La Regina sull'orlo dell'Abisso Attenzione: verificare la data di scadenza LA REGINA SULL'ORLO DELL'ABISSO di William Hope Hodgson e Salvatore Conte (1908-2024) All'estremo limite dell'Irlanda occidentale c'è un piccolo villaggio, chiamato Kraighten. Sorge isolato, ai piedi di una bassa collina. Intorno, si stende per miglia e miglia un paesaggio squallido e inospitale; qui e là si incontrano casupole in rovina, molto distanti l'una dall'altra, abbandonate da chissà quanto tempo, nude e senza tetto. La terra, brulla e deserta, ricopre appena la roccia sottostante, che abbonda in questa regione e affiora, a tratti, in creste ondulate. Benché la località fosse così desolata, il mio amico Tonnison e io avevamo deciso di trascorrervi le vacanze. Tonnison vi era capitato per puro caso l'anno precedente, durante una lunga escursione a piedi, e aveva scoperto un fiumiciattolo senza nome, che scorre ai margini del villaggio, e che pareva offrire buone possibilità di pesca. Ho detto che il fiume non ha nome; aggiungerò che né il villaggio né il fiume sono indicati sulle carte da me consultate. A quanto pare, sono passati del tutto inosservati; potrebbero, in effetti, non esistere neppure, stando alle guide in commercio. Ciò può essere dovuto al fatto che la stazione ferroviaria più vicina, Ardrahan, è a quaranta miglia di distanza. A noi si sarebbe unita la signora Anna Frazer, mia vicina di casa, perché quando mi era capitato di accennarle qualcosa a riguardo del mio spostamento, mi aveva timidamente chiesto di potersi accompagnare a me e al mio amico in questa piccola avventura.
La signora era una modesta governante, divorziata e piuttosto avanti con gli anni. Non aveva soldi per andare in vacanza, e comunque si sarebbe ritrovata da sola, poiché non legava facilmente. Purtroppo era da tempo gravemente malata, anche se riusciva a tirare avanti abbastanza bene e a continuare a lavorare, grazie soprattutto alla sua forza di volontà e a un fisico molto solido. Io e Tonnison non avevamo motivi per escluderla: nonostante l'età, non era decrepita, e malgrado il tumore all'intestino che l'affliggeva, era ancora autosufficiente e in grado di muoversi, e così non sarebbe stata d'impaccio; inoltre, chissà, avrebbe dato una mano a mandare avanti il nostro piccolo accampamento; infine, era pure una bella donna, dalle forme importanti, che non sarebbe stato imbarazzante avere accanto durante la vacanza. Non di rado, quando scambiavamo qualche parola attraverso la piccola staccionata che divideva le nostre abitazioni, si presentava con la camicetta molto sbottonata, lasciando intravedere i seni, cedenti, ma provocanti; forse un tentativo di reagire alla grave malattia, forse un segnale di frustrazione per non avere più molto da vivere. Insomma, la signora Frazer aveva preso il vizio di sbottonarsi le camicette.
Mi raccontava che i medici non le avevano dato speranze. Era solo una questione di tempo. Ma lei non si rassegnava. Provava strane cure. E quando si sentiva particolarmente spaventata dal suo destino, mi chiamava alla staccionata, per farsi vedere ancora attraente. Era una donna sola, e quando si sarebbe aggravata, avrei dovuto assisterla durante i suoi ultimi giorni; ma non sapevo se me l'avrebbe chiesto; non ne avevamo ancora parlato; altrimenti l'avrebbero ricoverata in qualche squallida clinica governativa per malati terminali; sempre che non rimanesse uccisa per una crisi improvvisa. Fu così che arrivammo a Kraighten, verso il tramonto di una tiepida giornata di primo autunno. Eravamo giunti ad Ardrahan la sera prima, avevamo pernottato nella locanda che serviva anche da ufficio postale, ed eravamo ripartiti l'indomani mattina di buon'ora, in precario equilibrio su uno dei tipici barrocci locali, a bordo del quale le belle zinne della signora Frazer dondolavano magnificamente all'interno del camicione sbottonato. Avevamo viaggiato tutto il giorno per le strade più impervie che si possano immaginare, ed eravamo stanchi morti, e saremmo stati anche di cattivo umore, se non fosse stato per la presenza della signora, autunnale come la stagione, ma in contrasto con il paesaggio brullo. Il fatto che, benché donna e benché malata, se la cavasse benissimo, ci dava conforto; inoltre era sempre pronta a incoraggiarci, dicendosi sicura che avremmo trascorso un bel tempo. Comunque, prima di mangiare e di riposare, occorreva piantare le tende e sistemare il campo. Perciò ci mettemmo subito all'opera e in breve, con l'aiuto del conducente, alzammo le due tende in prossimità del fiume, appena fuori dal villaggio. Una era per me e Tonnison, l'altra per la signora Frazer. Quando tutto fu a posto, congedammo il conducente, con l'intesa che sarebbe tornato a prenderci quindici giorni dopo. Avevamo portato provviste sufficienti per quel periodo: l'acqua potevamo attingerla al fiume e non avevamo bisogno di legna, perché il nostro equipaggiamento comprendeva un fornello a petrolio, e il clima era caldo e asciutto. Tonnison aveva già acceso la fiamma, la signora Frazer affettava la pancetta nel tegamino; perciò presi la brocca e andai ad attingere acqua al fiume. Al ritorno, passando accanto al villaggio, vidi un gruppetto di paesani che mi squadrarono incuriositi, ma senza ostilità, anche se nessuno pronunciò una parola. Era chiaro, pensavo, tornando verso l'accampamento, che gli abitanti di quelle casupole sperdute non conoscevano neppure una parola d'inglese. Quando lo dissi ai miei compagni di viaggio, Tonnison osservò che lo sapeva e che ciò non era affatto insolito in quella regione, dove spesso i contadini vivevano e morivano nei loro villaggi isolati senza aver avuto nessun contatto con il resto del mondo. «Avremmo dovuto chiedere al conducente di farci da interprete, prima di andarsene», osservai, mentre sedevamo a mangiare. «È un po' imbarazzante che questa gente non sappia neppure perché siamo qui». Tonnison alzò le spalle, senza smettere di mangiare. «Quando vi vedranno pescare, lo capiranno», concluse intelligentemente la signora Frazer. Ahh... la praticità delle donne... Malgrado la stanchezza, c'era un clima allegro nel nostro piccolo accampamento. «Cough... cough...». Tuttavia, quando cominciai a notare uno sconcertante dettaglio, mi si guastò l'appetito. La signora Frazer, dopo un paio di colpi di tosse, aveva un rivolo di sangue intorno alla bocca... segno questo che il tumore era ormai diventato ingestibile... Non so da quanto avesse tale sintomo, ma chissà se avrebbe festeggiato il Natale, giunta a quel punto. Sapevo che non ne aveva per molto, ma questo segnale mi rovinò la serata. Alla signora non sfuggì la mia apprensione; mi guardò con occhi allucinati e folli, come se per lei fosse un gioco perverso, e non solo una trappola mortale. Dopo cena restammo in mezzo all'accampamento a discutere i progetti per l'indomani, condividendo un buon goccio, tutti e tre. Data l'oscurità e la desolazione del posto, decidemmo che nessuno doveva allontanarsi da solo per assolvere alle proprie esigenze. Prima di salutare la Frazer, trovai il coraggio di affrontarla. «Scusatemi, se ve lo chiedo... ma da quando vi sale il sangue alla bocca?». «Da parecchio... diversi mesi». La fissai basito. Doveva essere completamente invasa dal tumore, ormai. «E non vi siete allarmata?». «All'inizio ero spaventata, ma poi ho capito che dovevo accontentarmi; di vivere giorno per giorno, fino alla fine». «Siete proprio sicura che non si possa fare niente?». «Così hanno detto i medici...». «Ma voi non vi siete rassegnata...». «No, io voglio vivere...», mi guardò fisso, mentre la lingua faceva capolino tra le labbra e con la mano si stiracchiava addosso il camicione rosa... sbottonato fino allo stomaco... «Una bella donna non può morire così... non sei d'accordo?». «Io sì, ma non basta convincere me, signora». La Frazer cercava di reagire, di non pensare alla fine, di sentirsi viva e scambiare sensazioni positive, di suscitare attenzione e rimpianto: Anna era una donna potente che non poteva accettare di rimanere uccisa, oppure anche una grigia governante che si era scoperta puttana in punto di morte. Era vicina alla crisi finale e non se ne rendeva conto. Non potevo farmi illusioni, il cancro aveva galoppato dentro la bella signora. Per lei non c'era più niente da fare. Era una stupida a non capirlo. Non sarebbe stato facile vederla lottare con la bava alla bocca, nella speranza di guadagnare pochi giorni di vita... «Non voglio morire... non voglio morire...», già me la immaginavo. Tonnison era già entrato in tenda. «Non ci sarà pericolo che quelli ci portino via qualcosa?», domandai, mentre mi avvolgevo nella coperta. Il mio amico rispose che era improbabile, almeno mentre c'eravamo noi. «E se ci portassero via la signora? Sicuramente l'hanno notata». «Lei non ci ha chiesto di sorvegliare la sua tenda». «Forse si aspettava che l'avremmo fatto ugualmente». «È una bella donna, ma non una regina. Dovremmo montare la guardia, fuori dalla sua tenda?». «Non lo so, esattamente. Ma non mi sento tranquillo nel saperla sola. Potrebbe anche sentirsi poco bene, è molto malata, lo sai». «E va bene. Fai tu il primo turno. Chiamami per il cambio». «Signora Frazer, mi scusi, sono William...», mi rivolgevo a lei, rimanendo all'esterno della sua tenda. «Volevo dirle che sono qui fuori, se le occorre qualcosa». «Grazie. Ma fuori fa freddo, entra...». Dormiva con lo stesso camicione che portava durante il giorno. «Davvero ti preoccupi per me, William? In questi anni sei sempre stato gentile, ma mai così affezionato». «Sono in pensiero per voi ed è un onore avervi nel nostro accampamento», risposi con un certo imbarazzo, non sapendo bene cosa dire. «William.. non sei più un ragazzino. Io sono ancora bella, mi faccio vedere sbottonata e tu hai buon gusto. Non c'è niente di male o di tanto strano. Ho freddo... stringimi». In quel momento capii che non avrei mai chiesto il cambio a Tonnison. Il mattino dopo mi sentivo in paradiso e per un attimo pensai di essere morto. Anna era uscita, ma le avevo detto di non allontanarsi. Quando anch'io mi tirai fuori dalla tenda, trovai la colazione piacevolmente pronta e Tonnison che già ne approfittava. Di certo aveva capito la situazione, e poteva sperare, oltre alla colazione, di condividere il pasto principale. Quindi tirammo fuori gli arnesi da pesca e ci avviammo verso la località che il mio amico aveva esplorato durante la sua visita precedente, seguiti dalla signora Frazer. Pescammo beatamente tutto il giorno, sempre risalendo il fiume, e prima di sera avevamo quasi più pesce di quanto ne potessimo portare. Tornati al villaggio, facemmo un'ottima cena con il ricavato della giornata e, dopo aver messo da parte alcuni dei pesci più belli per la colazione dell'indomani, regalammo gli altri ai contadini che, radunati a rispettosa distanza, ci stavano osservando. Mostrarono di gradirli moltissimo e riversarono sul nostro capo fiumi di benedizioni irlandesi, o almeno così supposi. Furono anche molto riverenti nei confronti della signora Frazer, che in rapporto a quello scalcinato villaggio faceva la figura della Regina d'Inghilterra.
