Caccia al coniglio nero

L'Autovelox

Didone la Sbottonata

Stingray rosso sangue

Conan il Puttaniere

La tranvata

La gelataia

Low Fuel

cACCIA

AL CONIGLIO NERO

di Salvatore Conte (2024)

Il coniglio nero... ho capito troppo tardi che aveva fatto la sua tana vicino alla mia casa per mettermi in guardia da tutto quello che poi mi sarebbe accaduto.

Si è scavato una buca nel fosso che divide il mio vialetto dalla strada mortale: la chiamano così perché ha ammazzato di tutto, dagli uomini agli animali, a chissà cos’altro.

A parte lui, il coniglio nero, che sembra farsi beffa delle auto e dei pericoli, correndo apposta lungo il bordo della morte, sempre in veloce equilibrio.

Lo vedo quasi ogni mattina, come un morto resuscita da sotto terra e resta immobile davanti a me, fissandomi, con quegli orecchi lunghi che lo fanno assomigliare al Joker delle carte: un Joker nero, dal ghigno altrettanto demoniaco, che avrebbe potuto essere la mia salvezza.

Se solo avessi saputo pescarlo dal mazzo.

Tutto ha avuto inizio alcuni giorni fa.

Percorrendo il vialetto di casa che come detto mi porta sulla strada mortale, dove ogni mattina aspetto l’autobus nella speranza che qualche carambola d’auto non coinvolga anche me, vedo il coniglio nero fermo sopra un oggetto che da lontano identifico come un pezzo di cartone o qualcosa di simile.

Resta immobile per qualche secondo e poi corre veloce verso la strada per scomparire nella sua buca, evitando anche questa volta d’essere ucciso.

Sorrido davanti alla sua furbizia, pensando a quanto lo sia più lui, furbo, rispetto a tutti i miei colleghi d’ufficio che sto per incontrare anche stamattina.

Passa il bus. È stato puntuale.

La scena si ripete dopo due giorni. Il solito coniglio nero che compie le solite azioni: corre, si ferma sopra quella specie di cartone che è rimasto sempre nello stesso punto, mi fissa e poi ricomincia a correre per sparire nella sua buca. E salvarsi per l’ennesima volta.

A questo punto, incuriosito da quel cartone immobile al vento e alla pioggia, nonostante sia passato un po' di tempo dalla prima volta che il coniglio me l’abbia fatto notare, decido di andare a ispezionare per vedere meglio di cosa si tratti.

Mi avvicino e vedo che non è un cartone ma un pezzo rettangolare di compensato, con una foto di donna appiccicata sopra che lo fa sembrare una specie di ritratto.

Un grosso sasso lo tiene fermo, e questo spiega perché possa trovarsi ancora lì.

La foto è in bianco e nero, e ritrae una donna mora con i capelli che le coprono un occhio, e lo sguardo enigmatico, quasi misterioso, anche a metà.

Una bella donna, indubbiamente. Le labbra che invitano a un bacio bollente.

La prendo, la infilo nella borsa porta computer e ritorno alla fermata del bus.

Passerà però con quarantacinque minuti di ritardo a causa di un incidente mortale avvenuto un chilometro prima.

Il giorno dopo decido di non andare al lavoro, oggi in ufficio sopravviveranno anche senza di me: non sarà poi così difficile, essendo già morti da anni senza che lo sappiano.

Prendo la foto della donna e la metto sul tavolo, appoggiata in verticale contro una bottiglia: provo a guardarla ma mi accorgo che devo abbassare gli occhi, il suo sguardo di compensato, anche a metà, è più potente del mio.

Mi gira improvvisamente la testa tanto da buttare uno straccio sopra la foto e coprirla, prima di essere vittima di qualcosa che assomigli alla sindrome di Stendhal.

Accendo la televisione tanto per distrarmi, passo da un canale all’altro senza interessarmi a nulla, finché mi fermo sul telegiornale della mattina.

Oggi incontro al Viminale per il punto sulla sicurezza.

Il coniglio nero, la donna della foto.

Scandalo delle tangenti: indagati cinque assessori.

Lo sguardo enigmatico, l'occhio ipnotico, le labbra che ti divorano.

Scomparsa la moglie del console iraniano Assim Balthazar.

Alzo il volume.

La donna, Pegah Emambakhsh, risulta scomparsa dal pomeriggio di ieri.

Alzo ancora il volume.

Il marito e la consorte dovevano partecipare a una cena di rappresentanza con il Sindaco, ma la donna non ha mai raggiunto il luogo dell'incontro.

Le forze dell’ordine sono state immediatamente allertate.

Alle mie spalle una foto della donna scomparsa.

Il cuore smette di battermi.

Chiunque l’avesse vista o la vedesse è invitato ad avvertire immediatamente le forze dell'ordine.

La morte a occhi aperti deve essere questa.

Mi alzo a fatica dal divano e raggiungo la vetrinetta dei liquori, pochi passi che mi sembrano chilometri camminati all’inferno.

Mi attacco al Jack Daniels e finisco il quarto di bottiglia rimasto come fosse acqua.

La donna appiccicata al pezzo di compensato esposto sul mio tavolo, addosso a una bottiglia, è la donna che ho appena visto al telegiornale.

Levo lo straccio dalla foto, magari ho preso un enorme abbaglio e non è lei, ma so benissimo che è lei.

Anche la foto è la stessa.

Ma gli occhi... no. In TV erano due.

Provo a ragionare, pur febbricitante.

La foto attaccata al pezzo di compensato l’ho notata alcuni giorni fa, mentre la moglie del console è scomparsa solamente ieri sera: chi l’ha messa in fondo al mio vialetto? Per quale motivo? Chi sapeva che poi sarebbe scomparsa? E che c'entro io? Era per me?

D'altra parte ora mi ritrovo con la foto gigante di una donna scomparsa, quasi mai apparsa in pubblico e con cui non ho alcun punto di contatto.

La situazione è assurda, indecifrabile, momentaneamente al di fuori dalla mia analitica comprensione.

Prendo il telefono e compongo un numero.

Odio rivolgermi ai vecchi amici, ma devo saperne di più su questa donna.

Chi sei, Pegah Emambakhsh? Riesco per un attimo a riguardarla in faccia.

«Pronto?

Pronto, Frank?».

Finché la voce al telefono non risponde, distogliendomi dal suo incantesimo.

«E questo è tutto, non so altro...».

Sto parlando a Frank, nell'ufficio di Frank.

Stanotte me la sono sognata che mi sorrideva beffarda... con una pistola in mano...

«Va bene, credo che tu abbia diritto a delle spiegazioni.

Falla entrare, così non ripeto due volte la stessa storia», Frank fa un cenno a un tizio che non mi ha nemmeno presentato.

«Ma cosa…?», entra una donna che riconosco subito. «Ma lei è… Santa Madonna…».

«Pegah Emambakhsh», Frank conferma. «Ti spiego tutto, ma rimani seduto.

È una lunga storia, che cercherò di sintetizzare.

Ormai sei uscito dal giro e sappiamo anche perché.

