Conan: La Torre dell'Elefante CONAN: LA TORRE DELL'ELEFANTE di Salvatore Conte (2024) 0 Conan... la prima tappa del tuo viaggio da razziatore è la Città dei Ladri, nel cuore di Zamora, a tre settimane di cammino dall’ultimo accampamento cimmero. Il tuo obiettivo è quello di penetrare nell’inaccessibile Torre dell’Elefante. Nel corso del tuo lungo viaggio ti sei imbattuto in una puttana indicibile: la grossa, lurida Anna, dal valore incalcolabile.
L'hai notata nel bel mezzo di una festa: ballava da mignotta, con un camicione sbottonato fino allo stomaco e un lungo catenazzo d'oro bianco che le pendeva tra le zinne. Hai subito deciso di prenderla con te, anche se tra voi non c'è niente, solo la stessa ambizione. Sin da quando hai lasciato la Cimmeria, hai marciato a tappe forzate, ansioso di mettere le mani sul tesoro celato nel famoso monumento che ha ossessionato generazioni di avventurieri; hai riposato solo quando sentivi la stanchezza prendere il sopravvento sull’istinto guerriero, oppure quando la tua mignotta sembrava stramazzare a terra. «Le lame stanche abbondano in mano ai morti», ripeteva spesso tuo padre e l’ammonimento riecheggia tra i ricordi, mentre inizi a esplorare il decadente centro abitato. Vai all’1.
La fiamma delle torce getta una fioca luce sui bagordi della Città dei Ladri, un fetido anfratto del regno zamorano dove le peggiori canaglie si affollano al calar del sole per sperperare il bottino. L’eco delle risa dei banditi ubriachi riverbera nel denso impasto delle pozzanghere, mentre percorrete le strade tortuose e accidentate del Maglio, il quartiere centrale da cui i soldati si tengono alla larga, per paura o perché corrotti con monete incrostate di sangue. Le tue dita tamburellano nervose sull’elsa della spada e tendi le orecchie per localizzare una taverna dove metterti al riparo dai coltelli celati tra le ombre, quando noti un vecchio mendicante addormentato tra i mucchi di rifiuti. Ai suoi piedi un piattino di legno con una gemma posata sul bordo sbeccato attira il tuo sguardo.
Ti volti verso Anna e le sorridi.
Discendi i gradini fino a trovarti di fronte a una porta d’ebano al cui centro ghigna un teschio d’argento. L’apri con una spinta e ti ritrovi in una lussuosa alcova, drappeggiata da teli di seta. In mezzo ai cuscini giace una donna gonfia di carne, dai seni enormi, quasi completamente nuda. È molto bella, quasi più bella di Anna; con qualche ruga, ma non certo decrepita. Ha una pipa di loto in mano e gli occhi smarriti nell’abisso della perdizione.
Ti lanci all’attacco e gli occhi dello Stregone si schiariscono in
un lampo, indirizzandoti uno sguardo carico d’odio: «Cane, cosa ci fai qui?». Per tua fortuna, sei immune a questo potente incantesimo. Il raggio si disperde nell'alcova senza recarti danno. Ora, però, devi affrontarlo. «Un momento, barbaro! Perché non troviamo un accordo?». «E quale potrebbe essere?». «Puoi razziare tutto quello che riesci a portare via fra le tue braccia, lasciandomi la testa sul collo».
«Per Crom, posso rinunciare al bottino, ma non alla tua testa!». F I N E
La porta rovina sul pavimento con un tonfo sordo. In fondo alla stanza, all’ingresso di un buio corridoio, giace il corpo di Tauro. Ti avvicini con cautela, scrutando ogni angolo alla ricerca di trappole o avversari nascosti, ma percepisci solo un silenzio tombale. Quando raggiungi il corpo, disteso accanto a un baule di mogano con fermagli d’argento, osservi che ha gli occhi vitrei e la faccia contorta in una smorfia di terribile stupore: dev’essere morto senza capire cosa l’abbia ucciso.
