Grosso problema, brutta soluzione La segretaria fa tardi in ufficio Zothique: Bochra è rimasta uccisa di Salvatore Conte (2024) Finisce quasi sempre così tra banditi. Si ammazzano fra loro. La banda del Puerco si era riunita per dividere. Ma qualcuno era stato seguito. Fu così che all'appuntamento si presentò pure la banda della potente Anna Frazer!
Sicura del fatto suo, era solita pavoneggiarsi, ostentando il suo indubbio fascino. Il sorriso enigmatico, l'aria da bella signora e i suoi modi talvolta gentili occultavano abilmente l'anima nera di Anna. La donna era avida e spietata, e uccideva con grande facilità. Nessuno osava impensierirla, almeno in Messico, perché qui le belle donne sono molto rispettate. Si fidava solo del suo braccio destro, la mezzosangue Najada.
BANG-BANG x 100. Una grossa grandinata di piombo sulla Sierra Madre. «Cabrones! Vi avevo detto di lasciarne qualcuno vivo! Adesso chi ci dirà dove sono i dollari?». «Anna... questa è ancora viva...», gli occhi della Frazer si illuminarono. «Manola! Mi sembrava che fossi tu! Come stai, bella? Tornerai a posto», la conosceva.
Era scivolata lungo la parete esterna della casupola bianca, finendo seduta a terra. La pallottola, anche se si intuiva appena, l’aveva praticamente ammazzata. Ce l'aveva sullo stomaco. Una sola, in un corpo tanto grande, ma fatale. La testa ciondolava sul petto, con gli occhi storditi e uno sbrodolio sanguinolento dalla bocca; eppure il buco mortale non si vedeva neppure. La linea del petto - la spaccatura - era quasi netta, pulita, dritta: i seni spingevano l'uno sull'altro; ma in mezzo si intravedeva una piccola bruciacchiatura. Si poteva soltanto intuire che una pallottola si fosse infilata là dentro, tra i giganteschi seni, nella scollatura della provocante camicetta bianca tesa fino allo spasimo; e che l'avesse raggiunta in pieno stomaco, tramortendola come se avesse ricevuto un cazzotto.
Manola Gutierrez era rimasta inchiodata alla parete. Nel pueblo abbandonato rimaneva una vecchia branda.
Gli uomini di Anna provarono a tirarle fuori qualcosa, prima che fosse troppo
tardi. «Toglietevi di mezzo. Con una bella ragazza ci vuole gentilezza... Non è vero, Manola?». La Frazer le riportò le braccia al corpo. «Tu adesso mi dici dov'è il malloppo e io faccio chiamare il vecchio del villaggio. Sono bravi, lo sai? Fanno miracoli». Manola non abboccò, se volevano sapere qualcosa, dovevano aiutarla. «Spargete voce, andate a prenderlo: c'è sempre un vecchio in questi villaggi che cura i peones. Il pueblo non è del tutto disabitato. Tu rimani con me...», aggiunse Anna, poco dopo, a tu per tu con Najada. Si toccarono le zinne. Tra le due c'era un rapporto morboso, insieme tenevano testa alla varia feccia che si alternava nella banda. Gli uomini li mandavano a morire, loro si proteggevano a vicenda. Gli uomini di Anna, gli unici due rimasti, ritornarono presto. Il vecchio c'era davvero. Visibilmente intimorito, cominciò a medicarla con i suoi unguenti.
«Manola… io sono stata di parola... presto ti sentirai meglio...»,
la morbida voce di Anna era insinuante, il pavone allargava la coda. «Ma tu, intanto, devi aiutarci».
«Devi dirmi dove sono i soldi. Divideremo in
cinque parti, fra tutti quelli che sono rimasti», cominciava a irrigidirsi, a perdere la
pazienza. «Avanti… parla, Manola!». Gli occhi della Frazer lampeggiarono. Aveva avuto un'idea. Tirò il rustico guaritore in disparte e gli puntò la colt alla gola. «Ascoltami bene, vecchio. Devi dargli una droga che le sciolga la lingua, claro? So che le conosci tutte. Voglio la migliore». «Claro, signora». Il vecchio si mise a rovistare nella sua borsa.
«Mettetevi
il cappuccio... e accendete delle candele... spalmatevi del sangue addosso...
creeremo una scena infernale... penserà di essere
già morta e di trovarsi di fronte all’ultimo giudizio...», sussurrò ai suoi. Pablo e Juanito si avvicinarono al letto con fare tronfio: impersonavano gli estremi giudici. «Manola Gutierrez! Confessa i tuoi peccati! E restituisci i soldi ai loro proprietari! Dove li hai nascosti?». «Manola Gutierrez! Io ti accuso di aver rubato e ucciso! Ma tu puoi salvarti dall'inferno, se ti liberi dei soldi rubati: ormai a te non servono più! Avanti, parla!», Najada aveva concluso il suo intervento. Per ora Anna rimaneva in disparte. «Acqua...», rispose Manola. «Qui l'acqua non ti serve! Sei all'inferno, e ci rimarrai se non parli!». «Acqua...», rispose ancora la ragazza, non senza sforzo.
Ma forse stava aggiungendo qualcosa...
BANG Un attimo dopo si voltò verso la Frazer e la fissò dura. «NO! Aspetta!», gridò la donna. Il vecchio aspettò un cenno di Manola. BANG Un colpo nello stomaco della Frazer! Anna strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca. Non aveva mai incassato piombo! Sembrò crollare a terra, ma cercò di guadagnare la porta... ebbe uno slancio... BANG Il vecchio era astuto e non si fece sorprendere. Le piazzò una pallottola nella schiena, all'altezza dei reni! Sullo slancio, Anna riuscì comunque a varcare la porta e a girare l'angolo. Il vecchio rinunciò a inseguirla. BANG BANG Altri colpi esplosero dall'interno dell'abitazione. La Frazer si schiacciò contro la parete esterna della fatiscente casupola, cercando di rimanere in piedi; poi si staccò dalla parere, spingendosi verso il piazzale antistante. Barcollava, ingobbita in avanti, con entrambe le mani pressate sullo stomaco, guardandosi intorno con occhi allucinati. Inciampò in un cadavere e franò a terra, dove incrociò lo sguardo vitreo del Puerco. Era inciampata proprio nel suo cadavere. Sembrava riderle in faccia. Attanagliata dalla paura, estrasse la colt.