Ti sei fissato con questa Layla e non vuoi accettare che te la tengano nascosta.

Però ai piani altri sono fatti così, ormai dovresti saperlo: giocano con le vite altrui e non danno spiegazioni a nessuno».

«Sì, me ne sono accorto».

«Tuttavia il mondo gira su sé stesso e prima o poi si torna in pista.

Conosci il caso Romina?».

«Quel poco che si è letto sui giornali.

Ma solo perché è una bella donna, io non leggo i giornali».

«Non discuto i tuoi gusti, ma il tuo metodo, Sal.

Tu vorresti pescare dove ti pare, tutto il mare è tuo, getti la rete e pretendi che nessuno ti chieda di esibire una licenza di pesca».

«Non capisco questo giro di parole, Frank.

Prima hai detto anche tu che loro fanno quello che vogliono. Io voglio che mi diano Layla. Non ho altro da chiedere».

«Il mondo ha delle regole, Sal. Loro non le rispettano, ma valgono per tutti gli altri, incluso te.

Ma cerchiamo di rimanere sul caso Romina.

Mi hanno incaricato di liberarla. Ho carta bianca.

Così ho pensato a uno scambio».

Lo sguardo si posa sulla Emambakhsh.

È una buona occasione per squadrarla.

Stavolta però non sta fissa sopra un tavolo, appoggiata a una bottiglia.

E gli occhi sono due.

Devastanti.

«Frank… cosa c’entro io in tutto questo?».

«Tu c'entri, perché io per portare a termine questo incarico ho bisogno di te».

«Hai bisogno di me?

Ma che dici? Non hai nessun motivo per coinvolgermi».

«Invece ne ho almeno tre.

Primo, hai bisogno di quell'adrenalina che una scrivania non può certo darti».

«Non psicanalizzarmi, Frank: passa al secondo motivo».

«Secondo, sei il tipo più in gamba che io conosca, in certe situazioni».

«Questo è ancora più assurdo».

«Terzo, potresti ricavarci qualcosa».

«Questo andrebbe bene, ma hai detto tu stesso che loro non trattano e non concedono nulla».

«Se ti fidi, avrai qualcosa che ti interessa. Non ci sono ostacoli».

«Con Layla che ostacoli ci sono?».

«Layla è tabù per te, nemmeno io so perché».

«La solita storia...

Dunque la foto della signora l'hai piazzata tu.

Non personalmente, certo...

Ma il coniglio...? Come c'è arrivato lì?».

«Il coniglio? Che coniglio?».

«Ti metterai in ferie e fingerai un viaggio turistico in Libano. Ma prima ti fai un po' di tiri, sei arrugginito.

Là incontrerai un contatto, sarà piacevole, una tua connazionale; quindi accompagnerai la qui presente signora nel luogo convenuto.

Tornerai indietro con Romina. E la consegnerai dove lei stessa ti dirà.

A quel punto il tuo lavoro sarà finito.

Tutto chiaro?».

«Come no, chiarissimo.

E perché proprio io?».

«Ci risiamo?

Stai sbagliando la domanda, Sal.

Chi altri se non tu?

È uno scambio di donne, nessuno le tratta come te, avrai cura di entrambe.

Lo sanno sia gli amici che i nemici».

«Tu in quale categoria rientri, Frank?

Almeno puoi evitare che dall'ufficio mi chiamino ogni due secondi?».

«Purtroppo no, tutto deve sembrare normale, intorno a te.

Ah, quasi dimenticavo...

Il contatto in Libano ti consegnerà una borsa con 500.000 dollari.

Non contarli subito, vogliamo vedere quanti se ne prenderà.

Tu ci darai il totale netto parlando con te stesso alla finestra».

«Per chi sono questi soldi?».

«Fanno parte dello scambio. Si usa risarcire chi ha l'ostaggio da più tempo».

«E se la borsa verrà alleggerita?».

«Si usa prelevare una commissione. Gli altri lo sanno.

Speriamo non si prenda troppo. Tu evita».

Sì, io devo evitare.

Frank sa come pagarmi, sa qual è la mia commissione.

Stavolta è stato di parola.

«Sto cercando chi cerca Didone».

È la parola d'ordine.

È il nome in codice del contatto.

«L'ha trovato. Si accomodi».

In questa storia non ci sono mezze misure.

Un'altra bambola da capogiro, anche piuttosto allentata.

Una specie di incrocio tra la classe di Rita Hayworth e la carne di Anita Ekberg.

«Mi chiamo Sal Conte, lei?».

«Anna Frezzante».

«Ma lei è libanese?».

«So de Roma...».

«Ah... però è pratica di questi luoghi, no?

Secondo lei, io... dove potrei trovare lo spirito di Didone, qui in Libano?».

«Il posto migliore per una ricerca del genere è di sicuro Baalbek.

E sono convinta che non rimarrà deluso».

«Baalbek è il trionfo della pietra, una magnificenza lapidaria il cui linguaggio, superbamente visivo, riduce New York a una dimora di formiche...», leggo dalla guida turistica. «E quando potremmo partire?».

   

       

 

DRIN... DRIN...

«Mi scusi...».

«Scusa, Salvatore; lo so che sei in Libano, ma ha chiamato l'Assessore: voleva sapere se quando torni si può inserire subito il Decreto di nomina del nuovo Presidente di Romapromo...».

Mentre divento viola-porpora fenicia e mi si incolla il labbro, Anna mi strappa il cellulare.

«Pronto? Sono Didone, chi parla?».

«Non sei Salvatore? Sono Alessia, la sua dirigente; puoi dirgli che ha chiamato l'Assessore?».

«Senti cocca: vai a fare in culo, te e l'Assessore; e se provi a richiamare, ti faccio sbattere contro un tronco di pino».

CLICK

«Con le donne non ci sai fare...

Allora... dicevi? Quando possiamo partire...

Domani...

Per stasera, intanto, non vedi nessuna Didone intorno a te?».

Deglutisco.

C'è qualcosa di famigliare in lei, per certi versi mi ricorda Layla.

«100.000 sono troppi?».

«E me lo chiedi?».

«Allora 50, ma tutti per me».

Ecco... mi sono fregato un'altra volta...

«Però voglio dimostrarti la mia gratitudine... io sono meglio di Didone...».

Modesta la ragazza...

«Ma se io e te... alla fine...».

«Vacci piano... ma se conti, non dico no...».

Frank ha previsto tutto, come al solito.

«La ragazza si è presa il 10 di mancia...».

«Torna qui, dai... con chi stai parlando?».

«Dicevo tra me e me...

Dicevo che una come te merita tutto...».

È calato un crepuscolo da brivido sulle rovine di Baalbek.

Sanguigno e anche un po' funereo.

«Facciamo in tempo a vedere l'ultimo raggio del sole», dice Anna. «In estate si svolgono importanti eventi e spettacoli tra queste rovine. Vi sono delle scale che portano in cima, a uso dei tecnici delle luci.

Da lassù, ve lo assicuro, la vista è mozzafiato...».

Annuisco.

Anna è sempre sbottonata, nonostante l'altitudine superiore ai 1.000 metri. Penso lo faccia per tutelarsi.