«Hai avuto quel che meritavi», sentenzi lapidario, mentre fai
scorrere una mano sul cadavere in cerca di una ferita. Gli unici segni che
percepisci si trovano in mezzo alle spalle: alla base del collo conti tre
punture dal diametro di un ago; l’orlo delle ferite è annerito e fiuti un debole
odore di putrefazione.
Rinfoderi la spada ed estrai la Fialetta d’Acido, che riversi sui bracciali ai polsi di Yag-kosha: «Non conosco la magia, ma se il mio nemico può respirare, allora può morire. Racconterai di quest’impresa ai tuoi fedeli nella giungla, o ai loro pronipoti, considerando il tempo che hai trascorso qui.
Se necessario, ucciderò Yara alla vecchia maniera,
trafiggendolo con la mia spada».
Prima che tu possa ribattere, un potente barrito investe ogni
fibra del tuo essere, risanandolo. Punti dritto al 2.
Dall’oscurità si leva un sordo brontolio e gli occhi
fiammeggianti si gettano contro te e Anna. Riesci persino a sentire lo
scricchiolio delle poderose mascelle, bramose della vostra carne. Stringi la
spada in pugno e ti prepari all’assalto dei giganteschi felini. Hai quasi
dimenticato Tauro; l’uomo, dalla cima dell’albero su cui è arrampicato, si
sporge da un ramo, portando il tubo di rame alle labbra per soffiare al suo
interno con forza. Dall’estremità dell’arnese esce uno sbuffo di polvere gialla
che si posa come un manto sulle belve, coprendole alla vista. Il ladro si
affretta a ridiscendere intimandovi di restare dove siete. Nel frattempo il
ringhiare dei leoni è cessato. Il fuoco dei loro occhi selvaggi si è spento per sempre.
«Sono morti senza un lamento!» mormori. «Cos’era quella
polvere?».
Tauro taglia corto: «Ottima idea, ma non perdiamo altro tempo
in discussioni, all’interno del giardino non ci sono guardie, ma qualcosa di
molto più pericoloso. Per questo motivo ho studiato il colpo tanto a lungo, così
da essere pronto a ogni evenienza. Il difficile, comunque, verrà dopo: il
perfido Yara abita da solo nelle stanze superiori, di notte fa uscire persino
le schiave. Noi dovremo penetrare dall’alto senza farci scoprire. Non chiedermi
come, lo vedrai. Ci caleremo dalla cima della Torre e strangoleremo il mago
nel sonno, prima che possa scagliarci contro uno dei suoi maledetti incantesimi.
O almeno ci avremo provato, non esiste ricchezza priva di rischio».
«Anch'io», replica Anna.
«Se non ci sono guardie nel giardino», osservi, «perché vi
spaventa scalarne le mura?».
Il grasso individuo spalanca di nuovo le mascelle basito,
prima di ricominciare a canzonarti: «Questo barbaro è davvero un animale
prodigioso, figlio di un ragno e di uno scimpanzé! Scalerà cinquanta metri di
pareti lisce come vetro usando solo le dita!»
Non hai mai visto un elefante, ma ricordi di aver sentito
parlare di questi giganteschi mammiferi che popolano le savane d’oriente e la
testa dell’idolo è molto simile alle bestie di quei racconti: "È
questa la divinità che dà il nome alla Torre, dove potrebbe trovarsi il gioiello
di Yara se non dentro la statua? Non per niente lo chiamano il Cuore
dell’Elefante!", rifletti, mentre ti avvicini alla scultura senza perderla di
vista un secondo.
Ti avvicini al muro con cautela e tendi le orecchie:
all’interno del giardino qualcuno avanza a passi misurati e ne avverti il rumore
metallico dell’armatura. Attendi in silenzio per alcuni istanti, cercando nel
frattempo un punto adatto alla scalata, ma vieni distratto da un’ombra che, a un
centinaio di metri di distanza, si sta issando sulla sommità della muraglia.