Trascorremmo alcuni giorni continuando a pescare con fortuna e godendo di un eccellente appetito, che ci permetteva di fare onore al nostro bottino. Anna non aveva grossi problemi, anche se si toccava spesso la pancia. Speravo che almeno riuscisse a finire la vacanza. Ci rallegrò molto constatare che gli abitanti del villaggio erano disposti alla massima cordialità nei nostri confronti, e che nessuno toccava mai le nostre provviste o i nostri arnesi durante le nostre assenze. Ancora più gradito fu il fatto che la signora Frazer non si mostrasse annoiata di starci a guardare. Si mostrava anche un'eccellente cuoca. La sera si rimaneva a bere qualcosa prima di addormentarsi e in un paio di occasioni avevamo acceso un focherello di compagnia, grazie a un po' di legna fornita dagli abitanti del villaggio. Affinché Tonnison non si sentisse emarginato, Anna si era mostrata generosa anche nei suoi confronti; i turni di guardia erano equamente distribuiti. «Capisco che voglia sentirsi viva, ma tutto il giorno con quel camicione sbottonato davanti agli occhi... è una bella tortura...», si lamentò Tonnison, a bassa voce, tra il serio e il faceto. «Pensa che per i comuni mortali la tortura prosegue anche di notte, mentre per noi arriva il paradiso...». «Sicuro che non ci sia più niente da fare per lei?». «Così le hanno detto i medici». «Ha una brutta cera, infatti. Quanto ci vorrà...?». «Quando arriverà al pancreas... la fine si farà rapida; allora perderà il controllo e bisognerà assisterla, giorno per giorno, ora per ora». «Temo però che non si rassegnerà facilmente: ho sentito parlare di malati così attaccati alla vita che bisogna convincerli a lasciarsi andare, per non vederli soffrire inutilmente; e che sperano fino all'ultimo di migliorare, nonostante dovrebbero essere già morti e sepolti. Penso che la signora sia fra questi». «Probabile. Non ha alcuna intenzione di rotolare nella fossa. Tenterà fino all'ultimo di guadagnare tempo. E non sarò io a convincerla a mollare. Anzi la inciterò ad annaspare e singhiozzare fino all'ultimo, la illuderò con speranze di salvezza...». «Certo... non possiamo permetterci che molli. Le sue tette sono fantastiche...». «Pura verità». «Pensi che morirà con la sua camicetta sbottonata addosso?». «Non ho dubbi che sarà così». Giunta la sera, fissai il fuoco morente e vidi una lingua di donna umettarsi il labbro. Fissai il fuoco morente e vidi una mano di donna palpeggiarsi il seno.
Fissai le ceneri del fuoco e vidi singhiozzare una donna, con la gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata, incredula di essersi bruciata fino in fondo. Stizzito, cercai di far riprendere il fuoco. E allora la rividi, con la faccia sudata e gli occhi che si guardavano intorno; era eccitata e con le mani si stirava addosso il camicione, per avere la conferma di essere viva e di aver guadagnato altro tempo... di aver superato l'ennesima crisi... Buttai altra legna sul fuoco e mi infilai pensieroso nella tenda di Anna, per il primo turno di guardia. Eravamo arrivati a Kraighten di martedì, e fu la domenica seguente che ci capitò di fare una singolare scoperta. Fino a quel giorno avevamo sempre risalito il fiume; quella mattina, invece, lasciammo gli arnesi da pesca e, portandoci qualche provvista, ci avviammo per una passeggiata nella direzione opposta, anche per non annoiare Anna e farle vedere qualcosa di diverso. Faceva caldo, e camminavamo tranquillamente, senza fretta, anche per non affaticare la signora. A mezzogiorno ci fermammo a mangiare su un ampio masso piatto, presso l'argine del fiume. Proseguimmo poi per circa un'ora, conversando piacevolmente del più e del meno, sempre intorno alla signora e alle sue tette, fermandoci ogni tanto per dar modo al mio amico Tonnison, che si diletta di pittura, di schizzare qualche aspetto particolarmente interessante dell'aspro paesaggio; alcuni schizzi venivano dedicati alla Frazer; sapevamo che non c'era più molto tempo per conservare qualcosa di lei; degli schizzi notturni non rimaneva nulla, l'immagine è eterna. D'un tratto, senza che nulla lo facesse prevedere, il fiume che avevamo fino allora seguito sparì di colpo, nella terra. «Gran Dio!», esclamai. «Chi se l'aspettava?». Sbalordito, mi girai verso i compagni. Tonnison fissava con sguardo attonito il punto dove il fiume scompariva. La Frazer, invece, la prese con filosofia: «Quello che vediamo è solo una piccola parte di ciò che esiste»; la sua intelligenza non era da meno delle sue zinne. «Proseguiamo, allora», disse Tonnison. «Può darsi che torni ad affiorare». Riprendemmo dunque il cammino, un po' a caso perché non sapevamo affatto in che direzione spingere le nostre ricerche. Avevamo percorso circa un miglio, quando Tonnison, che guardava in giro attentamente, si fermò e si fece schermo agli occhi con la mano. «Guardate!», disse dopo un poco. «Non vedete una specie di nebbia laggiù a destra, in direzione di quella grande roccia?». Guardai il punto che mi indicava; effettivamente mi pareva di scorgere qualcosa, ma non ne ero certo. Mi voltai verso la nostra signora per raccogliere il suo parere. «Sì, c’è qualcosa laggiù, lo sento», disse, senza neanche sforzare la vista. «In ogni caso, direi di andare a vedere», suggerì Tonnison. Si avviò in quella direzione senza aspettare conferme, e io e Anna lo seguimmo subito. Poco dopo attraversammo una macchia d'arbusti dalla quale sbucammo su un'altura disseminata di massi, dominante un folto intrico d'alberi e cespugli. «Ma guardate: un'oasi in questo deserto di roccia!», mormorò il mio amico, osservando incuriosito la scena. Poi tacque, gli occhi fissi su un punto. E anch'io guardai: infatti, dal centro del folto d'alberi, sotto di noi, si alzava nell'aria immobile una grande colonna di spuma, sulla quale il sole accendeva innumerevoli arcobaleni. «Straordinario!», esclamai. «Già», rispose Tonnison, pensieroso. «Dev'esserci una cascata, o qualcosa del genere, laggiù. Forse è il fiume, tornato alla superficie. Andiamo a vedere. Ve la sentire, signora?». «Certo, interessa anche a me», rispose Anna. Scendemmo il declivio e ci addentrammo tra gli alberi e gli sterpi. Ancora una volta la signora Frazer se la sbrigava egregiamente. A ogni modo, la tenevamo sempre in mezzo, mentre marciavamo, per controllarla e proteggerla dalle insidie. Oltre a premersi spesso la pancia, afflitta dal tumore che la stava divorando, osservava attenta gli spazi intorno ai fusti d'albero e sotto i cespugli. Sembrava stesse cercando qualcosa. L'intricata vegetazione si chiudeva sopra di noi, creando una penombra cupa e sgradevole; non così fitta, però, da impedirmi di notare che molti alberi erano da frutto e che, qui e là, c'erano vaghe tracce di coltura abbandonata da tempo. Ciò mi fece pensare che ci trovassimo in un vasto, antico giardino in rovina. Com'era tetro e selvaggio il luogo! Mentre procedevamo, il senso d'abbandono e di silenziosa solitudine dell'antico giardino mi penetrò nelle ossa, facendomi rabbrividire. Immaginavo misteriose presenze, in agguato nel groviglio degli sterpi; nell'aria stessa c'era qualcosa di pauroso. Credo che anche i miei compagni lo sentissero, ma non dicevano nulla. Improvvisamente ci fermammo. Attraverso gli alberi, giungeva alle nostre orecchie un rumore lontano. Tonnison si protese, in ascolto. Ora il rumore si udiva più nettamente; era aspro e incessante, come un rombo monotono, proveniente da grande distanza. In che razza di luogo eravamo capitati? Guardai la signora per cogliere le sue reazioni, ma il suo viso era sfuggente, inespressivo; e provato. «Sì, dev'essere proprio una cascata», disse Tonnison. «Ora riconosco il rumore», e ricominciò a farsi strada tra i cespugli, in quella direzione. A mano a mano che procedevamo, il boato si faceva più distinto, confermandoci che puntavamo nella direzione giusta. Si fece sempre più forte e vicino, finché mi parve che fosse quasi sotto i nostri piedi. Ma eravamo sempre circondati dagli alberi e dagli arbusti. «Attenti!», gridò Tonnison. «Badate a dove mettete i piedi!». Improvvisamente eravamo entrati in una vasta radura nella quale, a pochi passi da noi, si apriva un baratro enorme, dalle cui profondità pareva venire il rombo, insieme al getto continuo di spumeggiante vapore che avevamo visto dall'altura. Stupefatti, osservammo a lungo, in silenzio, lo spettacolo; poi il mio amico si avvicinò cautamente all'orlo dell'abisso. Soltanto poi, io e la signora, bene allacciati, lo seguimmo; la strinsi forte a me e lei non mi respinse; malata com'era, avrebbe potuto perdere l'equilibrio; e non c'era motivo di affrettare il destino. In effetti quel baratro sembrava proprio l'imminente destinazione di Anna. Attraverso il ribollire del vapore, scorgemmo un'enorme cascata d'acqua spumeggiante, che sgorgava impetuosa dalla parete del baratro, una ventina di metri più sotto. Tacevo, impressionato dall'inattesa grandiosità di quello spettacolo quasi soprannaturale. Dopo un poco, levai gli occhi al lato opposto del baratro e vidi qualcosa ergersi in mezzo al getto di spuma: pareva il frammento di un enorme rudere. Anche Tonnison lo stava guardando. «Andiamo!», disse, gridando per superare il frastuono. «Voglio vedere di che si tratta. Non sapevo che ci fosse qualcosa di simile, da queste parti», e si avviò lungo il ciglio dell'abisso. Raccolto un cenno di assenso da parte di Anna, lo seguimmo insieme. Quando fummo vicini alla forma che avevo intravisto, ebbi conferma della mia supposizione. Era senza dubbio il rudere di un edificio; ma ora vidi che non sorgeva, come avevo creduto, sul ciglio del baratro, ma all'estremità di un enorme sperone di roccia che sporgeva sull'abisso per una