BANG Poi cominciò a strisciare verso l'abbeveratoio degli asini: aveva una sete del diavolo e non si sarebbe fatta scrupoli, non ne aveva mai avuti.
Spingeva sulle gambe, con la paura di non arrivare all'acqua. Il panico le bloccava il respiro. Dovette fermarsi. Anna era disperata, da quel posto non se ne sarebbe più andata. Riprese a spingere e nell'aggrapparsi al muretto per tirarsi su e bere, accadde una una cosa strana: una pietra si spostò e rivelò un buco. Anna ci infilò la mano dentro: in un altro momento sarebbe stata molto più prudente. Un sorriso illuminò il suo volto funereo... E per un momento si dimenticò perfino di bere. Poi una fitta di dolore la riportò alla realtà. Resa folle e frenetica dalla morte incombente, si immerse nella vasca con tutto il corpo, gettando dentro le banconote del malloppo, a mo' di bagno-schiuma. Un bagno di lusso per una donna di lusso, ma colorato di rosso, perché l'acqua stava bevendo il suo sangue. Con la mente annebbiata, Anna non sapeva cosa fare. Era in pena per Najada, che aveva visto cadere sotto i suoi occhi; e nessuno dei peones aveva il coraggio di intervenire. Nessuno sembrava interessato alla sua coda. Il panico la soffocava, non voleva morire come una stupida, lei non era una donna comune. Doveva uscire da quella vasca, o sarebbe stata la sua tomba. In quel mentre spuntò la testa di un cavallo. D'altronde tutte le creature - pistolere, asini e cavalli che siano - vanno all'acqua, prima o poi. Ma non era un cavallo qualsiasi. Anna alzò leggermente lo sguardo. «Emiliano... capiti a proposito...». La tirò fuori dall'acqua, mettendola seduta contro una parete. «Mi spieghi perché ti ritrovo con un buco nello stomaco, Anna?». «Ce l'ho anche dietro... cough...». Emiliano le rivolse un'occhiata interrogativa e subito dopo le passò un braccio dietro la schiena. «Sono sbalordito: ti sei giocata la pelle...». «Non fare il drammatico... cough... con la vecchia Anna... non si può mai dire...». «Sei stata una stupida... io, come vedi, arrivo quando i dollari sono sul piatto», mentre parlava, le manteneva una mano sullo stomaco, per incoraggiarla con un gesto simbolico. Lei ne approfittò subito. Si abbandonò contro di lui e gli portò la mano sulle zinne. «Portami con te... ho finito gli uomini... cough... non mi lascio andare... non ti darò problemi... cough... lo sai che una come me... non si fa fregare... cough... ci siamo già scopati... lo rifaremo...». La coda del pavone era aperta.
«E quella Najada, che fine ha fatto?». «Non lo so... vai a vedere... è là dentro... cough...». «E va bene, Anna... ma al primo lamento ti scarico a terra». «Non te ne pentirai...». Emiliano raccolse i soldi, anche i dollari bagnati e sporchi di sangue. Mise la donna su un cavallo e la legò stretta. Poi andò a scoprire la sorte di Najada. I cavalli divennero tre. Uscì dal pueblo trionfante, con i soldi e due belle carogne al traino. «Emiliano... lo so... ho promesso... cough...», Anna lo chiamava da dietro. «Ma tu non vuoi... cough... che io... ci lasci la pelle...». «Arriviamo dietro quel costone, poi ti do un'occhiata». «Brucia da impazzire...», Emiliano l'ha distesa all'ombra, con una coperta sotto la testa. «Stai calma... devi rimanere lucida... E se devi crepare, fallo con dignità... non sei una donna qualunque. Guarda Najada, com'è tranquilla...». Lui cercava di non farsi coinvolgere, lei aveva bisogno di riaprire la coda. «Te lo ricordi il camicione... cough... che portavo a Tucson...». «Certo... sbottonato fino allo stomaco... sei sempre stata una puttana». «Le nostre scopate... furono speciali... Emiliano... cough... Noi siamo fatti... per stare insieme...». Anna aveva il respiro corto e le vennero brutti pensieri. «Quando perderò conoscenza... cosa farai...». L'ansia della donna metteva la frenesia addosso pure a lui. Si avvicinò. «Anna... non devi lasciarti andare... noi ci mettiamo insieme... andrai in giro con il camicione sbottonato come a Tucson...». Le teneva la mano fissa sullo stomaco, ma lei si stava aggravando. In certi momenti non sembrava nemmeno essere lì... «Sto morendo... vero... cough... non si può fare niente...». «Devi farti forza, Anna... la cosa può farsi rapida, adesso», come avesse avuto un presentimento. «Emiliano...!». Anna lo chiamò spaventata, con la bocca allargata e un'espressione incredula stampata sul volto scolorito. Poi il capo le cadde all'indietro e gorgogliò dei rantoli. Lui aveva capito, non la chiamò nemmeno. La coda del pavone era definitivamente chiusa. Ma rimaneva quella di Najada. di Salvatore Conte (2019) Tyburn, Inghilterra, 1° luglio 1681.
«A
morte! A morte!».
«Come dice, signore?», riparlò per suo volere. Tyburn, Inghilterra, 21 marzo 1699.
Le aveva fatto tante promesse, le aveva
promesso onori e ricchezze e un futuro da regina. E l'aveva impressionata con
prodigi strabilianti.
Quella sera, alle 11, appena chiusa la
locanda, decise di affrontarlo.
Lui capì di aver perso la sua influenza su di lei, ma non se ne rammaricò più di
tanto: stava marcendo come la sua locanda, il tempo l’avrebbe superata in fretta
e ormai somigliava più a una vacca che a una donna; bella, burrosa e bovina, ma
destinata a passare senza lasciare tracce. Quella sera era più zozza del solito: indossava una camicetta bianca con i bottoni allentati fino all'ombelico; le consumate tette da vacca cinquantenne stavano per scoppiarle fuori; faceva schifo.
Gli animi, però, erano accesi, troppo accesi. «È stato Lui... mi ha fatto fuori...», mormorò la locandiera, senza farsi sentire.
Aveva finalmente aperto gli
occhi.
«Whisky e bende, presto!», esclamò lo straniero.