«Vieni... ti aiuterò io...», sussurri a Anna.
Tra le ombre odi risuonare le risate degli ubriachi e il trapestio delle risse. Segui il tintinnio delle brocche e il frastuono dei pugni fino all’ingresso di una locanda. Dalle finestre infrante filtra una luce violenta, insieme all’afrore del vino rancido e del sudore. Oltre l’angolo del vicolo, in fondo alla via, una parete di marmo incisa segna l’ingresso del Quartiere dei Templi. «Hai voglia di entrare?», chiedi alla tua compagna di viaggio.
«Sono stanca morta...».
Tenti di armeggiare con la serratura del cancello d’ingresso, mentre scruti la lucida colonna nel giardino. Ti domandi come mai l’abbiano chiamata la Torre dell’Elefante; ignori le fattezze di questi animali, ma un vagabondo shemita un tempo te li aveva descritti come bestie mostruose, con una coda sul muso più lunga di quella posteriore. Il mentecatto giurava di averne visti a migliaia nelle savane orientali, ma tutti sanno che razza di bugiardi siano gli uomini di Shem; un’ulteriore conferma l’hai avuta con questa chiave che continua a girare a vuoto. La riponi in tasca, augurandoti con poca convinzione che si riveli utile più avanti. «Leggi qui...», ti sussurra Anna.
L'inconcepibile puttana ha notato una piccola incisione sul
muro a cui sono inchiodati i cardini dell’inferriata. Raffigura una gemma
sormontata dalla stessa scritta in più lingue: “Vattene, o il Cuore
dell’Elefante ti incenerirà!”.
«Come vuoi...». All’ingresso della taverna vi accolgono le note stonate di una canzone oscena. Le urla festose rimbombano fino al soffitto macchiato dal fumo delle torce, mentre i malfattori vestiti di stracci che la infestano si ubriacano in compagnia di donne dalla voce stridula e l’abbigliamento volgare. La maggior parte degli avventori è costituita da rudi zamorani, con il sorriso più affilato del pugnale che portano alla cinta, ma noti anche altri delinquenti di provenienza differente: un gigantesco iperboreo con una Spada d’Acciaio legata alla schiena beve taciturno al bancone, uno shemita con il naso a uncino è intento a smerciare oggetti di varia natura a una coppia di furfanti, un mercenario gunderiano ubriaco trattiene per la vita una giovane sguattera e, infine, un uomo grasso in armatura di cuoio dall’accento masticato sta intrattenendo un’allegra folla.
«Tu mettiti seduta, ti faccio portare qualcosa».
Ti accosti senza paura; hai ancora la spada in mano, ma è come se l’avessi dimenticata. Le mani dell’essere misterioso si allungano verso il tuo viso e ne scorrono i tratti con tocco curioso e delicato: «Leggo in te la fierezza delle terre selvagge. Conosco il tuo popolo da quando Atlantide innalzava le sue guglie sotto le stelle», poi l’essere interrompe brusco il proprio fantasticare, «hai le dita macchiate di sangue. La Morte cammina al tuo fianco stanotte. Io so, io sento».
«Già», affermi senza troppa convinzione. Ti saresti sorpreso
del contrario.
Questo fino all’arrivo di Yara».
La cacciai, ma la bastarda mi schierò contro un esercito di
mercenari, minacciando di sterminare i miei fedeli.
«Per quanto possa essere crudele, non posso
ammazzare una donna a sangue freddo».
Il nemediano estrae dalla cintura quello che sembra un tubo di rame e si nasconde senza far rumore dietro un folto cespuglio di ginepro. Le bacche mature sprigionano un aroma pungente, mentre ti chini al suo fianco insieme a Anna. L’uomo sembra attendere qualcosa con impazienza ed entrambi vi accorgete di trattenere il respiro, mentre scrutate nell’oscurità tra le foglie e i rami mossi dal vento. All’improvviso due grandi occhi risplendono tra le ombre e una massiccia figura inizia a muoversi in mezzo alle piante, seguita da altre simili.