quindicina di metri. In effetti, il rudere era praticamente sospeso nel vuoto. Avvicinarsi oltre sarebbe stato troppo pericoloso per la signora. A esplorare la stuttura c'avrebbe pensato Tonnison. Così la feci riposare, anche perché continuava a premersi la pancia, più del solito. «Oggi mi fa impazzire...», lei stessa ne diede conferma. «Forse abbiamo camminato troppo...». «No, sta andando avanti. È lui che cammina...», sempre acuta nel linguaggio. Ora si premeva la pancia con entrambe le mani, piegandosi leggermente in avanti. Sembrava aver preso una coltellata, o un colpo di pistola. Per Anna si spalancava il baratro. Forse il tumore era arrivato al pancreas. La signora Frazer avrebbe singhiozzato presto, e non sarebbe bastata un po' di legna per salvarla. «Cercherò di gestirmi, William. Te lo prometto», come se avessi pensato ad alta voce. «Lo porto minimo alla Pasqua, so come fare». In quel momento non diedi peso alle sue parole, pensavo stesse fantasticando, per farsi un po' di coraggio. «Ehi! Guardate cosa ho trovato...», Tonnison era tornato, dalla sua esplorazione fra i detriti del rudere, con un oggetto nella mano: un libro, spiegazzato e malconcio. Me lo porse, dicendomi di tenerlo, mentre lui proseguiva le sue ricerche. Lo sfogliai rapidamente, facendolo vedere anche alla signora, e notai che era segnato da una scrittura nitida e antiquata, perfettamente leggibile fuorché nella parte centrale, dove le pagine erano gualcite e ammuffite, come se il libro fosse rimasto aperto in quel punto, tra le macerie. Seppi poi da Tonnison che così, infatti, lo aveva trovato. Dopo non molto, il mio amico abbandonò le ricerche e quindi tornammo indietro, lasciandoci alle spalle l'abisso. Tuttavia, non ritrovammo i nostri passi, perché ci imbattemmo in un lago. Era silenzioso e immobile, fuorché in un punto, dove l'acqua ribolliva e gorgogliava incessantemente. Ora, comunque, lontani dal fragore della cascata, potevamo parlare senza sgolarci, e chiesi a entrambi cosa pensassero di quello strano luogo. Tonnison alzò le spalle, come faceva spesso. «C'è qualcosa, oltre a noi...», fu la risposta di Anna. La signora lanciò un'occhiata furtiva alla boscaglia. Gli chiesi se avesse visto o udito qualcosa. Lei rimase immobile, come in ascolto, e anch'io tacqui. «Ascoltate!», disse bruscamente. La guardai, poi rivolsi gli occhi sugli alberi e i cespugli, trattenendo involontariamente il fiato. Trascorse così un minuto, in un silenzio teso. Poi udii giungere, dal folto alla nostra sinistra, uno strano suono lamentoso… Parve fluttuare tra gli alberi, e si udì un fruscio di foglie smosse; quindi, il silenzio. Tonnison mi posò una mano sulla spalla. «Andiamo», disse in fretta, e cominciò ad avviarsi, cauto, verso un punto dove la boscaglia che ci circondava sembrava più rada. Come in precedenza, lasciai che la signora lo seguisse, mentre io prendevo l’ultima posizione della corta colonna, per tenere la bella governante al riparo da ogni attacco. Mi accorsi solo in quel momento che il sole era calato e che c'era, nell'aria, una sensazione pungente di freddo. Mentre marciavo, mi guardavo attorno con apprensione, ma non vedevo altro che rami, tronchi immobili e cespugli aggrovigliati. Mi compiacevo del fatto che la signora Frazer non apparisse intimorita e mi piaceva pensare che si sentisse protetta dalla nostra presenza. Proseguimmo ancora, e nessuno strano rumore ruppe il silenzio, fuorché, ogni tanto, lo scricchiolio di un ramo spezzato sotto i nostri stessi piedi. Pure, nonostante il silenzio, adesso avevo anch'io l'orribile sensazione che non fossimo soli; e camminavo così vicino alla signora, che in un paio di occasioni rischiai addirittura di farla inciampare; tuttavia fu cortese a non protestare. Infine, ormai al crepuscolo, fummo fuori dalla boscaglia, nel nudo paesaggio roccioso. Soltanto allora riuscii a scuotermi di dosso la paura che mi aveva attanagliato nel bosco. «C’è qualcosa là dentro, ragazzi», disse la signora, indicando il bosco. «Ma con voi mi sono sentita protetta. Sarei disposta anche a tornarci, se necessario. Penso che nessuno possa fermarmi...». Detto questo, stavolta superò se stessa: sporse la lingua dal labbro e si stirò addosso il camicione, gonfiando il petto, in una posa spettacolare.
Entrambi la fissammo basiti: era ancora solida e sicura di sé, come una roccia nel vento. E soprattutto sbottonata. Fino alla morte. Per me era una presenza rassicurante. E credo che lo stesso valesse per Tonnison. Anna sentiva il bisogno di riaffermare il suo potere, perché si sentiva gravemente minacciata. Era una reazione istintiva. Il tumore la stava uccidendo e lei reagiva con tutte le sue forze. E noi, altrettanto d'istinto, ci inginocchiammo al suo cospetto, come fosse la nostra regina. Con un cenno ci fece rialzare e ci portò le mani sulle zinne, baciando prima l'uno e poi l'altro. «Forse il diario potrà darci qualche spiegazione. Dev'essere avvenuto qualcosa, laggiù. Ma adesso penso sia meglio tornare all'accampamento, prima che faccia completamente buio». Ormai era lei che comandava. Rientrati nella nostra piccola fortezza, senza indugio ci accingemmo a preparare la cena, perché non avevamo toccato cibo dopo lo spuntino di mezzogiorno. Dopo aver mangiato, ci rinfrancammo con un buon goccio, in un clima tornato sereno. Tonnison mi pregò di prendere il manoscritto. Lo tolsi dallo zaino e mi invitò a leggerlo ad alta voce. Anna mi si strinse accanto, visibilmente eccitata. Così, seduti in mezzo alle nostre tende, alla luce della lanterna, cominciammo a scoprire i misteri dell'Abisso. «Continuo a scrivere, con disperazione, facendo stridere il pennino sul foglio, quasi per cancellare ogni altro rumore... Ma ora odo distintamente dei passi sulle scale: passi pesanti che salgono, si avvicinano... Dio mio, abbi pietà di me. Qualcuno gira la maniglia della porta. Dio mio, aiutami, ora! Dio... La porta si apre, lentamente. Qualcu... La scrittura si interrompe... non c'è altro...». Giunto alla fine, posai il manoscritto e cercai lo sguardo dei miei compagni. Tonnison era rimasto con gli occhi fissi nel buio e non diceva nulla. «Che ne pensate?», chiesi, sollecitando una reazione. «Era pazzo?», continuai, indicando il manoscritto con un cenno della testa. «No!», esclamò deciso il mio amico. Aprii le labbra per obiettare qualcosa, perché la mia razionalità non mi permetteva di prendere alla lettera la storia narrata nel manoscritto; poi le richiusi, senza parlare. Stavolta il mio amico non aveva alzato le spalle. In quel momento, cominciai a dubitare dei miei preconcetti. Aspettavo ora la reazione di Anna. «No... non era pazzo... questo è un diario... non un romanzo. Molte cose sfuggono alla nostra comprensione, ecco perché non mi arrendo...», un ragionamento pratico, finalizzato alla sua sopravvivenza; il sigillo di Anna Frazer. «Stanotte sarà meglio raddoppiare i turni di guardia», ordinò la regina. La mattina dopo ci alzammo molto tardi, quasi a mezzogiorno. Pranzammo e rimanemmo intorpiditi in mezzo alle tende, quasi a chiuderci nel nostro fortino. «Siete disposti a tornare laggiù?», domandai all'improvviso, indicando con la testa la direzione dell'abisso. Tonnison alzò gli occhi. «Sei pazzo?», rispose bruscamente. «Forse dovremmo farci forza e affrontare questa avventura: se rimaniamo uniti, nessuno potrà farci paura...», il coraggio di Anna scosse l'orgoglio del mio amico. «Sposteremo la nostra base laggiù e verremo a capo di tutti i misteri. Ma domani, perché sono troppo stanca per ripartire subito». Approfittai di quelle ore per recarmi al villaggio. Pur con qualche difficoltà, spiegandomi a gesti, riuscii a trovare quello che cercavo. Un anziano del paese era morto da poco. Ne avevo già parlato con Anna, per non rischiare che si offendesse. La provammo e andava bene. L'indomani mattina ci alzammo presto. Tonnison appoggiò l'idea di tornare in quel posto per fare altre ricerche e comprenderne il mistero. Pur di coricarsi accanto alla signora, era disposto a tutto. Fu stabilito però che saremmo sempre rimasti compatti, e se del caso ci saremmo stretti nella stessa tenda, perché nessuno avrebbe potuto affrontare da solo quella boscaglia sinistra e minacciosa. Dopo la prima ora di cammino, Anna prese posto sulla sedia a rotelle. Non potevamo rischiare che si affaticasse troppo. Fu così che tornammo nel giardino abbandonato, nei pressi del lago, preparandoci ad affrontare la notte, prendendo tutte le precauzioni possibili. Prima di lasciare il villaggio, avevamo addirittura acquistato un paio di forconi da contadino. Io e Tonnison sembravamo la scorta della Regina, quale ormai si atteggiava la signora Frazer, sicura del fatto suo e abbastanza al riparo con due giovanottoni come noi. Ci stringemmo intorno al falò, la legna non mancava di certo, mentre tutto intorno si propagavano rumori inquietanti. Avevamo organizzato una specie di fortino: la Frazer sarebbe rimasta al sicuro, all'interno della sua tenda, insieme al manoscritto, per sottrarla a quelle presenze notturne che sicuramente ci scrutavano nell'ombra, mentre noi avremmo vegliato con i forconi bene in vista, per scoraggiare eventuali assalti. La seconda tenda sarebbe rimasta inutilizzata, ma l'avevamo tirata su per dare l'idea di un accampamento più grande. «Su, venite a dormire...», sussurrò la Frazer, dall'uscio della tenda. Era ben protetta, di fatto inattaccabile, almeno al momento. Voleva reagire, mettersi in mostra e affermare il proprio potere, e ci stava riuscendo. Ci stringemmo dentro, mentre il falò andava spegnendosi. La minaccia nell'ombra era palpabile. Sarebbe stato facile smarrire la ragione, se non fosse stato per la presenza