La beretta è sotto l'ascella con il colpo in canna.

L'iraniana sotto il braccio; l'abbiamo riagganciata tra le colonne di Baalbek; nell'altra mano ho la borsa con il grano.

Devo concentrami sulla mia sfera di controllo. Questo mi ha detto Frank.

«Ognuno farà il suo, tu fai il tuo».

Ognuno chi?

Qui non vedo nessuno, le visite sono finite, stanno chiudendo i cancelli.

Vediamo Anna che fa, se sale sulla scala con noi, oppure si ritira.

«Vado avanti io».

Non si ritira.

La scala è verticale, con gabbia di sicurezza.

Poco adatta per una donna tonda come Anna.

Ma sembra averla già provata e riesce a cavarsela bene.

Dietro di lei mando Pegah.

La borsa ha una tracolla, Frank pensa sempre a tutto.

Dall'alto la struttura del tempio principale appare ancora più maestosa, se possibile; fa venire le vertigini; come i due grossi culi che mi stanno sopra.

In giro non c'è più un'anima. Gli scavi sono chiusi a quest'ora.

In cima però ci sono due persone, a una distanza di 30 metri dallo sbocco della scala, in corrispondenza dell'angolo opposto.

Il numero potrebbe essere giusto, quando il crepuscolo è ormai notte.

La Frezzante si defila, ha fatto il suo.

Se gli altri due fossero Romina e un agente iraniano, allora andrebbe bene.

Tengo sotto braccio la Emambakhsh e mi avvicino, molto lentamente; siamo a 20 metri di altezza, con parapetti improvvisati o vecchi di 2.000 anni.

Dalla parte di Anna, però, i conti non tornano più: è spuntata, letteralmente dal nulla, un'altra sagoma.

I tecnici della luce sono diventati troppi.

Qualcosa sta andando storto.

Mentre avanzo a piccoli passi, mi copro dietro all'iraniana: con questo buio a stento riuscirei a vedere una pistola.

I tecnici della luce stanno lavorando davvero male.

Rimango però scoperto dal lato di Anna; anche se mezzo milione di dollari forse proteggono più di un giubbotto.

«Al momento dello scambio non porterai nessun giubbotto antiproiettile».

«Posso chiedere perché?».

«Perché trasmette sfiducia alla controparte».

«Ah, ecco...».

Davanti a me, l'iraniano o presunto tale rimane affiancato alla presunta Romina, cioè non segue la mia tattica, non si fa scudo con il corpo dell'ostaggio.

La sagoma però è imbolsita al punto giusto, corrisponde a quella di una donna importante.

Devo ragionare.

Una parola...

Perché lui non si avvicina, perché non si fa scudo con il corpo di lei.

No, giusto, non devo prendermi Romina adesso. O ci ammazzano tutti e due.

Devo tenermi Pegah.

Ma allora perché l'intruso che non doveva esserci si è fatto notare?

Forse protegge la Frezzante e basta.

Gli amici che fine hanno fatto?

«Tu fai il tuo», le parole di Frank mi pulsano nelle tempie.

Già... ma qual è il mio, Frank?

Mi sono fermato. Da questa distanza comincio a vedere qualcosa, gli occhi si stanno abituando all'oscurità.

Ho un salto al cuore.

È lei.

Sono troppo emotivo per questo genere di lavoro, l'ho sempre saputo.

Perché diavolo ho accettato, ma soprattutto perché diavolo l'hanno fatto fare a me?!

Lei è tranquilla.

Ha sangue freddo, al contrario di me.

Ogni tanto guardo alle mie spalle. Ma non devo mostrarmi troppo nervoso. Le due sagome si mantengono a una certa distanza. Si è formata una nuova coppia, qualcuno cerca di fregarmi Anna. Al momento sembrano solo controllare.

È stallo.

«Lasciami, dai... chiudiamo l'affare...», l'iraniana si divincola dal mio abbraccio.

Ho solo un istante per tenerla o lasciarla andare.

Anche Romina si spinge in avanti.

Non la trattengo.

«Torna al tuo posto», dice la sudamericana all'iraniana.

Lo spazio è stretto e le due sono ben piazzate.

Dal lato interno il parapetto è scarno: si tratta della balaustra metallica di un ponteggio volante, tirato su - penso - per i soliti tecnici della luce.

Lottare in quel tratto sarebbe quindi molto pericoloso, data l'altezza da terra.

Pegah torna da me, Romina dall'iraniano.

Caspita, che donna...

Se gli amici scelgono i migliori, perché diavolo hanno scelto me?

«Lo vogliamo concludere o no, questo affare?».

Alle mie spalle risuona la voce melodiosa di Anna Frezzante.

E nella mano distinguo una pistola, una beretta; con silenziatore.

Fregato da un'italiana: il colmo.

Comunque è buio pesto, la luna non si vede, da quella distanza può colpire la Emambakhsh, che intanto mi spalmo addosso come una crema solare.

A questo punto estraggo anch'io.

«A che gioco stai giocando, Anna? Ti consiglio di non fare scherzi, mi dispiacerebbe perderti di vista».

«Avanti, concludi lo scambio. Siamo qui per questo, no? Devo restituire la commissione, se l'operazione non riesce.

E anche tu...».

Davvero molto lucida e sgradevolmente simpatica.

La sua voce è falsa come il terzo Jolly del mazzo.

«Allora metti via il ferro e aspettami di sotto, insieme al tuo ragazzo».

FLOP

BANG

La situazione precipita.

Mi spara addosso. Io rispondo.

«AH...!»

La prendo in pieno, strilla, si ingobbisce e frana...

Ho un salto al cuore...

Anna sembra precipitare nel vuoto!

Ma per fortuna si aggancia al parapetto dell'impalcatura volante.

La Frezzante si sporge a penzoloni dalla balaustra, le braccia molli e abbandonate piangenti verso il fondo del baratro; sembra un panno steso ad asciugare; se non è morta, dev'essere grave.

Io ho un dolore al fianco, ma sembra gestibile; ha una buona mira, perché mi ha colpito senza mettere troppo in pericolo l'iraniana. Ma è stata sfortunata, perché ho reagito d'istinto, senza pensare alle conseguenze.

L'altra sagoma è scomparsa.

Pegah si è divincolata e sta per raggiungere il connazionale.

Romina viene verso di me, incrocia e supera l'altra, ma poi si ferma prima di raggiungermi.

Che cosa le prende?

Nel dubbio mi gioco il Jolly.

La pietra sotto i piedi è ben levigata, liscia come un tavolo da biliardo.

Le faccio arrivare la pistola mentre la Emambakhsh ne prende una dal proprio compagno.

FLOP

BANG

BANG

Un colpo a vuoto contro una donna piegata a terra.

Uno in mezzo agli occhi.

E un altro nello stomaco.

«Allo scambio andrai con due pistole».

Io ho fatto il mio, ho sparato all'obiettivo alla mia portata, ovvero a Pegah, mentre Romina ha sparato al suo compagno, sapendo o sperando che io mi sarei occupato dell'iraniana. Lei ha fatto il suo.