Gli fu agitato contro il coltellaccio che era riuscito
a evitare, ancora impregnato del sangue di Chana. di Salvatore Conte (2024) Durante il viaggio d’andata erano sembrati quattro amici inseparabili. Ma adesso che l’oro luccicava davanti a loro, nessun uomo sano di mente avrebbe giurato sulla loro amicizia. Per arrivarci avevano torturato a sangue un povero vecchio, colpevole soltanto di conoscere l’ubicazione di uno straordinario tesoro, sepolto da secoli nella giungla amazzonica.
Una tipica situazione da film d’avventura, che per loro quattro era divenuta realtà. «Di lui che ne facciamo?», domandò Bill, alludendo al vecchio. BANG BANG «Ecco cosa…», Fred non perdeva tempo. L’oro c’era e la strada ormai la conoscevano: il vecchio non serviva più. Si avventò sul tesoro e lo divise in quattro parti. «Buttate il ciarpame e riempitevi gli zaini con questo: siamo ricchi!». Fred - per certi versi - era il capo. Si avviarono sulla strada del ritorno, ma il buio li sorprese quando la piroga era ancora lontana. Montarono il campo e accesero un fuoco. Intorno alle fiamme crepitanti la giungla sembrava mutare forma, proiettando ombre quasi assurde, incoerenti, viscide, come a voler minacciare gli indesiderati ospiti. Nonostante la piena riuscita dell’impresa, sull’accampamento incombeva un’atmosfera cupa. Un uccello notturno emanò il suo lugubre richiamo. «Maledetta...». «Che ti prende? È solo una civetta, Janet...». «Già... forse...». «Fosse pure una pantera, o un qualsiasi guastafeste... abbiamo sempre queste...», Fred allungò la mano sulla mitraglietta. «E tu, quelle...», alludendo alle zinne sbottonate della donna. In risposta, Janet si umettò il labbro.
Oscura cameriera d'albergo, ma in realtà esperta contrabbandiera, la donna girava con il suo camicione sbottonato aggressivamente fino allo stomaco, anche in piena giungla amazzonica. E nessuno poteva resisterle. Considerata invincibile, tranquillizzava tutti con la sua mera presenza; era un punto di riferimento. D'altra parte, avida e torbida di cervello, Janet Frexhen costituiva una pericolosa incognita. Lo sapevano bene tutti e tre i suoi compagni d’avventura. L’unica differenza tra loro stava nel grado di rischio che erano disposti ad accettare pur di proteggerla e scoparsela: da qualche graffio alla pelle. Non ci furono inconvenienti fino all’alba e il quartetto poté rimettersi in marcia. Lo guidava Fred Wallace, il Duro, veterano di Afghanistan e Siria, seguito da Bill Collins, l’Esperto, trafficante d’armi; in terza posizione procedeva Janet Frexhen, la Sbottonata, specializzata in truffe, targeting sessuale e caccia ai tesori; era avida, ma anche attratta dall'ignoto e dall'impresa; per questo c'era ricascata, dopo la brutta esperienza di qualche anno prima: stavolta però s'era tinta i capelli di verde-giungla; chiudeva la fila il Dottor Pablo Gomez, il Dottore, archeologo riconvertito a succube tirapiedi della Frexhen, dopo la predetta avventura in cui si erano drammaticamente conosciuti: all’ultimo posto del gruppetto, poteva godersi in esclusiva il grosso culo da da vacca che la zozza Janet trascinava per la giungla amazzonica con malcelato orgoglio ed esperto incedere. ZIF «Fred, hai sentito?», domandò Bill. Dopo aver alzato gli occhi sul compagno barcollante, non ebbe più bisogno di una risposta: una freccia gli aveva trapassato la gola! RAT-RAT-RAT Collins fece partire una raffica alla cieca. «Che cazzo succede?», era Janet. «Sparate!», ordinò Bill. RAT-RAT-RAT Anche la mitraglietta della Frexhen sputò piombo nel mucchio. Gomez preferì schiacciarsi contro un albero. «Ma che cazzo significa, Bill?», ruggì la donna. «Hanno fottuto Fred: ecco che cazzo significa!». L’ex militare rantolava a terra. Era una freccia indios, non c’erano molti dubbi. Soltanto quei selvaggi potevano utilizzare armi tanto primitive. «Che facciamo?», domandò la Sbottonata, con la fronte imperlata di sudore. «Se ci fermiamo, siamo perduti: mandiamo avanti Pablo a mitra spianato e noi lo seguiamo, okay?», a bassa voce. «E perché dovrebbe accettare?». «Perché glielo chiederai tu…». «E lo zaino di Fred?». «Torneremo a prenderlo in seguito, le mani ci servono per sparare». Janet si rassegnò a malincuore. «Pablo… Fred è andato; se vai avanti tu, ti copro io: così correrò meno rischi...». «Okay. Okay». Bill aveva ragione: Gomez si lanciò in avanti, vomitando piombo all’impazzata. Collins e la Frexhen lo seguivano appaiati, tenendosi il più possibile bassi. ZIF Bill lanciò un’imprecazione. Una freccia gli aveva trapassato la gamba. Doveva fermarsi. «Aiutami, Janet…!», ma la Frexhen non aveva nemmeno rallentato la corsa, rimanendo alle costole di Pablo. Si limitò a guardarlo di sfuggita. «Mi dispiace, Bill, ma non mi servi più…», sussurrò a sé stessa, trattenendo a stento una risata. La Frexhen, infatti, non aveva alcuna intenzione di lasciarci la pelle e per riuscire nel suo intento doveva rimanere agganciata al suo uomo, perché stavano insieme dalla famosa avventura nella foresta di mogano; anche se lo trattava come un servo, era il suo uomo e avrebbe cercato di riportarla alla piroga. Tuttavia Collins non la prese bene. «Maledetta… anche tu… mi seguirai presto…». Fu anche tentato di spararle addosso, ma aveva necessità di risparmiare piombo. Mentre correva dietro Pablo, Janet sentì un brivido gelido lungo la schiena. Ma lo scaltro mignottone non se ne preoccupò più di tanto: aveva l’oro sulle spalle, era quello che contava. Mitraglietta sottobraccio, era decisa a farsi strada a qualunque costo, anche a costo di spianare l'intera giungla. Fu Gomez a rendersi conto che il compagno era rimasto indietro: «Dove cazzo è Bill?». «Si è fatto fregare… ma non possiamo fermarci, lo capisci, vero?». «Un uomo come lui ci serve, abbiamo già