rassicurante di Anna. Era grassa, formosa e calda. Impossibile avere paura con lei vicino. Il brivido di poter essere attaccati, da un momento all'altro, da entità sconosciute, e di dover difendere la Regina, ci trasmetteva una particolare eccitazione, come se non bastasse quella di starle accanto. Oggi, però, si era premuta la pancia per tutto il giorno, e anche se non lo dava a vedere, era di certo molto preoccupata. La situazione poteva precipitare e nessuno di noi era un medico. Anna avrebbe avuto bisogno di cure, almeno di ossigeno e plasma, per tirare avanti. In questi casi sapevo che i medici distinguevano tra fase di morte imminente e fase differita. Anche se la malattia era terminale, si poteva tenere sotto controllo la situazione, escludendo un pericolo di morte imminente. D'altra parte, quando ciò non era più possibile, il malato entrava in pericolo in vita, pur dato per morto da tempo. Ma poteva sopravvivere ancora a lungo, sul filo del rasoio, fino a una banale complicazione, che l'avrebbe stroncato. Dai sintomi, Anna stava avvicinandosi alla fase di morte imminente, per emorragia, infarto, blocco intestinale, o eccessivo rilascio. E purtroppo, per noi, e per lei, uno di questi sintomi fece la sua comparsa proprio quella notte. L'alba arrivò senza che fossimo mai riusciti veramente a dormire, per i vari motivi del caso e del luogo. Eravamo più stanchi della sera precedente. Ma contenti di aver scoraggiato eventuali attacchi con una buona strategia difensiva. Ci stiracchiammo intorpiditi fuori dalla tenda, cercando in qualche modo di risvegliarci. Anna non era in grado di prepararci la colazione, quella mattina. Aveva avuto una notte difficile. «Non vorrei che il grande momento... cough... si avvicinasse un po' troppo in fretta... William... cough... i sintomi ci sono...». Sangue alla bocca, respiro affannato, tosse, mani premute sulla pancia di prima mattina, e una notte di diarrea. Anna doveva cominciare ad avere paura... anche se bella e sbottonata, stava morendo... i suoi camicioni non potevano salvarla. L'avrei fatta ricoverare d'urgenza, ma non si poteva fare niente per lei. Il tumore l'aveva invasa e stava attaccando il pancreas, l'ultimo fortino di Anna; ne ero convinto. Se così, sarebbe morta nel giro di due settimane, forse meno. Allora compresi. «Anna... tu sei venuta qui a morire...». Abbassò lo sguardo. «È arrivato anche al pancreas... cough... il dottore ne è sicuro... e me l'ha detto... Sono finita... e la cosa... cough... può farsi molto rapida... come vedi...». «Non hai paura?». «Sono disperata... ma non posso fare niente... cough... tu e Tonnison mi aiuterete... negli ultimi giorni...? Non potrò più muovermi... cough... non voglio finire... in mani sbagliate... cough... ti prometto che... non mi lascerò andare... fino all'ultimo... cough... ho ancora voglia di vivere...». «Avrai il nostro appoggio, Anna. Ma non devi lasciarti andare...». «No... no... io ci provo... cough... io voglio vivere...». Come tutti i malati, la signora cercava di nascondere a sé stessa la fine, ma ormai era arrivata a destinazione, e lo sapeva benissimo. Nella sua lucida determinazione, sapeva sin dall'inizio che sarebbe morta durante la vacanza. Ciò voleva dire che le rimanevano pochi giorni, e che io e Tonnison saremmo tornati indietro con il suo cadavere. Nonostante tutto, Anna chiese di esplorare la zona come programmato. Portando con noi lo stretto necessario, e tra questo c’erano anche i due forconi, girovagammo nel giardino abbandonato, mantenendo la solita formazione: Tonnison davanti, Anna in mezzo, e io a chiudere la fila e a spingere la carrozzella.
«Aspettate...». La Frazer aveva notato qualcosa... «Là...», indicò degli strani funghi, che crescevano su una zona di terreno molto scuro, come se un fuoco vi fosse rimasto acceso a lungo e in tempi recenti. «Non credo siano commestibili...», disse Tonnison. «Lo so... ma mi servono... cough... Per favore... potete raccoglierli...? Ma non tutti... Cerchiamo... cough... di ricordare questo posto...». Ritornammo subito all'accampamento, e per fortuna non trovammo niente di insolito. Anna aveva fretta di utilizzare i funghi, non sapevo in che modo. Doveva essersi rivolta anche a qualche erborista eccentrico, nella sua disperata ricerca di una cura. Macerò i funghi e li assunse crudi. «Ma sono tossici!», protestò Tonnison. Anna non rispose, non aveva molto da perdere. «Non vi spaventate... se il respiro... si riduce... Se domani sarò ancora viva... alziamo le tende in quel posto... ne avrò bisogno a lungo...». Io e Tonnison ci guardammo basiti. Anna le stava provando tutte. Dormì profondamente, lasciandoci terribilmente in ansia. A tratti sembrava morta. Con grande sollievo, la vedemmo risvegliarsi, molto gradualmente. Aveva superato la notte. Dunque sapevamo cosa fare. Togliemmo il campo e ci spostammo nei pressi della fungaia scoperta il giorno prima. Non troppo vicino, in modo da non influenzare il delicato ambiente dei funghi. Tonnison, che era un acuto osservatore, notò come la spuma della cascata arrivasse in piccolissime gocce fino a quel luogo, a seconda di come tirasse il vento. Ecco dunque svelato in che modo i funghi avessero sempre l'umidità giusta per loro. Anna aveva riposato bene ed era visibilmente meno provata. «Ascoltate... l'esperimento... per ora... ha funzionato... Questi funghi... assorbono le emorragie... non ho più la tosse... Hanno anche altre qualità... Forse hanno un'origine maligna... ma a me servono... Non guarirò... ma devo fermare il tumore... prima che sia troppo tardi... Questo sarà il mio Regno... qui lotterò fino alla fine... Ma non vi obbligo a rimanere...». Aveva deciso di non arrendersi e di battere sentieri occulti, piuttosto che morire nel proprio letto. I funghi l'avrebbero tenuta in sospeso sull'abisso, lontano da tutti; come il rudere dimenticato. Anna era ormai legata a quel posto, perché quei funghi erano molto rari e andavano consumati appena trovati. Quel giardino morto da tempo era l'ambiente ideale per lei. Sarebbe anche lei morta, oppure rinata, insieme a noi. CONTRO LE DONNE-SQUALO di Salvatore Conte (2024) È un caso molto difficile e il tempo sta già finendo! Stando alla richiesta di riscatto, la polizia ha meno di un giorno per ritrovare la giovane ereditiera dei diamanti - Mathilde Lancour - prima che venga assassinata. Per fortuna del padre, tra gli investigatori incaricati (di nascosto) c'è anche l'Agente 007, perché si sospetta che dietro il sequestro vi sia lo zampino, anzi la pinna dorsale, delle famigerate Donne-Squalo, un clan di grosse predatrici, un'Organizzazione segreta molto potente che minaccia l'intero mondo!
L'ultimatum dei rapinatori scade fra 22 ore esatte: alla mezzanotte in punto! C'è poco tempo per spremere gli informatori e seguire le piste che potrebbero aprirsi. Per 007 il lavoro si presenta alquanto complicato, la matassa difficile da sbrogliare in così poco tempo! Non resta che puntare direttamente alle principali sospettate: Squalo Biondo (!), Squalo Sbottonato (!) e Squalo Bidone (!). E per cominciare l'idea è quella di bazzicare uno dei night-club della potente Organizzazione, per vedere di fare uscire qualche chiacchiera. Purtroppo, però, le bocche sono cucite, chi sa qualcosa rimane abbottonato. Tutto il contrario di Anna Frazer, la vecchia puttana che ha messo su un impero economico basato sul crimine e che si rende facilmente riconoscibile per via dei suoi camicioni allegri e allentati fino allo stomaco (!). Benché non più giovanissima, è la donna che tutti vorrebbero sposare: ricca, possente, ingrassata il giusto, con la carne molle e le tette a penzolo. Gli viene proprio voglia di spremerla. Purtroppo per lui, però, James Bond viene informato che la signora Frazer stavolta ha trovato pane per i suoi denti da squalo. Mentre si stava imbarcando su un aereo per un giro d'affari è stata raggiunta alla schiena da un fucile di precisione!
Trasportata in fin di vita (!) all'ospedale, i medici sono ottimisti: pare che non se la caverà (!!). Ma prima che scorrano i titoli di coda sul camicione della Frazer, 007 ha intenzione di interrogarla, perché la sua licenza di uccidere include la licenza di fottere. Resta comunque da stabilire se vi sia un nesso con il rapimento di Mathilde Lancour. James Bond corre in ospedale per cercare di strapparle qualcosa, magari un altro bottoncino, prima che tiri le cuoia, ma i medici lo gelano: la donna è in piena agonia (!!) e non può parlare. È una doccia fredda per 007: Squalo Sbottonato sta per morire. Inoltre il tempo passa e si sono fatte le 4 della notte: mancano 20 ore allo scadere dell'ultimatum. Bond non ha niente per le mani, neanche uno straccio di indizio! A questo punto è costretto a improvvisare; l'ipotesi è che qualcuno tagliato fuori dall'affare del rapimento abbia reagito nella maniera che si è visto: arpionando la Frazer... 007 passa il resto della notte all'ospedale, al capezzale della Sbottonata. A tratti riprende conoscenza, anche se non è in grado di parlare. Lui, con grande galanteria, le tiene la mano e la incoraggia. Non è lo 007 che si vede nei film. La Frazer va due volte in arresto cardiaco, ma riesce a riprendersi. Anche se ha pochissimo da vivere, Bond non può rimanere.
Lascia l'ospedale, assediato da curiosi e giornalisti, in ansia per la sorte della Sbottonata, e penetra nella lussuosa villa di Chana Jones - alias Squalo Biondo, avvicinandosi alla grande piscina in cui è solita nuotare; anche in questo preciso momento...
Il revolver cromato della Jones è sempre a portata di mano, a bordo vasca. A pochi metri dalla piscina in cui nuota Squalo Biondo, ve n'è un'altra popolata da squali senza capelli.