«Leoni!», mormori.
«Io sono Conan e lei è Anna...», ti presenti gonfiando il
petto due volte. «Intendiamo rubare la Gemma di Yara».
«Alle guardie penserà Anna: sarà più efficiente
della mia spada».
Il turpe individuo si concede una viscida pausa per leccarsi le labbra e conclude: «Domani la catturerò e prima del tramonto la condurrò all’ingresso della Torre dell’Elefante, nel Quartiere dei Templi. Lì ci saranno due servi dello Stregone ad aspettarmi con il denaro».
«Hai ragione, Anna... quel maiale può esserci
utile...».
L'avvertimento di Anna acuisce i tuoi sensi e con le narici
capti un odore ferino familiare.
Rimani immobile, cercando di cogliere il minimo movimento nell’oscurità che ti si profila davanti. Una sagoma massiccia ti attacca dall’alto senza far rumore, ma ne cogli in tempo l’ombra in rapidissima discesa e ne eviti la presa con un balzo laterale. Ancora una volta l’istinto ti ha risparmiato una brutta fine: è un ragno nero grosso come un maiale, con le mandibole colanti di bava velenosa, come se ne vedono negli incubi.
I suoi quattro occhi bulbosi ti fissano con malefica
intelligenza, mentre tenta di ghermirti con le sue tozze zampe pelose.
Se muori, la creatura conserverà la tua carcassa in un bozzolo
per gustarsela al punto giusto di putrefazione. L'hai punito, Conan!
Se adesso vuoi provare ad aprire il forziere, vai al 40.
Ti accomodi su uno sgabello scricchiolante accanto all’imponente figura dai capelli corvini che pendono in ciocche disordinate. «Ehi, oste! Qualcosa da mangiare alla donna seduta a quel tavolo...».
L’uomo accanto a te continua a bere, ignorando la tua
presenza, mentre un rivolo bavoso gli scorre lungo la mascella da una cicatrice
frastagliata sul labbro. Non dà l’idea di essere un tipo amichevole.
Il capo del mostro si piega nella tua direzione, tendendo le gigantesche orecchie. Ti rendi conto dal suo ondeggiare confuso che è cieco.
Con sollievo, cominci ad arretrare fuori dalla sua portata, ma
la creatura avverte i tuoi passi e inizia a parlare con voce monotona ed
esitante, come se le costi fatica pronunciare il linguaggio umano: «Chi è? Sei
venuto a torturarmi ancora, Yara?».
Ti appare evidente che lo sfortunato demone non è in grado di
attaccare e osservandolo meglio riconosci il marchio della frusta: conti
centinaia di cicatrici
La paura e il disgusto ti abbandonano, sostituiti da una
profonda pietà per quelle sofferenze orribili: «Io non sono Yara», dichiari,
«ma un ladro e non ti farò del male».
Vi dirigete verso il Quartiere dei Templi, mentre il frastuono delle taverne si attenua alle vostre spalle. Hai già in mente un piano: userai Anna per distrarre le guardie, mentre tu razzierai tutti gli oggetti preziosi. All’ingresso dell’area monumentale vi accoglie una lunga fila di candide colonne di marmo, sormontate da cupole d’oro e inframezzate da innumerevoli nicchie dedicate ai mille strani dei di Zamora. Prosegui senza soffermarti, le religioni intricate del continente non ti hanno mai interessato; nelle rare occasioni in cui hai discusso con dei sacerdoti ne avevi ricavato l’unica certezza che fossero tutti matti. I tuoi dei, al contrario, sono semplici e comprensibili: Crom comanda sul creato dalla sua montagna, seminando morte e sciagure quand’è di cattivo umore. È inutile supplicarlo, poiché disprezza i deboli e quanti sprecano i suoi unici doni al genere umano: il coraggio e l’euforia in battaglia. Per un cimmero questo è quanto di meglio ci si possa aspettare da un dio.