perso Fred. Stenditi a terra e aspettami qui». «Tu sei pazzo, Pablo!». «Non muoverti da lì, Janet…!», era già partito. Succube sì, ma fino a un certo punto. Per un attimo fu indecisa sul da farsi. Pablo le offriva una buona copertura, ma al tempo stesso la stava rallentando. «Fanculo, idiota…», aveva deciso; e dopo uno sguardo di sfida, riprese a correre lungo lo stretto sentiero che conduceva alla piroga, rimasta ad aspettarli sulle sponde del fiume. Il tentativo di soccorrere il compagno fu vano: Collins era inchiodato al tronco di un albero con una lancia nel petto. Non c’era più nulla da fare. Gomez lasciò perdere sia lo zaino con l’oro, sia la uzi dell’Esperto: l’oro che aveva era già abbastanza pesante, e più che il piombo, ormai, soltanto la fortuna poteva salvarli. Molto più interessante sarebbe stato il suo telefono satellitare, ancora stretto nella mano, ma Bill aveva detto che in quella zona non si riusciva a triangolare il segnale. Collins doveva aver provato per l'ultima volta... Il Dottore mollò anche la sua mitraglietta e tornò a correre verso la piroga, sperando di ritrovare subito Janet. «Dannata stupida…», invece si rese conto che aveva proseguito da sola, e che se non si fosse sbrigato a raggiungerla, l’avrebbe piantato lì. RAT-RAT-RAT Era la sua mitraglietta, non aveva molto vantaggio. RAT-RAT-RAT La Frexhen correva e sparava, sparava e correva. Sparare a casaccio non serviva a nulla, ma la faceva sentire più forte. Ormai non doveva mancare molto. Le zinne da puttana ballonzolavano su e giù, a stento trattenute dal camicione sbottonato. Il cinico puttanone sbucò infine, sempre più sudato, in una piccola radura. Se la ricordava. Era quasi arrivata. Ormai si sentiva al sicuro. Da un po', intorno a lei, non si udivano tramestii. Forse era uscita dal territorio di quei selvaggi. Un guizzo di soddisfazione balenò nella giungla, lanciato dai suoi letali occhi verdi. Appena un secondo più tardi, però, quello sguardo compiaciuto si riempì di sciagurata sorpresa… La lancia, dalla devastante punta di ossidiana, si piantò nella sua pancia molle. Era spuntata come dal nulla. La sorpresa fu totale, il senso di frustrazione enorme. «Maledetti!». RAT-RAT-RAT Ma non un urlo di dolore uscì dalle sue labbra. Solo un’imprecazione, che si propagò rabbiosa nella giungla, accompagnata da una raffica impazzita. Leggermente ingobbita in avanti, a denti digrignati - con una mano sull’asta della lancia e l’altra sulla uzi - continuò a sparare a ventaglio, in tutte le direzioni. E intanto indietreggiava verso un grosso tronco d'albero, che avrebbe potuto offrirle un ultimo riparo. Più d’una furono le grida che si levarono dal folto della giungla. Qualcuno l'aveva beccato, stavolta. Si erano avvicinati per vederla morire, ma l'avrebbero preceduta all'inferno. Quanti altri ce n’erano, però, di quei selvaggi, in quel verde opprimente? Janet non lo sapeva, ma avrebbe voluto ucciderli tutti, prima di crepare. RAT-RAT-RAT Sembrava il Generale Custer a Little Bighorn.
Senza scampo, come lui. Ma decisa a sfruttare qualche vantaggio. Si accorse di essere ancora viva per un semplice colpo di fortuna: la punta della lancia l'aveva colpita in mezzo alla fibbia metallica della cintura dei pantaloni e questa ne aveva smorzato l'impatto; sebbene dolorosamente avvertita nella carne, non l'aveva uccisa sul colpo. Forse la cosa si poteva ancora gestire, o perlomeno portare per le lunghe. Intanto, raggiunto il grosso tronco, scivolò sul fianco, rannicchiandosi il più possibile. Doveva aspettare il ritorno di Bill e Pablo, e con loro organizzare una sortita per raggiungere la piroga. ZIF-ZIF STONK Un paio di frecce e una lancia si infissero nel tronco dietro cui si era riparata. In attesa della Cavalleria, riusciva in qualche modo a resistere. Perché Pablo e Bill, se non erano crepati, sarebbero tornati da lei. L'avido troione intendeva proseguire a ogni costo, senza rinunciare all’oro, ma si convinse di non poterlo fare con una lancia conficcata nella pancia. Doveva essere rapida, o l’avrebbero accerchiata e annientata. Gli indios non le avrebbero usato tanti riguardi, come facevano i bianchi, che riusciva a incantare con i suoi camicioni e le zinne da puttana, cedenti e penzolanti. Senza farsi domande sulle conseguenze, senza darsi il tempo di pensare a cosa andasse incontro, ebbe fretta di svellere l’acuminata punta dal suo addome, contando di riprendere la fuga. Prima si tirò in piedi, poi sorretta da una forza quasi bestiale, soffocò un grido di dolore e liberazione insieme: la lancia era fuori…! Si tamponò il ventre con tutto quello che aveva a disposizione, ma ebbe la netta sensazione che pezzi di carne spingessero per uscire. Tuttavia, se lei era pronta, il trombettiere tardava. «Pablo! Dove cazzo sei…?». Gomez era stato rallentato dalle stesse pallottole della Frexhen. Avevano fischiato molto vicino, e per non incappare nel fuoco amico, era stato costretto ad acquattarsi a terra. «Sono qui! Non sparare!». Stava uscendo dal folto della macchia. «Fa' presto... idiota!». Corse verso di lei. «M'hanno beccato... forse sono fatta…», subito l’annuncio. «Se tu... non avessi perso tempo… ora... saremmo alla piroga… dannazione… Dov'è Bill?». «Andato...». Un'occhiata di biasimo in ritorno. Janet era piegata in due, con le tette praticamente sulle ginocchia, schiacciata dal destino e dallo zaino pieno d'oro. Il peso dell'avidità non faceva sconti alla sua torbida bellezza. Superata la sorpresa iniziale, Pablo non ebbe dubbi: poco prima, quella lancia insanguinata si trovava nella pancia di Janet… Era fregata. Proprio lei che scaricava in fretta gli altri e si riteneva invincibile. Forse si era illusa che, nella peggiore delle ipotesi, gli indios l'avrebbero presa viva. Ma non era