Gli amici di Chana sono preziosi operatori ecologici per lo smaltimento di rifiuti umani. Non fanno domande e la procedura è semplice: se gli dai da mangiare, mangiano. «Come sta Anna?», esordisce Bond. «Le rimane poco... quando muore, mi chiamano... è tosta comunque», la corpulenta, maestosa bionda-platino affiora dall'acqua, senza mostrare eccessiva meraviglia. «Ha la pelle spessa, infatti... ma stavolta temo che non se la caverà a buon mercato». «Sembra quasi che tu l'ammiri...». «È una bella donna, perché negarlo. Ha classe, e un fascino fuori dal tempo». «Già... tu te ne intendi... ma sta per morire... dispiace anche a me...». «Veramente non mi sembri molto in pena per la tua amica. In ogni caso, ti consiglio di girare al largo da quel cannone, ho delle domande da farti», con il piede lo allontana leggermente, per evitare equivoci. «Penso già di conoscerle, le tue domande, Bond...», rimarcando il nome, facendo scoppiare la B come un palloncino. «So che ti piace andare in giro a scassarle a tutti quanti. Tuttavia non so niente che possa interessarti, mi dispiace». In quel momento una bella cicciona avvista l'uomo a bordo piscina. «Ehi, tu! Chi cazzo sei?».
Si tratta di Leila Boyle, detta Squalo Bidone, una vacca in trench nero, molto allentata, con un sorriso sardonico scolpito sulla faccia da pacioccona: una Donna-Squalo in grasso, pinne e tette. STUMPF Bond fa una premessa: la raggiunge subito allo stomaco (!), neutralizzandola. «Leila!», impreca Chana. «Bond... James Bond...», 007 le risponde adesso, da vero gentleman. Squalo Biondo ne approfitta per balzare fuori dall'acqua e allungare la mano sul revolver. STUMPF BANG Un colpo alla bionda, in pieno petto (!), e uno, biondo, all'aria, per la tangente... Non voleva ammazzarla, doveva parlare prima, ma è stato costretto. La donna va alla deriva, a braccia larghe, verso il centro della piscina (!), con l'acqua intorno che cambia colore! Lo sparo almeno ha allertato i suoi scagnozzi, certo non molto svegli. Viene tirata subito fuori. La scena è concitata! Bond osserva da lontano. La bionda è spiaggiata a bordo vasca! I suoi provano a tamponare il buco! Qualcuno si occupa anche di Leila. Arrivano le ambulanze. Quasi subito le calano il lenzuolo in faccia!! L'autolettiga riparte a bassa velocità, diretta all'obitorio. Leila invece parte per l'ospedale a sirene spiegate. Mancano 11 ore a mezzanotte. La mattina dopo, la ragazza viene liberata. Il padre ha pagato una cifra astronomica, 50 milioni di dollari, a mezzanotte meno cinque. Adesso 007 può interrogare di persona la Sbottonata (!), che ha ripreso stabilmente conoscenza, pur rimanendo in condizioni critiche. Ha deciso di andarci piano con lei. Se deve crepare, meglio stia zitta... La giustizia può attendere. E poi c'è quella cicciotella simpatica che ha quasi tolto di mezzo, prima di averla vista bene, per impressionare Squalo Biondo e spingerla a parlare, sbagliando i suoi calcoli. «Ciao, Leila... hai presente chi sono?». Bond posa i fiori accanto al letto. «Certo... mica... uhh.... mica mi hai sparato... agli occhi...». «Non ti sforzare...». «Prima... mi fai quasi fuori... ohh... e poi... vieni a trovarmi...». «E perché no?». «Non dirmi... che ti piace... una come me... uhh... tu sei un fico...». «E che vuol dire? Anche tu sei un pezzo di fica, Leila». «Adulatore... uhh... Io sono... una zoccola... ahh...». «Con una puttana come te, mi sto buono e calmo». «Hai bisogno… ohh… di una ragazza…».
«Esatto», le tampona la fronte. «La Sbottonata... uhh... ha più classe di me...». «Bella donna, è vero; ma potrebbe non farcela ed è troppo vecchia per me». «Anch’io… mi calmo… ahh… con uno stronzo… come te…». «Brava, hai capito...». «Allora... si fa... uhh... una vasca... insieme...?», lusingata dalle premure. «Anche due, bellezza... Però calmati... non ti sforzare...», le asciuga le tempie e il collo grasso, con gesto affettuoso. Non è lo 007 che si vede nei film. «Devo... rimettermi... in tiro... prima...». «Sei uno squalo ferito, Leila; ma non rimarrai uccisa; ti tirerò fuori dai guai. Ti aspetto fuori da qui, grassa e allentata...».
La giustizia può attendere sempre più. La sera stessa 007 consegna il suo rapporto a M. La Sbottonata gli ha detto tutto. La ragazza, violentata dal padre, ha sollecitato il suo rapimento per punire sessualmente il genitore e fargli il solletico economicamente. Le Donne-Squalo, pensando a un vero rapimento, volevano entrare nell'affare, ma Diabolik, il criminale a cui si è rivolta la ragazza, non si è fatto intimidire e ha aperto un grosso bottone nella schiena della Frazer. 007 conclude il rapporto affermando che lo status quo non mette a rischio gli interessi della Corona Britannica. Per quanto riguarda le Donne-Squalo, non nuoteranno più in mare aperto: una è spiaggiata all'obitorio, una ha perso la pinna e nuoterà solo in piscina, una sarà posta sotto la sua assidua vigilanza e rimarrà con i piedi per terra. VERIFICARE LA DATA DI SCADENZA di Salvatore Conte (venerdì 29 novembre 2019 - venerdì 6 dicembre 2019) Ho impiegato una settimana a metabolizzare la morte di Layla. Sono cinico, lo so, è lo stesso tempo che è servito a lei per metabolizzare le due pallottole che s'era presa al posto mio. Per poi crepare un minuto dopo. GIORNO 0 (VENERDÌ) Se riesco a chiudere l'affare e a rifilargli a prezzo intero una villa che non vale niente, per me è fatta. Saldo il mio debituccio e mi rimetto in carreggiata. Altrimenti un bel paio di scarpe rigide, color cemento, non me le leva nessuno. Per fortuna c'è la mia vecchia bambola a incantarli. Ci sa fare, Layla.
È una stimata, qualificata agente immobiliare; ma quei gonzi, anziché apprezzarne i dettagliati report, si soffermano sulle pertinenze esterne... i rotoli di ciccia in panza e le zinne da puttana... Hanno chiesto un robusto sconto, è vero, ma ci guadagnerei lo stesso. L'importante è fargli mandare giù il boccone. Il boss sta per uscire di prigione. E quando saprà della casa di famiglia rivenduta a estranei dopo la confisca, non ci metterà molto a fare un'offerta che non si può rifiutare agli incauti acquirenti... Non si trovava neppure un agente che volesse trattarla. Il Municipio si accontenta di poco, commissione e ricarico vanno agli intermediari. Per fortuna con le norme sulla privacy si riescono a nascondere tante cose. E poi questi hanno la testa fra le nuvole. O meglio, fra le cosce di Layla... Manca poco all'appuntamento, bisogna chiudere alcuni dettagli. Ma loro, una coppia di amici, non hanno troppa fretta di chiuderli, perché intanto vanno avanti con i bottoncini aperti della mia esperta... In genere faccio finta di fare qualche telefonata, così lascio campo libero ad Layla e alle sue cosce. È vero, si è invecchiata, ma piace com'è: imbolsita e gonfia, con le zinne cedenti dentro un camicione sbottonato fino allo stomaco, talvolta chiuso da una giacca verde-petrolio. Sento in lontananza il rumore di un'auto, dovrebbero essere loro, la via è isolata. Prendo la socia sottobraccio e dalla veranda cammino verso il cancelletto della villa. Una staccionata in legno, non molto alta, corre lungo il perimetro. È un pomeriggio tranquillo e forse si potrebbe chiudere l'affare oggi stesso. Però non sono loro... Un braccio si allunga fuori dal finestrino. STUMPF STUMPF Faccio appena in tempo a buttarmi addosso Layla! A mo' di giubbotto antiproiettile! Perché i colpi erano diretti a me... La macchina tira dritto, per fortuna. Dannati bastardi... Le due pallottole l'hanno raggiunta all'addome, ma se non sente dolore vuol dire che si sono sepolte bene, in quel grasso cuscinetto di carne. «Andiamo dentro...». Per fortuna sembra quasi non essersi fatta niente. Cammina tranquillamente da sola. Inoltre la sua giacca verde-petrolio è perfetta per l'occasione: richiusa questa, anche a livello estetico non si nota praticamente nulla di anormale. Eppure sembrerebbero due calibro 38 a giudicare dai buchi sulla camicetta... In bagno trovo tutto il necessario: disinfetto per bene le ferite e le tampono altrettanto bene. «Non è meglio... chiamare un'ambulanza?», mi chiede la bambola. «Vuoi scherzare? Saranno qui a momenti. Non possiamo far saltare l'affare. Sai il casino che uscirebbe fuori? Su... una come te metabolizza tutto, Layla. Poi stasera cucino io. Oggi terrai abbottonate giacca e cosce, così capiranno che è giunto il momento di darsi una smossa. E appena chiudiamo l'affare, ti porto da un amico molto bravo per una visita di controllo». Un clacson. «Ecco, che ti dicevo? Sono loro. Non preoccuparti... qualunque cosa succeda, diremo che hai le tue cose». Le tampono il labbro con il fazzoletto. «E che le gengive ti sanguinano. Con tutto questo lavoro non hai tempo per il dentista». «Ma... quanto potrà durare... tutto questo?». «Fino a quando sarà necessario, Layla. Nessuno ci ha dato scadenze. Ma dobbiamo vendere a tutti i costi. O la prossima volta ci faranno la pelle sul serio. Non lamentarti per due suppostine e non dimenticare chi ti ha messo nel giro che conta... Altrimenti te le ritrovi nello stomaco le prossime due... e allora dovrai chiudere la saracinesca sul serio...». Anche se forse non sarei capace di farlo, infilo la mano nella tasca del trench e premo la canna del revolver contro la fodera, per farle vedere che non scherzo... e che deve stare attenta a non farmelo venire duro dalla parte sbagliata... GIORNO 1 (SABATO) Non si sono accorti di niente. E ormai anche i dettagli sono andati a posto. La firma del contratto è dopodomani: poi hanno tre giorni per pagare e ricevono le chiavi. Dunque, salvo imprevisti, per venerdì prossimo entrano nella villa. È quasi fatta, devo solo sperare che non ci riprovino (a farmi fuori) prima di quella data. Intanto faccio una ricerca su internet per vedere cosa dare ad Layla per quelle due punturine che ha rimediato al posto mio. Potrei chiamare Frank e interessarlo della cosa, è un ottimo medico, anche se radiato dall'albo, ma non saprei come pagarlo, sono al verde e non voglio altri creditori alla porta in questo momento. Per adesso la bambola non ha particolari problemi, ha avuto solo un paio di rigurgiti di poco conto, cose che possono capitare anche per una cattiva digestione. L'ho messa davanti alla tv a riposare, preparo io da mangiare, cos'altro può pretendere? Per non farla sbattere troppo, siamo rimasti nella villa, ma venerdì prossimo spero proprio di andarmene. In questo week-end Layla deve riposare molto, così lunedì sarà in forma al momento della firma e i due gonzi non avranno ripensamenti. GIORNO 2 (DOMENICA) Oggi c'è la partita in tv. È il match dell'anno, la partita decisiva per il Philadelphia: la semifinale in gara unica dei play-off scudetto. Ci gioco sopra gli ultimi 50 dollari, ma perdo pure quelli, perché l'Atlanta vince due a zero... hanno bucato la nostra porta per due volte...