Rallenti il passo per aspettare Anna, appesantita dal grasso
corporeo.
La costruzione si trova tra gli alberi di un giardino esotico
circondato da una muraglia.
Tuo padre ti ha insegnato che gli uomini civili sono più
villani dei barbari, perché sanno di poter essere maleducati senza che qualcuno,
per questo, gli spacchi la testa. Tuttavia hai preferito non fare troppo rumore, resistendo alla tentazione di dargli una bella lezione; d'altra parte, è bastata la presenza di Anna ad attirare l'attenzione su di te. Ora vai al 46.
Il giardino è una distesa di ombre incerte dove cespugli e alberi folti si agitano mossi da una lieve brezza. Tauro si acquatta tra le fronde, avanzando con passo felpato. Dimostra un’agilità eccezionale per la sua mole e ne ricalchi i passi, seguito a tua volta dall'indicibile puttana.
A un centinaio di metri da voi, oltre un filare di glicini,
intravedi la base della Torre: è identica alla porzione visibile dall’esterno
del Quartiere dei Templi. Si staglia perfetta e splendente, priva di aperture
apparenti.
«Conan... ho paura...», Anna avverte una
minaccia.
Intorno al muro esterno, più basso, crescono arbusti e
cespugli. Per superare la barriera ti è sufficiente fare un salto e afferrare i
rampicanti verso la cima: poi sarà un gioco da ragazzi scavalcare e aiutare
Anna a fare lo stesso.
Scavalchi il parapetto e il pavimento ai tuoi piedi si presenta piatto, di una sostanza blu che riflette la luce delle stelle: somiglia a un grande zaffiro punteggiato d’oro.
Poco lontano dal punto in cui vi siete issati, notate un’ampia
cupola costruita sul tetto; è una struttura circolare dalla superficie argentata
e abbellita da fregi floreali, con un ingresso di legno massiccio privo di
serratura.
Ti guardi intorno un’ultima volta, ma non noti altri pericoli in agguato.
Ripulisci la spada dal sangue verdastro della creatura e
decidi di procedere fino in fondo nella terribile avventura.
Un sussurro amichevole ti sorprende alle spalle: «Qualcosa mi
dice che non sei una sentinella...».
L’uomo è alto come te, ma ha una pancia considerevole da cui
non ti lasci trarre in inganno, perché ogni suo movimento tradisce un’agilità
nervosa che si riflette negli occhi luccicanti di scaltrezza. Cammina a piedi
nudi e ha con sé un rotolo di corda robusta e sottile, annodata a intervalli
regolari. «Smettila di fissarmi e presentati, barbaro chiassone! Ma soprattutto
presentami la tua bella compagna!».
Dal tavolo di Anna sei fin troppo vicino all’uomo grasso e untuoso in armatura di cuoio, la sua voce ti picchia fastidiosa nei timpani: «Ve lo dico io come si cattura una femmina, animali che non siete altro! Yara mi ha promesso trecento monete per una schiava di Aquilonia. Ci ho messo settimane a trovarne una poco lontano da qui. Sono donne libere quelle, lavorano e commerciano con i loro uomini. Mi sono travestito da straccione per intenerire la figlia di un mercante e farmi portare del cibo di nascosto dal padre...». «Adesso mi ha stufato...», quel tipo ti ha irritato abbastanza.
«No, aspetta...», Anna ti trattiene. «Lo sai chi
è Yara?».
Ritorni al parapetto e ti sporgi oltre il bordo ingioiellato, ma non noti movimenti nel fogliame. Anna sta facendo di sicuro un buon lavoro. Ti volti verso l’ingresso e lo trovi chiuso: il nemediano ti ha gabbato!