stato così. «L’oro… almeno… l’hai preso…?». «Ma che oro... pensiamo a salvare la pelle... Wallace e Collins ci sono già rimasti secchi. Ce l’hai un piano?». «Sì… ce l’ho…», con gli occhi allucinati che fissavano la sanguinolenta punta di ossidiana. «Non possiamo rimanere qui… raccogli quella lancia... e dammela… tu strappala... dal tronco…». La guardò con aria sconcertata. Ma si rassegnò a eseguire gli ordini. «Andiamo…». La Frexhen uscì dal riparo, dirigendosi lentamente verso il centro della radura; un braccio a tenersi dentro le budella, l’altro a puntare la lancia contro il nemico. «Ma che cazzo fai… sei impazzita...?», sussurrò tra sé, quasi incredulo, il Dottore. Un lampo. E tutto si fece chiaro. Gomez affiancò la Sbottonata, lancia in resta. Era l’unica possibilità rimasta, non era affatto pazza. Ogni popolo, ogni tribù ha le sue regole, i propri codici, matrici culturali, un senso dell’onore. Proprio lui doveva saperlo bene. L’avevano colpita dopo che aveva usato la mitraglietta, e l’avevano colpita con il loro fucile: la lancia. Forse avrebbero accettato una sfida completamente alla pari: lancia contro lancia. Una sfida per l’oro e la vita. Una sfida lanciata da quella grossa vacca di Janet Frexhen… Sollecitato da uno sguardo, Pablo aiutò la donna a deporre lo zaino a terra. Poi lui stesso fece altrettanto, trasportando l'oro verso il centro della radura. La speranza, se speranza poteva dirsi, non andò delusa. Uscendo dal margine della radura, fecero il loro ingresso in quella sorta di arena verde due perfetti opponenti: un uomo e una donna, armati di lancia. Lo scontro poteva cominciare; l’intera tribù faceva da cornice. «Rimani vicino a me… mi libero della selvaggia… e ti do una mano…», la Frexhen sapeva che Pablo non era un gran lottatore; anche lei, in fondo, non lo era; ma la sua stazza, la disperazione di quel momento e il suo istinto bestiale la rendevano una minaccia per chiunque, nonostante l’handicap con cui era costretta a combattere: un braccio stretto sull’addome, per tenersi dentro le budella. Gomez era già in difficoltà, l’altro sembrava giocare più che combattere. La Frexhen affondò subito i colpi, ma non riuscì a impensierire la sua avversaria, molto agile ed esperta. La folla degli indigeni partecipava eccitata allo scontro, dividendosi equamente tra le due squadre: era un pubblico sportivo, per certi versi. Mano a mano i tifosi di Janet andarono crescendo, specie tra gli uomini della tribù. Erano ammirati dalla sua resistenza, ben sapendo che era stata già colpita molto duramente. Il gran mignottone, per stringere i tempi, perché non ce la faceva più, finse di ricorrere a una tecnica suicida: abbassò la guardia ed espose il ventre per invitare l’avversaria ad attaccare. All'ultimo, però, quando stava per essere infilzata di nuovo nella budella, afferrò la lancia proprio sotto la punta, e allorché l'avversaria cercò di spingere con più forza, aiutandosi con l'altra mano, Janet la colpì con forza al collo - con la propria lancia - uccidendola sul colpo. La Frexhen appoggiò subito Pablo, che gli serviva vivo. «Falange...!». Lei aveva due lance, il Dottore una. Formarono un tridente e attaccarono l’indios. Questi fu colto di sorpresa, cercò di indietreggiare, ma finì infilzato sia dalla falange nemica, sia dalle lance amiche che delimitavano l’area dello scontro. Era finita. La Frexhen non perse tempo; alzò il braccio a mano aperta, come a sancire la fine delle ostilità. «Prendi... anche il mio zaino...». Piegata in due, ma sicura del fatto suo, mosse verso i margini dell’improvvisata arena e subito i guerrieri si allargarono per farla passare. Rispettavano l’esito dello scontro, il suo coraggio e la sua resistenza. Gomez la seguiva con gli zaini in spalla. Era incredibile, ma erano passati. E la piroga non era lontana. La potente Sbottonata, animata da una volontà di ferro, non si fermò fino a quando non l’ebbero raggiunta. Il Dottore l’aiutò a salire, quindi tagliò la corda. «Allora, bellezza... ti piace la crociera...?». Ma la Frexhen non era in vena di scherzare. Era impegnata a non farsi esplodere le budella fuori dalla pancia. «Su... bevi un goccio... I nostri zaini non ce li tocca più nessuno», sapeva che quella notizia l'avrebbe consolata. «Fottuti selvaggi… ma io e te... siamo una bella coppia... Pablo… li abbiamo fregati…». «Tu li hai fregati... devo riconoscere che sei invincibile». «Dove cazzo... stiamo andando…?». «Non lo so, hai un piano?». VROOM Il rombo di un motore sembrò rispondere al posto della Frexhen. Un idrovolante li aveva sorvolati, e dopo aver virato, ora accennava ad ammarare sulle acque del fiume. Forse Bill Collins era riuscito a contattare i soccorsi prima di crepare. «Ci hanno visto! Forse ci cercavano… eppure Bill aveva detto che il satellitare non funzionava...». «Non hai... ancora capito… che era solo… un bastardo...?». Ancora una volta dimostrava di avere ragione. E stavano diventando tante. «D’accordo, d’accordo… hai ragione su tutto… adesso cerca anche di non crepare». Gomez si portò verso l'idrovolante. «Il viaggio vi costerà la metà di qualunque cosa abbiate trovato», senza convenevoli, ma con una certa professionalità. «D'accordo, ma ci vuole un ospedale bene attrezzato alla svelta». «L'ospedale è troppo lontano... ma più a valle c'è un villaggio indios con stregoni di alto rango: sono gente pacifica e sanno curare praticamente tutto...». «Ancora meglio, allora. Andiamo lì». «Fai presto... Pablo...». «Certo, cara... certo...». Il grosso mignottone della Frexhen cercava ancora di trovare una via di scampo, e di certo non le mancavano oro e zinne per pagare il conto agli stregoni. brutta soluzione di Salvatore Conte (2024)
Lo
scontro a fuoco imperversava. Era famosa, venerata, abbondante.