Il raddoppio dell'Atlanta, giunto nel finale, stronca le ultime possibilità del Philadelphia. Questo dannato punteggio mi ricorda qualcosa... Il Philadelphia ha beccato due brutte palle... e c'è rimasto secco. È fuori, a differenza di Layla che è ancora in partita. Anche oggi è riuscita a gestire il tutto senza isterismi. Abbiamo pure scopato sul divano, tanto per rifarmi delle due palle nella porta sbagliata. Insomma... la difesa di Layla tiene. GIORNO 3 (LUNEDÌ)
Il grande giorno è arrivato. GIORNO 4 (MARTEDÌ) È fatta!
La firma c’è.
Devo reggere fino a venerdì, alla consegna delle chiavi, perché
altrimenti mi bloccano il conto per frode. GIORNO 5 (MERCOLEDÌ) Oggi ho chiamato Frank. È venuto con l'ecografo mobile, è stato gentile. Mi tira in disparte.
«L'ecografia ha evidenziato un
accorpamento ematico, un grosso grumo di sangue, intorno a una delle due
lesioni». «Quelli, sì».
«E questo significa problemi?».
L'emorragia la ucciderà». A me basterebbe che reggesse un altro paio di giorni: è fattibile? Puoi darle qualcosa?».
«Le darò qualcosa, ma non posso
garantirti niente». Dovrò trovarmene un'altra, e non sarà facile. È una gran puttana. Non mi ha nemmeno rimproverato di aver preso due pallottole al posto mio.
O è sicura di cavarsela, oppure è pazza. (GIOVEDÌ)
Cristo! GIORNO 7 (VENERDÌ)
Sto aspettando di compiere l’ultimo atto
dell’impresa: consegnare le chiavi ai nuovi proprietari, questa strana coppia di
amici.
È interessata solo alla tv...
Forse mandarmi a fare in culo. Ma non può più
farlo, ha aspettato troppo. Pensava davvero di salvarsi?
La morte l'ha sorpresa, oppure aveva capito
tutto?
La bombola dell'ossigeno è molto piccola, è una
bomboletta portatile. Mi giro per guardarla un'ultima volta: eri bella davvero, Layla... C'è qualcosa, però, che non mi torna. Gli occhi... adesso sono socchiusi... sembra che dorma... Gran puttana, mi fa ancora impazzire... Le allento la camicetta e le stringo le tette. È ancora calda. «Ora basta. Dobbiamo andare», la voce è seccata.
Bah... vuoi vedere che il maledetto Frank... di Salvatore Conte (2024)
«NO! Non so niente! Sono solo una stronza!». «Appunto...». [ STUMPF! x N ]
«Basta... aspetta… che fai...?! Sei pazzo a bucare così la signora Galliani?».
«Perché, chi cazzo era?». «Per me era solo una stronza, l'ha confermato lei stessa... e chi sta per morire non mente». «Sì, una stronza a cui dare una lezione, non da ammazzare...». «Vogliamo piangerci sopra, adesso?». «Dico sul serio... sei matto a imbottirla di piombo in questa maniera?
Lo sai quanto vale? «Sì, d'accordo, era spaventata, ma dopo un paio di colpi potevi fermarti...». «Tu credi? Era una belva, lo sai... la mano l'ha staccata solo alla fine». «Per forza! Non ha avuto il tempo nemmeno di cascare per terra!». Il complice del killer si piega sulla donna. «Su, su, Layla… il piombo è finito… niente colpo di grazia... Sei bella tosta,
dai... molto abbondante... non fare la vittima... Si sforzano di vivere, anche se sono già morte... Bisogna dar loro una lezione, oppure ammazzarle sul colpo. E tu non hai fatto né l'una, né l'altra cosa». «La mia è stata una lezione definitiva a una stronza ripetente...». L'ho imbottita di piombo, un'altra sarebbe già crepata».
«Infatti...». Non morirai soffocata. Voglio aiutarti». «È crivellata di colpi, non va da nessuna parte».
Anche se le hai saldato il
conto, è ancora aggrappata alla vita,
deve abituarsi all'idea di aver trovato la morte, di essere rimasta uccisa». «Dai, Layla... su... non abituarti troppo all'idea...», e continua a tamponarle i buchi con gli asciugamani. «Il mio amico è uno stronzo, ha perso il controllo. Volevamo solo darti una lezione. Ma tu hai fatto la stronza...». «Non vedi che non ti ascolta più?», dice il collega, rientrato nella stanza. «Fanculo... che spreco... se solo riuscissi a controllarti quando ammazzi... saresti il killer perfetto...». «Smettila di dire stronzate e andiamo». «Aspetta... ha ancora dei sussulti...». «Chissenefrega... chiamale pure un'ambulanza, tanto in ospedale c'arriva cadavere». «Quanto rancore per una vecchia stronza...». «Non si tratta di rancore, amico, ma di darci un taglio». «E va bene. Ascolta, Layla... ti chiamo un taxi per l'ospedale. Tieni la bocca chiusa o dovremo passare davvero alla lezione definitiva. Abbi cura delle tue zinne...». «Le senti? Sono già qui. Chi cazzo li ha chiamati? Da queste parti non ci vive nessuno, a parte questa puttana...». L'altro alza gli occhi al cielo. «Hai preso proprio una cotta, amico. Però stai attento al medico legale: potrebbe metterle le mani addosso...». di Salvatore Conte (2024)
Due giorni fa ho
ricevuto una telefonata.
Ma niente titubanze: se prova a fregarmi, io la fotto, la cessa! L’orologio
segna 14:54, sono in macchina con il muso puntato verso lo
stabilimento.
Una Bmw nera scende dalla litoranea e si ferma a 10 metri da me. Una volta conobbe un mio contatto, Layla, che mi mette in lavatrice un po’ di grano dalle parti di Jounieh, dove c’è un bel casino.
Da
allora non fa che chiedere di lei. Gli racconto un sacco di fregnacce e lui sembra crederci. Gli ho perfino raccontato che in una sparatoria s'è beccata due pallottole in pancia. È rimasto di ghiaccio e ha voluto sapere ogni dettaglio. Gliele metto sotto forma di storie e lui ci ricama sopra.
Si incazza se gli dico che un giorno o l'altro potrebbe accadere su serio, in un posto come il Libano, e Layla rimetterci la pelle. «Che cazzo dici? Lei sa badare a sé stessa!», reagisce così. Su certe cose, anche se inventate, non posso tanto scherzare. No, certo, nessuno la tocca. Lei sta attenta a non farsi ammazzare, perché deve incontrare te, idiota.
Ogni tanto gli ripeto che questa Layla è solo una cessa del cazzo come tante, anche se in versione libanese; ma non c'è niente da fare: per lui è speciale, è la cessa non plus ultra.
Rimetto in moto e lo seguo su una stradina sabbiosa che aggira lo
stabilimento e finisce sulla spiaggia. Cessi rotti, vecchi divani e ciarpame vario affiorano tra i liquami che raggiungono il mare. Un sanitario pieno di merda è il trono ideale di una cessa.
Già... proprio il posto giusto per le amazzoni di cellulite di Marcella Saviano, sorella del potente boss di New York, Roberto Saviano. Perché di certo Anna non sarà sola.
Sta arrivando un suv Audi, vediamo chi c'è sopra...
Due grosse big a scorta di un grosso capo... Anna si è affermata a New York, lavorando per Bob Saviano, ma poi ha deciso di tornare, prima di sprofondare nella melma e lasciarci la pelle. È sempre stata abile nel conservarsi, spesso a scapito degli altri. Nonostante l’età e la cellulite, è sempre pesantemente sbottonata, non porta il reggipetto e il seno le ciondola in basso dentro un camicione rosa; una cinta nera le stringe in dentro la pancia molle: un classico espediente da vecchia stronza; una beretta, infilata aggressivamente nella cinta, completa il look importante, da punto esclamativo, anche se Anna ha perso diversi colpi rispetto a qualche anno fa.
La cessa accanto a lei, Nada, porta i jeans strappati come avesse 30 anni di
meno e una magliettina verde tesa allo spasimo da due
lunghi boccioni che sembrano in procinto di cascarle sulle ginocchia. È logora e sfatta,
tanto da non sfigurare nemmeno accanto ad
Anna. Anna e Nada sono due
Supercesse, che nessuno ha il coraggio di togliere di mezzo. Marcella è un
grosso puttanone, leggermente più distinto: una camicetta bianca sbottonata fino
allo stomaco, una giacca beige molto elegante su un fisico scoppiato, e un paio
di occhiali scuri per darsi importanza. Come ti ho detto, se fai un buon lavoro, un
bel po' di questi bigliettoni
rimarranno tuoi. Dalla valigetta spunta una uzi! Oppure ho pestato i piedi a qualcuno? A volte mi capita... Sulla maglietta di Nada si aprono due buchi: uno in pancia, l'altro sul petto... Urla di rabbia e cerca di guadagnare il riparo dell’auto, la uzi ancora
sottobraccio. Colpita, ma non affondata. BANG L’Audi è blindata: il
secondo colpo di Sal scheggia appena il parabrezza. «Basta con queste cazzate! Uscite fuori con le mani in alto! O vi ammazzo come cani rabbiosi!». Anna, intanto, ci richiama alla dura realtà. È pronta a finirci con la uzi ben spianata davanti a sé: un plotone d'esecuzione composto da lei sola. «Lo sai che ti dico?!», anche lui
strilla. «Sbrigatela da solo
con le cesse di Don Roberto, non so che farmene del tuo 3%...!». «Ehi... tu... hai detto cessa a me? Io sono una fica, bastardo! Io t'ammazzo!». Sal l'ha fatta incazzare di brutto. RAT-RAT-RAT Cazzo! L'ha beccata...! RAT-RAT-RAT La raffica è scombinata, più per proteggersi la ritirata che per attaccare. È una raffica di paura... Anna indietreggia, apre lo sportello e si ficca dentro.
