occupa di rifocillare i
vostri cavalli che vi stanno seguendo nel viaggio.
Tu stai scrutando la piazza di questa piccola cittadina,
quando senti degli spari nelle vicinanze, ai quali la gente del posto non bada.
Arrivano altri spari, nell'indifferenza generale.
Se vuoi andare a vedere cosa succede vai al 512, se vuoi chiedere al messicano che gestisce il ristorante della stazione vai al 129, altrimenti puoi sederti anche tu sotto al portico in attesa di ripartire (vai al 446).
Respingete anche il secondo gruppo di comanche, ormai sono rimasti in pochi.
Puoi tirare un sospiro di sollievo: ce l'avete fatta, e Anna è
illesa; festeggi con entrambe le mani sulle sue zinne da bagascia.
Ti volti verso i tuoi compagni, provati ma ancora interi, nonostante i sibilanti
tomahawk dei guerrieri comanche; soltanto Keoma ha qualche graffio, ma lo stanno
già curando.
Anche Najada torna da voi.
Al piano di sopra ha ucciso due comanche.
È ancora notte fonda, Sartana e Cuchilla iniziano il turno di guardia, e tu puoi
cercare di riposarti un poco, accanto al massiccio corpo di Anna.
Vai al 197.
Con attenzione e arma in pugno, entri nel piccolo edificio.
C'è polvere fine nell'aria, senti odore di pane. Le casse, le giare di vino, sono coperte da una sottile patina. Passi il dito e annusi. Farina.
Un uomo si sposta dietro una cassa di mele, mandandole a
rotolare dappertutto. Ne fermi una sotto la suola e armi la pistola.
«No me matar, señora», implora l'uomo, «yo soy el cocinero».
«Esci di lì, e vattene».
Il cuoco si alza e corre via.
Se vuoi intrattenerti un po' con Anna vai all'86,
altrimenti esci e fai irruzione nell'edificio a fianco (334).
Con Agua Santa ancora
addormentata e silente, lanci un'ultima occhiata alla Santa Muerte che sembra
osservarvi dalla piazza, e prendete la strada che si inoltra in territorio
messicano.
Vai al 455.
«Sarebbe meglio non parlarne qui, ma sono curiosa».
«Uhm... quello che posso dirvi», racconta Cuchilla, «è che insieme al colonnello Jackson e alla sua troia ci sono uomini validi e svelti di mano, che per lui si butterebbero nel fuoco. Non sono degli sprovveduti, anzi è gente che ha passato anni sui campi di battaglia, e ne è uscita viva.
In particolare fa paura il mastino di Jackson, il caporale Wallace, una montagna d'uomo, con braccia grosse come tronchi d'albero; dicono che abbia strangolato un bue; per quanto mi riguarda l'ho visto uccidere uomini a mani nude, pestandoli a sangue.
Poi ci sono due pericolose bandidas, alleate con il Colonello: una è Romina Lopez, detta l'Incassatrice, per via di un vecchio buco allo stomaco; la grossa sgualdrina riuscì a tenersi la pelle e ancora se ne vanta; l'altra è Nadalla, adepta della Santa Muerte; ma c'è anche la Negra, una ballerina da quattro pesetas che il Colonnello usa come spia: l'avete appena vista».
«Una bella squadra, non c'è che dire», commenta Sartana.
«Gli altri sono tutti dei subordinati, ligi e obbedienti; ci sono anche
molti messicani, non so quanti, con esattezza, ma ho visto parecchi charros, bandidos e peones al servizio
di Jackson. Li
paga con l'oro e il denaro che ruba. Loro
riforniscono il plotone di viveri e munizioni, di donne e alcol, gli riferiscono
ogni movimento in zona, chi arriva e chi va via, probabilmente qualcuno sarà
andato ad avvisarlo del nostro arrivo, ma qui ad Agua Santa arrivano tutti i
giorni un sacco di balordi e di desperados, non ci farà caso più di tanto».
«Speriamo», commenti, mentre finisci la tequila.
Vai al 70.
Trovi un peone che per un dollaro ti dirà dove puoi trovare Cuchilla.
Sborsi la moneta: «Canta», gli dici.
«Oggi Cuchilla dovrebbe trovarsi al mercato, oppure ai bagni pubblici, señora».
«Sì, e io sono Tex Willer...», sbuffi, rivolta alle tue compagne.
Se vai al mercato vai al 367, se vai ai bagni pubblici vai al
121.