Gli iraniani si sono fatti ammazzare.

Ognuno ha fatto il suo.

I conti di Frank erano giusti.

A parte il pasticcio combinato da Anna Frezzante.

Nonostante il colpo, l'iraniana non si lascia scappare nemmeno un gridolino.

Intercetto solo un sofferto sussulto negli occhi, come un bambino che dopo una fastidiosa iniezione trattenga a stento le lacrime.

Trascinando i piedi sulla pietra, le braccia molli lungo i fianchi, l'iraniana si avvicina con un sorriso sardonico sul volto!

Giunta a un paio di metri, mi fa vedere un pezzetto di lingua; poi, quasi punita per la sua arroganza, è scossa da un brivido e cade sulle ginocchia.

L'iraniana spalanca gli occhi, ora c'è paura e rimpianto nel suo sguardo.

I giorni felici e gli ormeggi da grossa piovra sono lontani.

È come se i suoi colpi fossero finiti, la gangster ha avuto il fatto suo.

È di nuovo scossa da una lunga contrazione, mi guarda e dice: «Mi hai beccato...

Ma io... sono... la... Emamba...khsh...».

«È vero...», conferma Romina, con un certo sarcasmo. «È la famosa Emambakhsh... la puttana intoccabile...

Però tu l'hai toccata, eccome!».

«Ma io... non sono così preciso...».

«Doveva crederlo anche lei... ha pensato di farla franca... ma non ha tenuto conto della proverbiale fortuna del dilettante...

Altrimenti non morirebbe con questa espressione basita sul volto...».

Ha ragione: la bocca è quasi spalancata! Sembra pronta all'uso.

Mi viene un'idea.

È bona, tonda e sta per crepare.

«Allora se sei la Bakhsk... fammi il servizio...

Però niente scherzi».

Le punto la pistola alla tempia: se fa qualche mossa falsa, le faccio saltare la testa.

«Visto? L'espressione è cambiata.

Ma... sei sicura che...».

«L'hai sfondata...

Però forse... tenteranno qualcosa».

«In che senso?».

«Visto che è una top assoluta, proveranno a rianimarla.

Ci sono tecniche speciali che noi non conosciamo e che non dovremmo sapere di non conoscere».

«Cazzo! Intanto ci provo io...

Ma vale così tanto l'Emambakhsh?».

«Giudica tu stesso...».

«Sal...! Sal... aiuta...mi!», una disperata invocazione proviene da Anna, sempre a penzoloni sulla balaustra metallica.

«Anna! Stai calma, sto arrivando...!».

Romina si è messa a parlare tranquilla, come se il misterioso intruso apparso sulla scena non dovesse tornare mai più...

Io sono troppo eccitato per capire se abbia preso una pallottola pericolosa, oppure di striscio.

Anna si muove ancora, ma è stordita, può precipitare di sotto da un momento all'altro, mentre fissa il baratro con il seno - quasi uscito dalla camicetta - che sembra inseguire le braccia a penzoloni nel vuoto.

Ho fretta di liberarmi da Pegah per soccorrerla.

Nonostante tutto, mi dispiacerebbe se rimanesse uccisa.

«Chi era quel tale?», le domando, mentre le tampono il buco, con gli occhi dentro il camicione sbottonato.

«Il mio uomo... ahh...».

«Perché non hai chiamato lui?».

«Non lo so... uhh...».

«Non ti bastava la commissione da 50.000?».

«Mi piacciono i soldi... ohh...».

«Il tuo uomo ti ha mollato, Anna... è fuggito come un coniglio».

«Era solo uno stronzo... ahh...

Vuoi... sostituirlo tu... uhh...?».

Sempre lucida e sgradevolmente simpatica.

«Certo... io ci tengo a te, Anna...», e premo sul buco.

«Io... sono... la Frezzante... ahhh...», eccone un'altra che non ha certo problemi di autostima.

«Sei stato bravo, te la meriti. Sembra una buona incassatrice.

Da parte mia, grazie per quello che hai fatto.

Se ti va male, puoi passare da me per la commissione...

Ma i soldi vanno ridati a Frank, perché loro non li hanno voluti.

Adesso rilassati, tra poco gli amici saranno qui, la tua ferita non mi sembra grave».

«Me li lasci a me, visto che ho rischiato la pelle e che adesso devo mantenere una grossa zoccola come la Frezzante...

Però in cambio puoi passarci altre grane».

Questo dirò al mio amico Frank.

L'AUTOVELOX

di Salvatore Conte (2024)

«Siete il simbolo della città... Maggiore...».

«Siediti...

Che mi dici?».

«Cosa porto?».

«Un Campari.

Hai da cambiare? Sono 50, eh...!».

«Serata ricca?».

«Era ora...

Tre bei tipi... con una bella macchina... ma non sono di qui».

«Belli quanto?».

«Belli parecchio...».

«Dove siete andati?».

«In un posto tranquillo».

«Sapresti tornarci?».

«No».

«Perché no?».

«Mi hanno bendato».

«Non hai avuto paura?».

«Un po', ma quelle 50 mi hanno dato coraggio».

«Quanto è durato il tragitto?».

«Dieci minuti, un quarto d'ora...».

«Quante svolte?».

«Mah... due... o tre...».

«Fondo liscio?».

«No, no, nell'ultimo tratto sembrava di stare in barca.

Dall'interno è un vecchio casolare di campagna.

Pensate nascondino qualcosa?».

«Non è detto, io devo andare, ci vediamo, Stefania».

Si alza e se ne va.

Senza pagare.

Credito illimitato per il Maggiore della Città di Comacchio.

«Capo, questa risulta rubata, che faccio? La multa la mando lo stesso?».

Il Maggiore alza gli occhi dal giornale.

«Scalise... se è rubata, a chi la mandi la multa?

Fai vedere...

Bella macchina... e bella targa...».

«Scusi, Comandante, che ha di speciale la targa?».

«Ha di speciale Padova...

Dove ti sei messo?».

Ci mette un po' a capire.

«Sulla Romea, chilometro 26».

«17:31...».

«Sì, infatti... questo modello imprime in automatico l'orario dell'infrazione: è a prova di ricorso...!».

«Già... il tempo... il luogo... l'infrazione...

Scalise... secondo te... dalla periferia di Padova... con un'Alfa 2000... camminando un po'... quanto ci vuole per mettersi in posa sulla Romea al chilometro 26?».

«Beh... io direi almeno due ore».

«Ma sei scemo? Ho detto "Alfa 2000" e ho detto "camminando un po'"».

«Beh... allora due ore e mezza, quasi tre».

«Sei scemo, te l'ho detto.

Ci vogliono al massimo 40 minuti e questa foto ne è la prova.

Mezzora scarsa, camminando veramente».

«Signorsì».

Gli occhi si fissano nel vuoto, ripensa a qualcosa.

«Cristo Santo...».

«Si sente bene, Comandante?».

«Scalise, tu passi all'Ufficio Notifiche, con effetto immediato».

«Ma... io...».

«Non è una punizione, scemo. Ti considero un ottimo Agente, lo sai.