Il vecchio relitto è ancora troppo lontano. È lì dalle Guerre Puniche, forse anche da prima. Devo agire subito. Devo ammazzarla, ma non riesco a capire come. Che idiota! Le gomme! Le gomme non sono blindate... Il suv si ribalterà, partirà una raffica accidentale e lei rimarrà uccisa, crivellata di colpi. Lei, il suo boss, e l'altra cessa. Scarto improvvisamente di lato, mi butto a terra e prendo la mira. BANG BANG Non può essere! L'ho presa...! Sì, l'ho presa, ma le ruote sono di gomma piena... Non mi resta che correre! La barcaccia sarà il nostro fortino. D'estate ci gironzolano i bagnanti, ma adesso non c'è nessuno. Come se non bastasse, da queste parti tutti si fanno i cazzi propri e nessuno farà troppo caso agli spari. Lo scafo del relitto è pieno di buchi, come una forma di groviera. Entrare all'interno è abbastanza facile, uscirne sarà più difficile; il tetano, un problema secondario. Marcella è uscita dal guscio: si tiene stretta Nada, anche per farla stare in piedi, ma soprattutto per proteggersi dietro la massa di ciccia. Anna la precede, una mano sulla uzi, l'altra sull'addome: non credo che la pallottola di Sal sia uno scherzo; la Supercessa barcolla: un po' per la sabbia sotto i piedi, un po' per tutto il resto. Tutte e tre hanno la mitraglietta sottobraccio. Sul volume di fuoco non si discute, non c'è partita. Qui dentro non si vede niente: di sicuro sta per succedere un gran casino; una raffica sparata alla cieca può combinare un macello. «Prendiamole in mezzo...», sussurro a Sal, scollandomi da lui. Adesso non devo far altro che aspettare: se sono fortunato, mi ritrovo da solo con una bella Audi a disposizione. Una o due raffiche, sparate in uno spazio così ristretto, non risparmieranno nessuno. «Non mi faccio ammazzare per te... se prima non mi dici dove pescare Layla...». Cristo... I miei trucchi non lo fregano più, mi ha seguito fuori... «Sai cosa penso? La Saviano non ha niente contro di me, ce l'ha con te...». E comincia a ragionare. «Me lo dici, prima di crepare, come faccio ad agganciare Layla?». «Fattelo spiegare da Donna Saviano...». BANG BANG BANG RAT-RAT-RAT Mentre questo imbecille mi tormenta, sparo addosso a Nada, che ha cercato di sorprenderci, aggirando lo scafo. La raffica punta al cielo. Troppo in alto. La Supercessa del clan Saviano rotola sulla sabbia compatta, fino al limite della risacca, dove finisce a braccia larghe, in segno di resa. Però ha avuto fegato, ha combattuto fino alla fine. Adesso non è più un problema. Colpita e affondata. Poi si sente uno sgommare sordo sulla sabbia: il suv si sta allontanando. E una voce di donna, anzi di cessa. «Emiliano... non sparare... Sto morendo... Il tuo socio... m'ha beccato al fegato...», la voce di Anna proviene dall'interno dello scafo. Dunque Marcella ha deciso di lasciare la partita, abbandonando la Frezzante al suo destino. So bene che questa cosa di Layla lo fa incazzare da morire e che può diventare molto pericoloso. Perciò provo a trovargli compagnia. «Anche la vecchia Anna non è male... aiutala... sta morendo, non hai sentito?». Rimane indeciso, so come mandarlo in crisi. «Sbottonata... mi senti? Sei famosa nel giro... Mi sto avvicinando... non fare pazzie o dovremo spararci addosso un'altra volta... Prima non volevo farlo... mi hai costretto. Voglio dare un'occhiata alla tua ferita... sarebbe assurdo se la Sbottonata rimanesse uccisa in questa maniera: per coprire la ritirata di una stronza come la sorella di Saviano...». Non giunge alcuna risposta, purtroppo. Forse Anna è andata sul serio. Intanto lancio un'occhiata a Nada: un altro relitto sulla spiaggia; ha qualche sussulto, ma devono essere gli ultimi; l'acqua del mare le arriva addosso a cadenza regolare, portandosi via ogni volta un pezzo di pelle, oltre al sangue che cola dai buchi. «Mi hai sentito, Anna? Se sei viva, non sparare!». L'idiota di Sal mi toglierà ogni dubbio. «Emiliano! È viva! Vieni... le ho preso la mitraglia, è inoffensiva adesso...». E va bene... andiamo a vedere la fine di Anna... «Emiliano...», mentre mi avvicino sento la voce stremata di Anna: ma c'è o ci fa? «Aiutami... sto morendo...». La voce della Sbottonata è pressante, spaventata, non credo stia fingendo, anche se è sicuramente una grande attrice. «Mi dispiace... ti allento la cinta...». «Fino a quarant'anni... ero uno strafiga... poi... gnhh... poi... mi sono sfondata...». Me la ricordo bene a quei tempi, mi faceva impazzire. «Sei sempre una gran troia, Anna... tu sei la Sbottonata... sei la Frezzante... la donna dei boss... la sicaria degna della Spectre... la potentissima Supercessa...», la lusingo per cercare di farla reagire.
«Sì... tu mi capisci... gnhh... sono la numero uno... ma adesso... cago duro... gnhh... cago sangue... ho paura...». «E bravo, Emiliano... mi dimentichi in fretta...». Prima la voce, poi la faccia. Parla perfettamente l'italiano. Sono pietrificato. Gli occhi sbarrati, allucinati. «Però questo idiota non ha torto, Anna: sei una massa di grasso sbottonato. Nessuna è come te. Nemmeno io. Peccato che oggi ti sia andata male...». «Falli fuori, Layla...». «E di Anna che vuoi farne?». «Prenderai tu il suo posto. Lei e Nada mi hanno deluso». «Sentito? Fuori da qui... E tu, Emiliano, porta fuori anche Anna». «Non spremerti troppo le meningi, cazzone...», la Saviano è in vena di complimenti. «Layla era nascosta nel bagagliaio, è lei che ha spostato la macchina, mentre io sono rimasta qua dentro. E voi due scemi ci siete cascati in pieno». Sal è sotto shock, anche se sta per morire, sembra quasi contento. «Adesso, però, basta chiacchiere. Layla, falli fuori! Tutti e tre!». «Tu saresti il mio ammiratore, di cui Emiliano mi ha parlato tanto?», la libanese si rivolge a Sal. «Ci siamo visti una volta sola...». «Allora qualcosa le hai detto...!», in questo momento il povero Sal sembra un cane in attesa di leccare il padrone. «Mi ha fatto una testa così, il tuo amico», Layla conferma, sono a posto. «Devi essere un grosso idiota, ma nessuna donna rimane del tutto indifferente a un ammiratore. E poi qualcuno che ti segua ciecamente è utile nel nostro campo». «Layla, non ci perdere tempo, è un fallito». Ormai so che la mia aspettativa di vita si è molto accorciata e coincide con quella di un fallito. Guardo il mare, le onde che bagnano, le onde che asciugano, del tutto indifferenti al nostro tragico teatrino. Ma c'è qualcosa che mi stona, un particolare che non mi torna, anche se non saprei dire quale. Un lampo e mi cade il labbro sulla sabbia. «Brutta bastarda...». «NO!», Marcella si tira addosso Layla. RAT-RAT-RAT La raffica se la prende tutta la libanese! RAT-RAT-RAT La Saviano risponde e crivella di colpi la povera Nada.
È la mia ultima occasione. «Stronza...», salto addosso a Marcella e le sfilo la uzi. Ora non vorrei essere nei suoi panni. «Maledetta stronza!» BANG BANG Neanche il tempo di dirgli di non sparare... che ci serve viva... et cetera... che quello ci va giù pesante con due colpi in pieno petto. La Giansanti è lentamente strisciata verso la sua uzi e vistasi abbandonata si è vendicata del suo capo. Ci è andata di mezzo Layla, che però se l'è cercata. E anche la Saviano ha avuto il fatto suo. Neanche in Libano si sparano tante pallottole. Di Layla si occupa Sal, le sta tenendo alte le gambe per mandarle sangue al cuore e al cervello; ha preso diverse pallottole, anche se la ciccia l'ha di sicuro protetta. «Emiliano...! La mano... gnhh... tienimi la mano... gnhh... non sto fingendo...», Anna mi vuole accanto a sé, è molto grave. Le due donne - unite dalla stessa sorte e slegate dagli stessi bottoni - lottano all'ultimo sangue per tenersi la pelle. Faccio un salto anche da Nada, mi sembra si muova ancora; se è così, è indistruttibile... Layla sta spirando tra le braccia di Sal. Riesco a sentire qualche parola. «La vita... mi ha reso dura... gnhh... ma... non ti avrei sparato... Sal...», certo, la controprova non c'è; però è vero che ci ha fatto guadagnare tempo con le sue chiacchiere. Anna guarda il cielo con occhi fissi e bocca spalancata. È una mattanza di cesse. «Stai calma... Nada è messa peggio di te, è imbottita di piombo, eppure vuole vivere... non si rassegna, capito?». Mi faccio cadere la testa in mezzo alle tette sbottonate della Frezzante e mi lecco il sudore freddo che le trasuda dalla carne mezza morta, come fosse un cono gelato, o quasi; la coda dell'occhio su Marcella, per evitare sorprese alla Nada, ma pare che i giochi in questo caso siano chiusi sul serio; Sal è piuttosto duro quando spara, ne sa qualcosa Anna. «Ghh... nnghh...». La vecchia troia, intanto, non rimane indifferente. A me non rimane che chiamare l'autospurgo; la mano sul fegato di Anna, che mi fissa con occhi vitrei, aggrappata alla pelle. «È un caso di estrema urgenza», specifico. In questi casi l'automezzo è preceduto da un elicottero militare.
Esternamente l'autospurgo si presenta come un mezzo industriale, ma internamente mette a disposizione diversi posti letto suddivisi in due sezioni: ospedale e obitorio, a seconda delle esigenze. Serve a bonificare la scena del crimine da stronzi e cesse, e a sospendere le ostilità tra pezzi di merda, garantendo alle parti di galleggiare indisturbate per un po'. È in servizio da diversi anni, dopo l'accordo segreto siglato sotto l'egida del Ministero degli Interni, con lo scopo di evitare scene da Far West o Chicago anni '30. Viene scortato da agenti dell'intelligence, fino alle cliniche private convenzionate con il servizio. Un autospurgo, in un mondo di merda come questo, non sfigura in alcun luogo; tanto meno nei pressi di un canale di scolo. Poi si vedrà dentro quale cessa pisciare. di Salvatore Conte (2024)
Del gruppetto che ha assaltato la banca sono rimasti in piedi
soltanto loro due.
Si muove in maniera pesante, con una mano pressata sullo
stomaco e la bisaccia sulla spalla; sulle scale, rischia più volte di inciampare
e rotolare giù.
La
Frazer ha mezzora di vantaggio, quando Willer e Carson arrivano in paese. Erano
sulle tracce di Smith da un po' di tempo e stavolta l'avevano quasi beccato. È una grossa puttana, e nessuno ha mai avuto il coraggio di spararle addosso, almeno fino a oggi. Quando le va di divertirsi, se ne va in giro con un camicione sbottonato fino allo stomaco e raccoglie dollari in banconote a frotte: glieli infilano in mezzo alle zinne; le sue zinne sono fantastiche...