Il lungo camicione blu, che fungeva anche da gonna, era il suo simbolo caratteristico: i seducenti bottoncini sembravano altrettanti inviti a scoprirla e venerarla. Spavalda e aggressiva, non sembrava avere limiti, e nessuno finora aveva osato colpirla. La sua banda si stava scontrando per l'ennesima volta con i desesperados di Fernando, il bandito in concorrenza con lei per il controllo dei traffici nella zona di El Paso.
I cavalli, imbizzarriti a causa degli spari, avevano sollevato una grande nuvola di sabbia. Fernando la vide sbucare dalla polvere, a pochi passi da lui. Aveva provato più volte a farla passare dalla sua parte. Fu tentato di freddarla egli stesso, per vendicarsi dei tanti rifiuti, ma quando la vide incassare un colpo, ben centrato, provò un senso di stupore che gli raggelò il sangue caliente. Luciana era stata colpita!
Impietrita, abbassò gli occhi arroganti su di sé: un grosso problema calibro 45 -
marchiato a sangue sul suo camicione e dolorosamente
avvertito nello stomaco - le era clamorosamente piombato addosso… La Mendez cavalcava a spron battutto inseguendo sogni di salvezza, sebbene dovesse vedersela con il suo buco nello stomaco. In genere questo tipo di ferita non lasciava scampo, però lei voleva provarci lo stesso, raggiungendo in fretta un dottore.
Uno dei suoi uomini,
un gringo, un ex cacciatore di taglie di nome Jack Wilker, aveva notato la sua precipitosa
ritirata e le
stava andando dietro. «Vuoi salvarti, vero? Eppure ne hai accompagnati tanti all'inferno... dando loro il colpo di grazia...». «Sì... tanti... ma io... sono io... e non voglio crepare... io... posso salvarmi...».
«Come vuoi... è giusto. Tu sei tu».
Fermati… Jack... fermati...!».
Il pistolero la mise seduta contro una roccia, in una posizione simile a quella
in cui l’aveva trovata poco prima.
Non puoi mollarci...», si sciolse il foulard dal collo e lo pressò sul buco
allo stomaco,
sovrapponendovi le mani della Mendez; quindi si allontanò di qualche passo,
voltandole le spalle. Pareva riflettere sulle parole di Wilker. Lo yankee aveva alzato la testa.
Nel frattempo, Fernando cercava di individuare - nella confusione generale - il cadavere della
Mendez, sicuro com’era che ci fosse rimasta secca.
«Jack…».
Appena giunto a El Paso, Fernando cominciò a chiedere in giro;
ma senza farsi notare troppo, perché non aveva le coperture della Mendez.
Non poteva credere che fosse ancora viva. La Mendez era tirata allo spasimo e sul punto di arrendersi.
Ma ancora viva. «E perché mai? Non sono stato io a spararti.
Anzi, volevo scusarmi con te… da parte dei miei uomini... di solito non sparano alle belle
donne… ma sai com'è… con una come te è meglio sparare
per primi…», e rise ancora, prima di farsi terribilmente serio. «Ti ha visto il
segaossa? Che ti ha detto?».
La pistola tanto contesa saltò via dalla mano di entrambi.
Si limitò a scalare ai
piedi del letto, afferrando la Mendez per gli stivali: «Su, bella, su! Su che il
dottore adesso fa qualcosa per te...». La Mendez era una statua di cera, pallida e immobile. Ormai impotente, aspettava terrorizzata il momento culminante della sua tragedia, cercando di avvertirlo con un attimo di anticipo, forse per tentare un'ultima, disperata resistenza.
Ci aveva preso gusto a lottare, e voleva farlo fino alla fine,
anche se condannata a morte, come dovesse penzolare dalla forca per i suoi tanti
crimini. Non era in grado di parlare, ma dal suo sguardo, carico d'odio, capirono molte cose. Ce l'aveva anche con Wilker, reo di aver interferito nonostante avesse ormai indotto Fernando a non infierire su di lei.
Con ogni probabilità sarebbe rimasta uccisa lo stesso, ma la
seconda pallottola aveva chiuso ogni discorso.
Ti propongo una tregua, gringo: il tempo di dare una mano alla nostra
Luciana.
Poi torneremo a spararci. Ci stai?».
«Subito, Luciana».
È diventata dura, ma tu ci speri ancora...».
Finalmente arrivò Pablo. Una mano in quella di Fernando, l'altra in quella di Jack, ogni respiro una battaglia, le ultime bolle d'aria più preziose dell'oro stesso. La Mendez aspettava paziente che il vecchio brujo rimettesse le cose a posto nella sua vita, per cavalcare ancora a lungo. LA SEGRETARIA FA TARDI IN UFFICIO di Salvatore Conte (2024) L’ha assunta l’anno scorso per addolcire i clienti che aspettano, che hanno troppa fretta di andarsene, o che addirittura vorrebbero revocare l'incarico. «Non prende un caffè, prima di andare via, Mr. Jones?». «Perché no...». E si struscia addosso, grassa e pesante, nel porgere la tazza. Il seguito è prevedibile. Fioccano gli appuntamenti; con relativi anelli e proposte di matrimonio.
Non sa fare praticamente nulla, ma cercava lavoro, e a lui comunque -
all'avvocato - va bene
così. Anche questo pomeriggio, approfittando delle belle temperature, indossa la sua camiciona rosa a bottoni grigi, lasciando scoperta la spaccatura dei seni, come se un bottone di troppo si fosse allentato per sbaglio.
Insomma,
il bottone critico è sempre pronto a cedere (un cliente insoddisfatto o troppo nervoso, una sentenza
sfavorevole).
Ha strappato, infatti, un
contratto stabile, senza limiti di tempo.
PTUMF
Però, avendo agito a volto scoperto, il
cliente non può lasciare testimoni.
«Non credo proprio». «A me può vedermi ancora, se vuole...». «Sì, all'obitorio, forse...».
«Come... come dice...?».
PTUMF No, non scherza. Le ha sparato in corpo due volte! Un colpo allo stomaco (!), l'altro al petto!