Ma hai bisogno di completare il tuo bagaglio professionale con un'esperienza di tipo amministrativo, atta a conoscere meglio il territorio di competenza.

Comincerai con un incarico che sta molto a cuore al nostro Prefetto.

Deve notificare un'Ordinanza di bonifica coatta presso una proprietà rustica, di cui non abbiamo l'indirizzo completo. Si sospetta un collegamento con una banda di trafficanti di rifiuti tossici, perciò sii cauto e non dare troppo nell'occhio; usa la bicicletta.

Hai capito tutto?».

«Insomma...».

«Dopo ti spiego meglio, adesso ho da fare».

Lo manda via con un rapido movimento della dita.

E telefona.

«Beppe, sono io. Ho un lavoretto per te. Ti servono gli attrezzi. E un manovale».

Riaggancia.

Il Maggiore ha fiutato la preda.

«C'è un Vigile in bicicletta che continua a girare qua intorno...».

«E allora? Cosa vuoi che ci importi di un mezzo poliziotto su un triciclo? Chissà se ha pure mezzo pisello e mezza pistola».

«Potrebbe arrivare fino a qui, forse cerca qualcuno».

«Sì, cerca rogna».

«È proprio sicuro di non avere visto niente di insolito, qui intorno, in questi ultimi giorni?».

«Mah... cosa vuole... ringraziando Dio, qui da noi si vive ancora bene.

Però, adesso che mi ci fa pensare... ma non so se è importante...».

«Dica pure».

«Io sono un tipo che si fa gli affari propri, però mi è sembrato strano di vedere un'Alfa Romeo 2000, una signora macchina, avventurarsi su una pietraia; sa... quelle macchine costano care... e chi le possiede ci sta attento... hanno la coppa dell'olio bassa e se urtano un sasso sporgente... beh... sono dolori...».

«Si ricorda se l'auto era targata Ferrara?».

«Ehm... no... anche questo mi è sembrato strano.

Era targata... mi faccia pensare...».

«Provo ad aiutarla.

Era targata PD, cioè Padova?».

«Padova, sì! Ora che me l'ha detto, ne sono sicuro».

«Mi spieghi bene quale stradina sterrata ha imboccato».

«Vede laggiù? C'è un vecchio casale a due piani.

Fra 200 metri, sulla destra, trova un sentiero di pietrisco e dopo mezzo chilometro arriva a destinazione».

«La ringrazio molto».

«Porti i miei omaggi al suo Capo, vanto della Città... e della Provincia...».

«Pienamente d'accordo».

«Hai fatto un ottimo lavoro, Scalise.

Ora, però, tieniti lontano da quel posto. Quella gente può essere pericolosa.

Fammi di nuovo l'Autovelox sulla Romea, tratto con divieto a 40.

E fra un po' ti compro l'Alfasud: autopattuglia AF26, in dotazione all'Agente Scelto Scalise; ti regalo anche un baffetto per la spallina».

«Signorsì!

In effetti era da un po' di tempo che volevo chiederle se la sigla dell'Ammiraglia del Corpo, l'Alfasud AF16, fosse legata a qualcosa, oppure a niente».

«A come Anna, F come Frezzante, 16 come il giorno del compleanno di Anna Frezzante; quindi aumentiamo di un'unità la prima cifra e arriviamo a 26, che è poi il chilometro famoso... che finanzierà la seconda Alfasud».

L'Agente Scalise rimane basito.

«Dai, chiudi la porta a chiave e vieni qui.

Adesso mettimi le mani addosso, ti autorizzo, so che ti piaccio.

Chi lavora bene per me, ottiene questo.

Ma scordati la storia del casale, Gennaro. È un boccone troppo grande per noi. Passerò l'informazione alla Prefettura e se la vedranno loro.

Tu non parlarne con nessuno: mi hai capito bene?».

«Porco Dio, una macchina dei Vigili...!».

«Stai calmo, magari è il mezzo poliziotto che ha fatto benzina».

«All'anima del mezzo poliziotto!

Questa è una donna e mezzo e ha pure i gradi da Generale!».

«Ma che Generale...

Rubi da una vita e ancora non riconosci i gradi degli sbirri. È un Maggiore.

Sentiamo che vuole, fate parlare me. E non prendete iniziative».

«Buongiorno.

Devo informarla che a seguito di un controllo degli uffici tecnici, sono emerse delle irregolarità catastali relative a questa proprietà».

«Beh... c'è una multa da pagare, Signora?».

«Anche, ma soprattutto è necessario regolarizzare l'accatastamento, eseguendo dei lavori di messa in sicurezza dell'immobile».

Qualche secondo di stallo, poi lei prosegue.

«Se non sa a chi rivolgersi, posso consigliarle un muratore molto bravo, con il suo manovale, che si occupa anche delle pratiche urbanistiche».

«E quanto verrebbe a costare il tutto?», il tizio comincia a capire.

«Beh... voi siete tre, noi siamo tre...

Diciamo 50 per uno?».

«50.000 lire?».

«50, in banconote da 50.000...», adesso non ci sono più dubbi.

Segue una lunga pausa.

«Consideri però le spese sostenute finora per mantenere questo casale.

Tutta la fatica messa da noi tre per tenerlo in piedi...

Facciamo 200 a noi e 100 a voi?».

«No. Si divide in parti uguali. Sabbia e ghiaia si mischiano in parti uguali per fare un buon cemento».

Beppe è uscito allo scoperto. È arrivato dal retro, in barca.

È un muratore calabrese specializzato nello smaltimento di cadaveri, di produzione propria o non. Diversi pilastri appaltati dall'ANAS sono opera sua; riesce a mantenere omogenea la densità del cemento, nonostante la presenza di impurità fangose; perché l'uomo viene dal fango, vive nel fango, e ritorna nel fango; talvolta con un sacco a pelo di cemento.

E se Atlante sosteneva il mondo, oggi c'è chi sostiene un cavalcavia, senza farsi tanta pubblicità.

Per questo e altri motivi, 300 testoni, divisi in parti uguali, sono più che abbastanza per mezza dozzina di delinquenti.

DIDONE LA SBOTTONATA

di Salvatore Conte (2024)

«Didone ha sempre avuto buone lettere, ne parlano bene tutti...

Ma stavolta si è messa a fare la puttana, o per meglio dire il troione, appresso a quello sciroccato».
«Non è solo lei, è tutto un insieme di cose.
C’è chi la spinge, lo sai».
«Non dare retta a certe teorie, gli dei esistono solo nella nostra testa, la storia è cucita dal grande narratore».
«E chi sarebbe? Lo conosci?».
«Lo chiamano fato, destino».
«Allora siamo alle solite».
«No, c’è qualcuno che dirige il destino».
«Tu lo conosci?».
«È dietro tutto, crea drammi e tragedie».
«Tornando al concreto, pensi che si caccerà nei guai, la nostra bella regina?».
«Senza dubbio. E grossi, anche…».
«Finisce spanzata, per capirci?».
«Temo di sì».
«Ma il suo Capitano, non la difenderà?».
«Quello?
Se il Troiano apre la borsa, si volterà dall’altra parte.
A forza di girare per maghi ed esperidi, ne ha carpiti di segreti…

Ma la sua natura di troia sbottonata è uscita fuori con l’ariete senza corna… colui che ha aperto il cavallo».