Si dice che possa raccogliere 100 dollari in un
minuto, in un saloon abbastanza grande. E io ci credo.
«So solo che il segaossa del paese non ha fatto in tempo ad andare con
loro, ranger. La Frazer dev'essere ferita molto gravemente. Penso abbia bisogno
di cure urgenti, se non è già crepata».
La Frazer è braccata da avvoltoi e sciacalli. «Hei, Anna! Sei ferita, lo sappiamo. E con noi abbiamo un dottore. Vieni fuori, ti curerà». Si sono disposti a semi-cerchio, alla base della collinetta, riparati dietro cactus, rocce e arbusti. BANG Anna non ha fiato per alzare la voce e rispondere, allora fa parlare il winchester. Uno dei sette è centrato in fronte e si abbatte contro il tronco di un saguaro, diventando un punta-spilli.
«Vediamo se è bravo...», le belle zinne cedenti di Anna, per le quali è tanto famosa, non le impediscono di mostrarsi anche ironica, quando è il caso. Non ha potuto alzare la voce, ma qualcuno deve averla sentita. Anna è troppo scaltra per cadere in una trappola improvvisata da un piccolo branco di sciacalli. «Sei finita, Anna! Noi dobbiamo solo aspettare! Il dottore te lo scordi!». «La fiesta è cominciata, vecchio gufo», dice Tex al suo pard, dopo che la detonazione di Anna si è propagata per la prateria. «Pensi l'abbiano già fatta fuori?». «Può essere. Ma non credo. Se ad aprire il fuoco fosse stato il gruppo di sei-sette uomini, avremmo sentito più spari. Più facile che abbia sparato lei». «Sei sempre un pozzo di scienza, satanasso». I due ranger aumentano l'andatura e raggiungono in breve tempo la zona dello scontro. «Ascoltate bene, pellegrini! Mi chiamo Tex Willer, sono un ranger del Texas. Voglio che vi disperdiate e torniate in città. Non mi serve il vostro aiuto contro una donna sola e ferita». «Vi state sbagliando, Willer! Quella donna è molto più pericolosa di quanto pensiate», risponde uno di loro, riparato dietro un robusto saguaro. «Non me ne frega un accidente, sgomberate, o tirerò su di voi». «Spostiamoci solo un po', Jim... Questo Willer l'ho già sentito, è un dannato piantagrane e sa sparare molto bene. Ma se la fortuna ci assiste, lui e Anna si ammazzeranno a vicenda». «Okay, hai ragione». La pseudo-posse sgombra il campo, ma rimane nei paraggi. «Se mette fuori il naso, tu tienila occupata, io la prendo alle spalle», dice Tex a Carson. Willer ci mette poco ad aggirare la collinetta. «Non fare mosse false, se ci tieni a vivere». Tex è arrivato alle spalle di Anna. «Hai vinto... ranger...», sussurra la donna. Willer le toglie il winchester e la pistola, e la rivolta supina. Anna ha un grosso buco sullo stomaco, ben visibile sulla maglietta chiara. Di sicuro gliel'ha procurato Smith, in uno scambio di colpi ravvicinato. «Kit! Puoi raggiungermi». «Acqua... acqua... ti prego...». Tex le solleva un po' il capo, mettendogli sotto una coperta. Il buco lo lascia com'è, perché l'emorragia è soprattutto interna. «Accidenti... è messa male...», commenta subito Carson, leggermente in disparte. «Tanto la corda non gliela leva nessuno; hanno ammazzato il cassiere, lo sceriffo e due vice». «Però non si sa ancora chi l'abbia fatto, bisognerà sentire i testimoni. Potrebbe cavarsela con una lunga condanna, evitando la corda...». «Lei e Smith erano i capi, a quanto pare, e pertanto fa poco differenza sapere chi abbia sparato. Le sue zinne non la salveranno, nonostante siano belle proprio come dicono», conclude Willer. «Non ho bisogno... di una corda al collo... cough... per far penzolare le mie tette...», mormora Anna, dopo aver carpito qualche parola del dialogo tra i due; ha un rivoletto di sangue che le cola dal labbro. «Io mi occupo di lei, Kit. Tu vai a cercare un dottore in paese. Anche se non ne ha per molto...», abbassando per un attimo il tono della voce. «Di certo non la possiamo muovere. Ma stai attento a quei pellegrini. Un dollaro bucato contro cento sani che sono rimasti nei dintorni». «Se dovessero avvicinarsi, ce la faresti a tenerli a bada?». «Devono solo provarci...». Carson annuisce e ritorna in paese. «E così tu saresti la famosa Anna Frazer... non hanno esagerato su niente...». «E tu... il famoso Tex Willer... cough... non ti facevo così stronzo...». «Toglimi una curiosità, Anna: perché una bella donna come te si è messa su questa strada?». «Non farmi la predica... cowboy... cough... le banche uccidono senza pistole... cough...». «Risparmia il fiato, Anna. Ne avrai bisogno molto presto. Fino a un certo punto posso anche darti ragione, ma il cassiere, lo sceriffo e i due vice erano dei poveri cristiani». «Sei solo un'opportunista... Willer... cough-cough... Acqua... dammi dell'acqua...». «L'acqua non ti curerà, Anna». «Sappiamo tutti e due... cough... che sto morendo... Ma io... non posso... lasciarmi andare... cough...
Ho due figli a Tucson... «Soldi sporchi, immagino...». «Come tutti quelli che girano... cough...». «Come si chiamano?». «Johnny... e Claudine... Frazer...».
«Il padre dove sta?». «Devi puntare su uomini affidabili, pupa». «Tu ci staresti... con me?». «Di corsa...». «Ti facevano un duro...». «Lo sono, ma bado al sodo, quando l'occasione è quella giusta». «Mi risparmieresti... cough... la corda?». «Sono io la legge... non posso far impiccare la mia ragazza». Anna si preme le mani sullo stomaco e allunga la testa all'indietro: sta molto male. «Acqua... Tex... fai presto...». Anna beve disperata, ha una sete del diavolo. «Brucia da impazzire... e a volte... mi sembra... cough... di perdere il controllo... non mi lascio andare... cough... solo per loro... chi glielo va a dire... che la madre è morta...? Tu? Sarebbe uno shock... cough... troppo grande per loro... Vieni più vicino... voglio farti sentire... come mi sento...». Anna gli porta la mano sul buco, spostando le sue. Quindi afferra la borraccia e beve di nuovo. Passano pochi secondi e l'acqua ingurgitata da Anna esce dal buco e raggiunge la mano di Willer. «Non avevo dubbi che fosse così, Anna». «Ho paura... Willer... cough... ne ho visti morire tanti... così...». «Anch'io avrei paura al posto tuo. Non sarà una cosa rapida, Anna. Sei solida e vogliosa di vivere, e non vuoi lasciare soli i tuoi figli». «Non mi dai speranze... ranger...». «Meglio non farsi troppo illusioni... le illusioni costano caro...». «Hai ragione... Willer... oggi è toccato a me... cough... mi era andata bene... tante volte... ma non sono pronta... cough... io voglio vivere... Willer... mi sbatterò fino all'ultimo...». «Adesso non ci pensare, respiri ancora bene, sei massiccia, ci vorrà tempo». «Non voglio morire...». «Lo so, ma oggi non sei stata fortunata». «Voglio salvarmi... dammi una speranza...». «Premi le mani e giocati tutta la birra che hai in corpo». Anna ha bisogno di illudersi. Tex se la immagina tutta sua, con la panza gonfia e le belle zinne cedenti. «Resteremo insieme, ti va bene?», chiede Willer alla Frazer, riprendendo il discorso che gli sta a cuore in questo momento, anche se un po' fuori tema. «È una notizia importante... farà rumore... cough... Ti sono piaciuta così tanto...?». «Sei una gran signora, Anna, e le tue zinne sono speciali. Io mi tengo solo il meglio». «Allora stiamo insieme... cough... sono la tua donna... caro...». «Io sono il tuo uomo, cara». Un fidanzamento-lampo, con un buco nello stomaco a mettere fretta. «Non mi lascio andare... cough...». «Brava, ma da adesso lo devi fare per me... «Io... non mi lascio andare... cough... per te... caro...», detto questo, gli spinge la testa in mezzo alle zinne. Il gioco di Anna è riuscito. Ha fatto breccia nel famoso ranger. Però deve fare i conti col buco. «Ma il buco rimane...», glielo fa notare. «Ti farò dare una mano, dai miei amici. Nel frattempo, stai attenta a non farti sorprendere. Stai rischiando grosso, cara». «Va bene... caro...». «Andrai in giro sbottonata, cara». Anna ha bisogno di essere illusa.
La Frazer si umetta il labbro e si preme lo stomaco, due mosse che sembrano in netto contrasto tra loro, ma che fanno parte dello stesso gioco. Carson è tornato dal paese. La sua era una missione impossibile. Ma Tex voleva rimanere solo, e Anna l'ha capito subito. «Spiacente, ma il quel buco di posto non c'è nemmeno un segaossa. La donna come sta?». «Si sta gestendo, tra un lamento e l'altro. Quasi-quasi me la tengo la pupa, vecchio cammello». «Sarebbe un gran colpo, satanasso». «Sarebbe un lusso eccessivo per una comune corda...». «Un vero spreco, in questa valle di lacrime», aggiunge Carson. «Le do ragione sul fatto che siamo appendici di un sistema sconcio». «Non ti ho mai sentito parlare così, satanasso». «Tu hai mai visto una donna così?». «Raramente, forse mai». «Mi ha aperto il cervello. Ci sono persone che ti rivelano quello che tu in realtà sai, ma ti rifiuti di accettare». «Difficile dare torto a una donna del genere, qualunque cosa dica. Se poi è la verità, allora è impossibile...». «Hai centrato il punto, vecchio cammello. Però non credo Anna appartenga a un genere; non ce ne sono altre, come lei». «Ti sei proprio imbambolato, satanasso». «Quando è ora, è ora. Riconsegneremo i soldi alla banca, e questo chiuderà la ferita principale. Racconteremo che è morta, sperando di non dire la verità. La terremo nascosta per un po'; poi la rimetteremo in circolo. Da queste parti non si farà più vedere». «Delle tette così non se le dimenticano di certo, infatti...». «È deciso, vecchio gufo?». «Con quella ti sistemi, satanasso. Ma il buco te lo sei dimenticato?». «Quello se lo deve tenere». «E come?». «Con un vecchio sistema. Telegrafiamo agli sciamani». «Ho capito. Vado a raccogliere sterpi». «Già fatto, Anna non ha molto tempo». «Eri tu, allora...». «Non li sai ancora leggere... Nessuna traccia dei nostri amici?». «Nessuna. Devono aver capito che il boccone è troppo grande per loro». «Non per me, Kit». |
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