La segretaria è scossa da un doppio sussulto, si inalbera sulla
sedia
inarcando la schiena all’indietro, con le braccia aperte che ricadono molli. Più tosta dell’avvocato, comunque. La Gallego è agli sgoccioli, il colpo di grazia è superfluo.
Combatte con gli occhi in fuori e il panico la
uccide ancor prima delle pallottole: l'aria non arriva più, boccheggia, e alla
fine manda un gemito aspirato, si contrae tutta e rimane impalata sullo
sgabello, a schiena tesa. Incredibile come certe donne non si arrendano mai. Comunque il colpo di grazia è superfluo.
Non ci saranno testimoni.
Il cellulare della Gallego comincia a squillare.
Sa che Layla non si fa pregare, se c'è da far
contento un cliente.
Layla Gallego tira un sospiro di sollievo: neanche
lei si credeva viva; aggrappata agli ultimi, soffocati
respiri, temeva di essere già morta.
«L'importante è che sia crepato, no?». «No... non voglio morire... mi chiamo Layla... cough... sono una fica...», ha ripreso coraggio, vuole provarci, e si presenta in maniera sfacciata e surreale. «Okay, okay... ma non farti illusioni, bellezza». «Questa è una che non molla... ed è ancora un pezzo di donna...». «Sarà anche vero, ma non siamo qui per giocare».
Esce la sua foto sui giornali e diventa famosa.
«E ora che ne facciamo?». «Chiederà un mucchio di grana: lo sai come è fatto.
La reperibilità, l’urgenza, l’obbligo di riservatezza...».
In ogni caso adesso sappiamo chi l’ha fottuto prima che lo facessimo noi.
«È finita… vero…? Mi dica la verità...». «Questa è una buona cosa, signora. Ma dovrà dimostrarla con i fatti.
E cioè... vivendo». Ma non voglio sentirla piagnucolare, se le cose volgessero al peggio...
Adesso la riattacco alla macchina dell’ossigeno».
«Emiliano… ci sto provando… ma non allontanarti… perché mi
sento strana…».
Me lo sentivo...
era un dannato
bastardo».
Aveva detto che domani ti saresti sentita
meglio». Voleva freddarti, ma non c'è riuscito». «No... no... poteva infierire... ma non l'ha fatto...», la ricostruzione è lucida.
«Che intendi dire? Spiegati...». «Emiliano...!», lo chiama affannata, disperata... Il petto - un attimo dopo - va giù pesante, la bocca rimane spalancata, gli occhi si fanno vitrei... «Dottor Stork, presto!», grida a gran voce il ragazzo di Layla Gallego. La segretaria fa tardi anche dal dottore. BoCHRA È RIMASTA UCCISA di Salvatore Conte (2024)
La
banda di balordi assassini è composta da Ylgoth, Zorok e Bochra. In questa occasione devono eliminare un oppositore politico simulando una rapina.
Bochra ha il compito di distrarre la vittima. È una vecchia
baldracca, ma le sue zinne a borraccia e la pancetta gonfia fanno ancora impazzire mezza Ummaos. In ogni caso, prima di farsi completamente decrepita, Bochra vuole inserirsi a tutti i costi nella lotta per il potere. Ormai ha capito che solo questo conta, e facendo leva sull'abbondante carne - segno di somma potenza a Zothique - intende arrivarci e rimanerci.
È sicura di potersi gestire, di
tenere sotto controllo i soli sulla fronte e di non essere finita, nonostante la feroce
concorrenza delle giovani puttanelle di Ummaos.
Nonostante questo, la Vacca di Xylac
sa di essere ancora piacente e le sue ambizioni non sono campate in aria.
«Ammazza quanto sei bona…», la vittima designata ci casca subito.
«Bochra!», esclama, basito.
«Io... non volevo...»,
balbetta Ylgoth. Ma così facendo... Bochra viene sbudellata! L’effetto sorpresa è finito, i due se la battono.
La grossa puttana si appoggia di spalla a una parete e scivola lentamente sulle
ginocchia, con le mani che cercano febbrilmente di tenere insieme le budella.
Bochra... rimarrà uccisa…», la bava alla bocca, gli occhi sgranati, un
pallore funereo che la sbianca come uno spettro. Anche se sbudellata, se la tira sempre parecchio. Ma non ha torto.
Arriva
qualcuno. Ma con un braccio tragicamente a penzoloni nel vuoto...!
Tutti la riconoscono mentre transita per le vie
della città con il sorriso sbiadito e gli occhi lucidi di lacrime. Era ancora viva quando è arrivata la barella! Io stesso ho chiamato aiuto! Provate a interrogare chi abita qui: sono stato aggredito da due banditi!
E quella donna... era loro complice!». Appena dilaga la notizia che Bochra è stata accoltellata a morte, diversi funzionari accorrono al suo capezzale, presto seguiti da eccitati negromanti.
C'è un certo rispetto nei confronti della vecchia bagascia,
ma anche timore: potrebbe confessare qualcuno dei suoi tanti delitti e tirare in
ballo i suoi mandanti, prima di crepare. Bochra è ritenuta un mostro sacro, un totem; pur accusata di frodi e omicidi, è sempre uscita pulita dalle inchieste a suo carico. «Le puttane… fanno… gnhh... questa fine…», ammette lei stessa, tremando, rivolta ai funzionari riuniti intorno a lei. «Io… non parlo... non so niente... gnhh...», ha paura che le tappino la bocca. La Vacca di Xylac cerca di suscitare rimpianto, gonfiando le zinne, sotto il camicione. «Io... io... non voglio... gnhh... gnhh... non... voglio... morire...», avvisa tutti, a stento di equivoci, intimorita dalla presenza dei negromanti; Bochra si spreme a fondo, lusingata da tanta attenzione, dall'ansia che turba i volti intorno a lei; la sua stazza e la sua possanza sono tali che, pur orrendamente sbudellata, riesce ancora a differire la fine.
La grossa puttana morente suda freddo,
protraendo la sua disperata agonia; è un'amante della vita e della morte, e lo rimane fino in fondo.
«Sta per morire, che importanza ha?».
«Lasciatela in pace! Non vedete che è solo una
vecchia disperata, con una paura fottuta di morire?».
La grossa puttana, però, impaurita dalla
fine, convinta di dover fare qualcosa, non ha accettato subito la sorte e ha
fatto appello a clienti e amici, affinché consumassero con lei la sua
stessa agonia, circondandola di affetto e attenzione. Da squallido oggetto arrugginito che era, adesso vale una fortuna!