«Ha inventato i bottoni e nessuno sa allentarli meglio di lei».
«Possono chiamarla l’Errante, l’Infelice, la Sidonia: tutti epiteti graziosi, ma lontani dalla realtà.
Didone è la Sbottonata».
«Hai ragione, amico mio.
Tanto è vero che sempre vi sarà una Didone Sbottonata in ogni secolo a venire, fino alla fine della Storia; e sarà riconosciuta da come si allenterà i bottoncini.

Ma dimmi... credi davvero alla storia di Enea che apre la Porta del Cavallo e fa entrare i Greci?».

«L'ha fatto intendere lo stesso Omero, pur romanzando la cosa».

«E la Sbottonata se la farebbe con un traditore?».

«Abbiamo detto che qualcuno la spinge contro il suo pisello».

«Già, ma chi?».

«Hanno trovato la Regina in fin di vita, con le budella di fuori!».

«L'avevo detto, io...».

«Stanno arrivando chirurghi e maghi da tutta la città, ma c'è poco da fare, a quanto dicono...».

«Sapevamo che sarebbe finita così».

«Enea è fuggito, dev'essere lui l'assassino».

«Un altro tradimento.. chissà dove andrà a far danni, adesso...».

«La sorella Anna è dispiaciuta, ma è già pronta a fare l'Imperatrice».

«Forse è stata complice di Enea».

«In ogni caso, se l'è di sicuro scopata.

Non è più bona come una volta, ma sempre imponente».

«Per me è più bona adesso di una volta.

Ma non è questo l'importante.

Se ha un patto con Enea, si rifiuterà di attaccarlo, e noi invece dobbiamo vendicare la Regina!».

«L'unica speranza è Annibale, il giovane Tenente che si è messo in luce contro gli africani; sono sicuro che non rimarrà a guardare, a costo di sventrare pure Anna».

«I bottoni cadono, amico mio».

«Come foglie d'autunno, sebbene sia solo primavera».

«Il gladio è destinato a prevalere sui bottoni».

«Non è detto; anche i bottoni sono importanti».

«Forse hai ragione, ma in ogni caso il grande narratore li usa per cucire la Storia».

STINGRAY ROSSO SANGUE

di Salvatore Conte (2024)

«Allora? Dove stanno i soldi?».

«C'è stato un problema, Abigail. Ci volevano fregare... ma li abbiamo liquidati!

Però avevamo dietro la polizia, perciò li abbiamo nascosti dentro una macchina in vendita, insieme alla roba.

Non c'è da preoccuparsi, quei vecchi rottami rimangono invenduti per mesi, fin quando non capita un gonzo che abbocca all'amo».

«E su quale vecchio rottame li avete nascosti?».

«Mah... era rossa... non so, una cabrio... tanto è lì, non si muove».

«Penso fosse una Corvette Stingray del '64».

«E tu una Stingray seconda serie da 360 cavalli me la chiami un vecchio rottame? Ma Cristo Dio...».

«Due gonzi hanno abboccato proprio adesso... razza di idioti!

Lonigan, segui quel vecchio rottame, e voi... pronti: polizia o no, mi voglio riprendere la roba».

«Ho un'idea, Abi...».

«Abigail...».

«Okay, ascolta: quelli avevano messo un trasmettitore in mezzo ai soldi; ed è rimasto lì.

Conosco il giro e penso di sapere chi può avergli fornito l'apparecchiatura. Mi faccio dare una copia del ricevitore e ritroviamo l'auto in poco tempo...».

CONAN IL PUTTANIERE

di Salvatore Conte (2024)

Conan ha una missione da compiere per conto di un Re (riportargli la figlia rapita da un mago cattivo) e una vendetta personale da portare a termine (ammazzare proprio il mago cattivo, che molto tempo prima aveva tagliato la testa alla madre e distrutto il suo miserabile villaggio).

Arrivato al dunque, però, e benché avvezzo a puttane e sgualdrine, Conan non può non notare la potenza di Layla, una grossa cessa pervenuta alla corte di Thulsa Doom, il mago cattivo, ma in realtà un serpentone quasi immortale.

Intenta languidamente a gozzovigliare, attira l'attenzione del cimmero.

Conan desidera immediatamente farla sua.
Per un lungo attimo, tutta la missione si annienta, il barbaro non saprebbe dire perché si trovi là.

All'improvviso la vendetta non gli interessa più. E anche il Re può fottersi.

Layla è troppo importante per essere lasciata al serpente.

Conan si scuote dall'incantesimo e comincia a mulinare la spada, irrompendo come il tuono sul suo tavolo.

«Finiremo il banchetto insieme.

Ora metti in spalla la puttanella», le ordina Conan, dopo aver tramortito la figlia del Re, drogata fraciga.

Sarebbe impossibile per chiunque uscire di lì, specie con due donne al seguito.

Ma la possente figura dell'audace cimmero non conosce ostacoli.

E infine, Conan taglia la testa al serpente!

Benché distratto, ha conseguito la vendetta e reso felice un Re.

Per il momento si accontenta di fare il Puttaniere, ma verrà presto il giorno in cui sarà Usurpatore di corone, regali doni per la sua Puttana e Regina, Layla!

Ma terrà per sé stesso solo il piacere di schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono, ascoltare il pianto delle loro femmine e dei loro serpentelli.

Lui ha una donna.

E se la tiene.

LA TRANVATA

di Salvatore Conte (2024)

«NO!».

POW! POW!

«Non c'era bisogno...».

Anna sbarra gli occhi dallo shock; ma un attimo dopo si allaccia le mani sul petto e preme sui buchi.

È il gesto della disperazione.

E si lascia scivolare di schiena lungo la parete, scomparendo dietro il sudicio divano dell'albergo abbandonato.

È stata sfondata da cinque colpi; lei vuole capire se muore secca, senza poter fare niente, o se le rimane qualche minuto per fare la puttana; sempre che non decidano di metterle altro piombo in corpo.

Ma pare di no. Si sono sfogati abbastanza.

Un po' d'aria arriva, ha tempo per stirarsi contro la scarpa più vicina... e leccarla... senza considerare che con il sangue alla bocca la sporca e basta.

«Disgraziata!».

Bob la tira via, spazientito.

Anna si è umiliata per lanciare un messaggio, che ora i tre che l'hanno sfondata stanno per analizzare.

Non ci sono altri superstiti, dopo il cruento regolamento di conti.

«Vuole salvarsi, è il suo modo per farcelo sapere».

«E come? È imbottita di piombo!».

«Non ha importanza, nella sua testa Anna vuole salvarsi.

Forse lo fa per i figli; ne ha fatti un paio e so che c'è molto attaccata; ma non mi ricordo i nomi...».

«Claudine e Little John».

«Il marito che fine ha fatto?».

«Morto ammazzato».

«Come lei...», sottolinea macabro Bob.