Senti la rabbia montare in petto e ti lanci contro la porta
con l’intenzione di sfondarla.
Spingi
con cautela la porta tra le cui fessure spiffera l’aroma dell’incenso e la senti
cedere. Dai tizzoni si levano le ultime volute di fumo odoroso, che accarezzano un idolo grottesco seduto su un trono di giada. Il corpo, di un verde acceso, è quello di un uomo, ma la testa sembra un incubo sgorgato dalla follia: è sproporzionata rispetto al collo che la regge, con due gigantesche orecchie e una proboscide curva ai cui lati spiccano due zanne bianche sormontate da sfere d’oro.
Gli occhi sono chiusi, come se la statua stesse dormendo.
Grazie a Anna la strada è libera. Mentre risali lungo la corda lanciata dal nemediano sul parapetto ingioiellato in cima alla Torre, la parete risplende alla luce notturna, offuscando il lucore delle stelle. La fune sporge di una trentina di centimetri dalla balaustra che sormonta la struttura a cilindro, rendendo più facile la scalata man mano che vi innalzate, mentre i bagliori della città si stendono sempre più ampi ai vostri piedi.
Tauro, giunto in cima, allunga una mano e si aggrappa al
bordo, issandosi. Tu, invece, rimani sospeso nel vuoto per alcuni istanti,
affascinato dal firmamento di gemme incastonate davanti ai tuoi occhi; rubini,
smeraldi, topazi, diamanti e altri gioielli di cui nemmeno immaginavi
l’esistenza, ti abbagliano con le loro infinite sfumature, stordendoti.
Gli occhi della figura si spalancano all’improvviso, facendoti sobbalzare dallo stupore: non hai davanti una statua, ma un essere vivente! Ti prepari alla lotta, confortato dalla concretezza della tua lama.
Chiunque altro, al tuo posto, sarebbe fuggito considerandosi
in preda alla follia, ma tu non dubiti dei tuoi sensi e sei preparato ad
affrontare persino i demoni delle leggende.
«Hai nominato la Torre dell’Elefante», interpelli il
sequestratore dall’accento esotico, cercando di mantenere un tono
disinteressato, «ne ho già sentito parlare, qual è il suo segreto?».
Nessuno però è mai andato oltre le mura del giardino che la
circonda, nonostante l’assenza di guardie al suo ingresso».
Ti cali con cautela oltre la parete, aiutando Anna a fare lo stesso, ed estrai la spada con i sensi all’erta. Sei teso come una lince costretta allo scoperto e avanzi a passo leggero lungo la curva del muro, fino ai cespugli dove immagini sia balzata l’ombra.
Mentre procedi immerso nel buio, per poco non inciampi su un
corpo disteso nel fogliame. Ti chini per indagare e, nonostante l’oscurità,
riesci a distinguere l’armatura d’argento e l’elmo piumato della guardia
zamorana, indossati dalla sentinella che avevi sentito passare. Ci impieghi
qualche secondo per capire che l’uomo è stato strangolato e temi di essere il
prossimo.
Il breve corridoio si affaccia su una ripida rampa di scale che scende verso il basso. La luce della torcia ne illumina fioca gli stretti gradini, che ti conducono fino a una porta d’avorio tempestata di pietre rosso sangue. Rimani in ascolto, ma dall’interno non senti provenire il minimo rumore; da sotto l’uscio, tuttavia, trapela un filo di d’incenso dal profumo gradevole. Sotto di te, la scala prosegue, avvolgendosi in una chiocciola.
Hai la sgradevole sensazione di essere solo in una Torre
popolata da spiriti malevoli.
«Ora tocca a me... non potrei comunque seguirvi in cima alla Torre... e non mi fido di questo giardino...». Anna bussa alla porta e viene accolta, come prevedibile, da frizzi e lazzi. Vai al 59. |
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