Le condizioni della famosa prostituta sono tenute sotto costante controllo.
E ora sta cercando di prendere altro tempo.
In certi momenti sembra deglutire un
rospo, mentre un doppio rivolo di sangue schizza fuori dai lati della bocca.
Ricordi, però, cos'altro mi
hai detto?». «Sto prendendo il potere. Se riesci a non crepare, sarai Regina», le sussurra all'orecchio. Gli occhi della grossa puttana morente brillano di nuova luce. «Bochra balbetta ancora e dice: “Non voglio crepare!”.
Ma è morta, è finita, sono le
sue ultime parole!», i giovani strillano per le
strade, eccitati e sgomenti al tempo stesso. Proprio nel momento in cui una Regina-Puttana sale sul trono. di Salvatore Conte (2024)
«Così hai la badante gratis». «Una badante col pisello, però».
La sua età comincia a spaventarla. E la spaventa soprattutto il tumore all'intestino che continua a crescere. Anna Frazer ha ormai 80 anni. Un'età importante, che è in grado di fiaccare qualunque donna. Ecco perché ha deciso di giocare sul velluto e mettersi al sicuro. Quand'era potentissima, ha fatto il giro dei quattro cantoni, i fratelli Barone di Little Italy, di cui uno preso in marito; dopo il divorzio, ha preso per le palle il genero, proprietario di un grosso supermarket; stesso calcolo della figlia, mandata in avanscoperta. Alla fine, però, perso il potere d'acquisto, e braccata dal tumore, ha deciso di puntare sull'usato sicuro, un Barone Jr. non più ragazzino, da sempre invaghito di lei; possiede una piccola pizzeria, sufficiente a sfamarla.
Sarà facile riagganciarlo: a lui piacciono le camicie sbottonate e lei è un'esperta in materia. Ha 20 anni di meno, potrebbe andare su una cinquantenne, ma Anna sa che per lui conta solo lei. Le garantirà le migliori cure, la riporterà in alto. Si presenta in pizzeria come una cliente qualsiasi. Vecchia, ma ben tenuta, sempre gonfia, camicione rosa sbottonato più del normale per un'ottantenne e capelli in tinta con l'indumento: look giovanile e allegro. Quando la vede, gli prende quasi un colpo. Paralizzato dal panico, pensa a un errore causato dalla vecchiaia. Lei intanto ordina al cameriere. Sal Barone gestisce il suo piccolo locale seduto alla cassa, tra conti, scontrini e qualche telefonata. Comincia a sudare e a fare casino, non sa come muoversi. «Nino... alla cassa...», chiama il cameriere, ansando. Per fortuna c'è poca gente. Come uno zombi, si avvicina al tavolo di Anna. Non dice nulla e la guarda a stento. Spera che sia lei a dire qualcosa. «Sal, perché non ti siedi?». Per fortuna è così. «Sono qui come tua amica... Lasciamo stare il passato. Penso avrai saputo che ho un tumore.
Ho bisogno di un appoggio, puoi darmelo?». Ancora non riesce a parlare. È costretta a proseguire. «Non ti chiedo molto, mi sono fatta vecchia, lo so. Ma non sono finita. E non ho paura delle chiacchiere del quartiere. Ci mettiamo insieme e tu mi aiuti a tirare avanti». «È molto grave... il tumore...?». «Abbastanza. Ma lo sto gestendo. Non sono ancora spacciata, se è questo che intendi; io sono una che vuole durare, lo sai...». «Lo so...». «Sal, sei disposto a superare le incomprensioni con mia figlia? Verrà spesso a trovarmi...». «Certo... vecchie storie... superate». Una capitolazione incondizionata su tutto il fronte... di Salvatore Conte (2024)
Nada ha scambiato un bel po' di pallottole con Smokey Bob. Ognuno ha sparato a turno all'altro. Nada e Smokey Bob sono andati, insieme ai loro proiettili. Entrambi giacciono sul pavimento del locale abbandonato, feriti a morte, il loro sangue è sparso dappertutto. «Mi hai beccato... cough... ma io ho beccato te...», sogghigna Smokey Bob. Nada risponde con un altro sogghigno: «Io... ti vedrò morto... cough...». «Tu... morirai... cough... prima di me...». La donna si sforza di sorridere: «Io... ti ho beccato peggio... cough... sei quasi morto...». L'uomo scuote la testa: «No... tu... te ne stai andando... cough... veloce...». «Può darsi... ma non veloce... come te... cough... stronzo... cough...», risponde gelida Nada. Tutti e due si accendono una sigaretta. La cosa andrà avanti per un po'. «Vediamo chi ha ragione... cough... io... sono più tosta di te... Smokey... cough... io... ti vedrò morire... cough...», ripete Nada, forse troppo sicura di sé. «E poi... striscerò fuori da qui... cough... e mi farò portare in ospedale... cough-cough...», ma la tosse aumenta, e anche la paura negli occhi della donna. «Se arriverà qualcuno... cough... daranno la precedenza a me... cough...». «Non arriverà nessuno... Nada... cough... in questo quartiere... cough... si fanno gli affari propri...». «Io sono potentissima... cough...».
Nada allude alle sue campagne promozionali in favore del Libano, in cui sventola solennemente una bandiera nazionale di grandi dimensioni sul Lungomare di Beirut: alle sue spalle non c'è traccia dei presunti bombardamenti israeliani; è una promozione, ma anche un autogol. «Io ti fermerò... cough... moriremo insieme...». «Ho dei buchi in corpo... cough-cough... ma io... non rimango uccisa... Smokey... cough...».
Nada comincia a strisciare verso l'uscita: ha fretta, sa di avere poco tempo. Smokey Bob la segue, due scie di sangue, due biscie a cui non hanno schiacciato la testa. L'uomo allunga il braccio e le afferra la caviglia. «Lasciami... stronzo...», protesta Nada, che non può perdere altro tempo. Gli mena un calcio e si libera. «Sei un perdente...». Nada continua a strisciare sotto gli occhi vitrei di Smokey Bob. Ma anche lei è arrivata alle ultime bolle d'aria. È una gara al photo finish.
«La zitella aveva ragione stavolta... Chiama un'ambulanza, questo è arrivato». |
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