«Glielo chiedo?».

«Per me fai pure...».

«John la rivolta supina; Anna ha ancora la forza di tenersi le mani allacciate contro il petto.

La bocca è spalancata, gli occhi sbarrati dalla paura.

«Anna... vuoi lasciare delle parole ai tuoi figli?».

«Sì... ho fatto tutto per loro... cough... ho ucciso per loro... oh... e sono morta per loro... oh-ohh...».

Anna Frezzante si immedesima nel ruolo della madre premurosa e sfortunata, sperando di ricavarci qualcosa.

«Nella borsa abbiamo un asciugamano... prendilo...».

John le separa le braccia e lo usa per tamponarle il petto, sfondato da cinque colpi di grosso calibro che non le lasciano scampo.

Però qualcosa ha ottenuto.

«Sei gentile... ohh...».

«Sì, ma non ti illudere Anna, hai avuto il fatto tuo, lo sai...».

«Lo so...», la donna conferma.

«Ci penso io ad avvisarli».

Annuisce debolmente, con la paura di essere sorpresa dalla fine.

«Ne ho per poco... vero...? Ohh...».

«Sei tutta sfondata... hai preso una bella tranvata...».

«Niente ambulanza... per la vecchia Anna...? Ohh-ohhh... ho paura...».

«Temo che non si possa fare...

Ma tanto è difficile che arrivi in ospedale».

Però John continua a tamponarla con l'asciugamano.

«Se non crepo... mi sistemi tu...?».

Anna mette la mani avanti, ha paura di ricevere il colpo di grazia.

«Dove...? In bocca...? Cough... sono una madre... ho due figli... ohh...».

Rimane sul tema, sfrutta l'argomento.

«Voglio rivederli... ohh... lo so che ti piaccio... oh-ohh...

Fai fuori gli altri due... e mettiamoci insieme... cough...

Se mi fai intubare... mi salvo...».

Anna è ancora lucida, gli ha scodellato il suo piano.

«Ti metto sul divano...».

«No... non mi muovere... ohh... ho tanta paura...».

Un attimo dopo cambia colore e rattrappisce.

«John... John...!», la voce è disperata.

«Che c'è?», lui fa finta di non capire.

«Ohh-ohhh... oohhh-hh...».

«Tira i freni, Anna! Pensa a Claudine...».

«È passato... c'è mancato poco...».

«Cosa hai sentito?».

«Qualcosa... che... mi saliva in bocca... ohh... ma poi... è tornata giù...

Devi decidere... John... se torna su... oohhh... io... ci lascio la pelle...».

«Sei più attaccata a Claudine o a Little John?».

«A Little John... prenderà un colpo... quando saprà... che la madre... è rimasta uccisa... ohh... Claudine... è una fregna moscia... mi succhia... un mucchio di soldi... oohhh...».

«Sei fortunata, il sangue si è quasi fermato».

«È la paura di morire... John... ho i freni tirati... hh...».

Anna si porta la mano al collo.

«Che hai?».

«Mi manca l'aria... ohh...».

«Hai i polmoni zuppi di sangue, Anna.

Risparmia il fiato, ne avrai bisogno».

«Non voglio morire così... oohhh... sparami un colpo in pancia...».

«Pensa a Little John, Anna... non avrà più una madre...

Bob... gli hai detto che il gelato si sta sciogliendo?».

«C'ha parlato Tom».

«È qui».

«Sei disposta a passare con noi, Anna?».

«Sì...», ha intuito la domanda.

La risposta è facile.

«Vedi allora di non scioglierti durante il viaggio».

Il furgone-ambulanza è quello dei gelati; la direzione è quella del Pronto Soccorso Jackson, gestito dall'omonimo Dottore, imparziale tra guardie e ladri, ma molto costoso.

John sale con lei, Tom e Bob si rimettono in macchina; gli altri rimangono nell'hotel, a dormire per sempre.

LA GELATAIA

di Salvatore Conte (2024)

Anna, la Gelataia, oltre ai gelati, spaccia droga a domicilio, e fa la mignotta nel suo furgone.
Ci sono spifferi sul suo conto, però la donna unge l'Ispettore di zona, o per meglio dire lui unge lei, come contropartita.

Ad Anna piace il grano facile e si è attrezzata di conseguenza: le bustine di coca le inserisce nei coni; per chi invece punta al bersaglio grosso, e cioè a lei, c'è spazio in abbondanza nel furgone, i bottoni del camicione si allentano e tutto viene da sé.

Perfino la rivendita di gelati frutta parecchio, lei è brava anche come gelataia.

Insomma, non è certo una brava donna, ma di sicuro una gran mignotta.

«Quella stronza mi ossessiona.

Finisce che la spanzo come un pesce fracigo».

         

«Prima o poi finisce ammazzata, su questo non ci sono dubbi», risponde l'amico. «Tanto vale che lo fai tu per davvero».

«C'ho pensato... ma poi? Come mi diverto?

Tu che arma mi consigli?».

«Qualcosa di originale... un bel cacciavite, per esempio... oppure un male e peggio...».

«Dal male o dal peggio?».

«Non so quale sia il male e il peggio, ma se dopo il primo colpo si lamenta, tu le dici che il secondo sarà peggio».

«E se non avessi il coraggio di finirla?».

«Non fa niente, tanto quella neanche ci va in ospedale, è allergica alla Polizia.

Se sopravvive, nemmeno ti denuncia».

«Detta così, sembra facile.

Non ha una pistola?».

«Certo che ce l'ha, ma tu la prenderai di sorpresa; non sospetterà nulla fino all'ultimo: mica può farti un pompino puntandoti contro la rivoltella...!

Sei tu che la tiri fuori!».

«Sì, mi faccio fare un pompino, e in quel mentre tiro fuori dalla tasca il coltello e la colpisco alla schiena...

No.

Se ha il pisello in bocca, rischio di farmi male.

Quando ha finito, la colpisco in pancia.

E me la voglio guardare mentre crepa.

Deciso».

«Robby!

Hanno sparato alla gelataia!».

«Come sarebbe? Chi?».

«Un vecchio; credo si tratti di una vendetta».

«È morta?!».

«Non lo so, calmati.

Ha preso due colpi alla schiena ed è ripartita a razzo con il suo furgone».

«Dobbiamo trovarla, quella stupida non andrà in ospedale».

«D'accordo, prendiamo la mia moto».

«Cosa pensi abbia combinato?».

«Anna è una balorda, lo sappiamo. Fra le sue tante porcate, segnala i bambini disagiati alle reti di pedofili, e qualcuno se lo porta via lei stessa.

Credo quel vecchio fosse il nonno di uno di loro».

«Ho capito, lo sappiamo che è una stronza. Ma due pallottole nella schiena non sono state un bel gesto».

     

     

Dopo la curva lo avvistano.

Anna sta letteralmente naufragando.

Deve aver perso il controllo del mezzo ed è finita in acqua.

Il mare è piuttosto agitato, in breve tempo sta portando al largo il furgone.

Robby e Freddy prendono in prestito una barchetta a remi, la mettono in acqua e vanno al salvataggio della gelataia.

La tirano fuori poco prima che il furgone coli a picco.

«Chi siete... cough... la Guardia Costiera...», sussurra la donna.

«Niente paura, Anna; solo due semplici teppisti.

Tu non vuoi andare all'ospedale, vero?».

«No... i medici... cough-cough... mi fanno paura...».

Un po' l'acqua, un po' il sangue nei polmoni bucati, la gelataia rischia di liquefarsi come un cornetto al sole.

«Allora vieni a stare da noi e ci insegni il mestiere.

Abbiamo un amico che studia medicina, ma non è un medico.

Ti troverai bene.

Adesso, però, mentre lo aspettiamo, ti lecchi questo cono... caldo-caldo...».

LOW FUEL

di Salvatore Conte (2024)

Sfrecciava per la città a oltre 150 km/h.

La Polizia gli stava alle costole.

Nonostante tutto, si accese una sigaretta e lanciò un'occhiata tranquillizzante alla pistola lasciata a portata di mano sul sedile del passeggero.

Giurò a sé stessa che non l'avrebbero mai presa viva.

Ma se fosse arrivato il suo momento, sarebbe arrivato anche per parecchi poliziotti.

Anna era una pericolosa delinquente, ma anche una madre scrupolosa. Una grossa parte dei soldi che spremeva dal suo giro di droga e prostituzione finiva ai due figli. Aveva un debole per Little John, un po' tonto ma dai modi carini come i suoi; Claudine invece aveva ereditato la cattiveria e la sciatteria del padre. Se Anna fosse rimasta uccisa, alla figlia non sarebbe importato niente.

«Maledizione!».

Anna si accorge di essere in riserva, l'auto che ha rubato per effettuare lo scambio droga-dollari aveva poca benzina e lei non pensava sarebbero insorte complicazioni.

È costretta a rallentare e la Polizia si avvicina sempre di più.

In quel momento non riesce a pensare che ai suoi figli.

Anna era entrata nel giro della grossa delinquenza. Molto tempo prima aveva accettato l'idea di finire morta ammazzata, prima o poi.

Però sapeva che nessun altro si sarebbe preso cura dei suoi figli; non certo il padre, debosciato e puttaniere.

Doveva cercare di lasciare a loro il denaro; non tanto a Claudine, che l'avrebbe speso in un attimo, in cose inutili; Little John, se non altro, avrebbe potuto aprire una piccola attività; non era un fulmine di intelligenza, ma aveva un buon carattere e le era molto affezionato.

Sarebbe crepata con meno rimpianti, se i suoi soldi fossero finiti nelle mani di Little John.

Anna si spreme le zinne per trovare una soluzione e un cartellone pubblicitario le viene in soccorso.

Abbandonerà la sua auto e si infilerà a caso dentro una vettura con un solo spettatore di sesso maschile.

Con la camicia sbottonata fino allo stomaco, nessuno avrà il coraggio di mandarla via.

Forse la Polizia, per non creare il panico, eviterà di proseguire la caccia; in ogni caso, potrà riprendere la fuga nella nuova auto; ma soprattutto lascerà un po' di denaro nell'auto: è la stecca per i poliziotti; capiranno il messaggio e si comporteranno di conseguenza: la fuggitiva si è dileguata con una seconda auto, niente di valore a bordo.

Tutto era andato liscio, nessuna perquisizione all'interno del Drive-In.

Anna poteva adesso raggiungere i figli e lasciare a loro i soldi. Vivevano da soli, in un quartiere tranquillo; nessuno li avrebbe disturbati.

Consegnò la borsa a Little John, lo baciò e si voltò per andarsene.

All'improvviso risuonò un sibilo metallico e Anna sentì un proiettile lacerarle la schiena.

Si voltò per affrontare il suo aggressore, quando vide sua figlia Claudine, lì in piedi, con una pistola in mano, il silenziatore innestato e un alone di fumo nell'aria.

«Vai da qualche parte, mammina?», sogghignò Claudine, prima di iniziare a ridere.

Anna non avrebbe mai pensato che la figlia potesse arrivare fino a questo punto.

Forse c'era lo zampino del padre in tutto questo, forse l'invidia per Little John, più considerato di lei.

Anna però era ancora potentissima, e non ci stava a crepare.

«Vuoi sparare ancora?».

«Perché no? Sei in grado di impedirmelo, mamma...?».

«Forse io no... ma tuo fratello sì...».

Anna guardò alle spalle della figlia, adombrando la presenza di Little John.

«Non ci casco, mammina... tuo figlio è uno stupido, mentre io ho preso da papà...

Ciao, mammina...», Claudine tese il braccio in avanti, pronta a finire la madre.

«NO!», Anna urlò continuando a guardare alle spalle della figlia.

POW

L'espressione dubbiosa che si era accesa negli occhi di Claudine si tramutò in dolorosa certezza, allorché il proiettile sparato da Little John la raggiunse alla schiena, pizzicando il cuore.

Anna aveva urlato al figlio, non a lei.

Adesso, anche se era ancora viva, era andato tutto a puttane.

Doveva decidere in fretta.

«Prendi i soldi e andiamocene... sei diventato grande... Little John...».

Non c'era altra strada che proseguire la fuga.

Avrebbe raggiunto uno dei suoi covi segreti e il figlio sarebbe rimasto con lei.

Doveva cambiare auto.

Si fermò in un parcheggio e aprì una vecchia Bmw rossa.

Lungo la strada cominciò a tossire convulsamente, il polmone perforato si stava riempiendo di sangue. Non riusciva più a guidare e Little John non aveva ancora la patente.

La Bmw aveva il pieno, lei era in riserva.

Prima di perdere il controllo del mezzo, entrò in una stradina laterale che si snodava in aperta campagna.

Anna vide il bordo della scarpata solo all'ultimo.

Riuscì a frenare, ma rimase pericolosamente in bilico sullo sprofondo.

Innestò la retromarcia, e grazie alla trazione posteriore della Bmw, ebbe successo nel recuperare la carreggiata.

«Quella stronza... di tua sorella... cough... ha combinato... un casino... cough-cough...».

«Stai tranquilla, mamma, ci sono io...».

«Chiama Sal Barone... cough...», abbassò gli occhi sul taschino della camicia, dove sporgeva la sagoma di un cellulare. «Svelto...».

«Anna... sei tu?!».

«Sono ferita... cough-cough... vieni subito... da solo... cough...

Mandagli... la posizione... cough...».

«Ma...!? Vengo subito... ti richiamo fra poco...».

Con l'aiuto di Sal Barone, Anna raggiunse il covo.

Però si stava aggravando.

«Ho sempre... l'altro polmone... cough-cough... cough... la ferita... non è mortale...».

«Sei troppo sicura di te, Anna... ho paura».

«Non rimango uccisa... devo... seguire... Little John... cough-cough...».

Ma quando le mancò il respiro, cominciò ad avere paura anche lei.

«Faccio venire un dottore!», esclamò terrorizzato Sal Barone.

«Sì... ho bisogno... hihh... di benzina...», sussurrò a fatica la potente donna, ormai a secco...