Non tutte le pallottole vengono per nuocere Fata Morgana, la morte segue la tua ombra di Salvatore Conte (2024) La missione di Anna in quel di Malta era ormai conclusa. Anche stavolta gli ordini erano stati eseguiti. Sembrava tutto complicato fino a pochi giorni prima, ma l'Agente 043 non sarebbe stata classificata come uno dei più affidabili freelance al mondo (agenti con licenza temporanea di uccidere), se i suoi standard non fossero stati questi. D'altra parte, certo non le nuoceva rientrare nella casistica delle vecchie puttane disponibili al servizio privato, oltre che segreto; anche se una come la Frezzante non poteva fare statistica. Dissimulata come una tranquilla impiegata, piacevolmente ingrassata, dalla faccia e i modi simpatici, nascondeva in realtà una mente fredda e analitica, e via-via messasi in luce, era divenuta una sorta di punto fermo nell'esclusivo giro del targeting globale. Si narrava nei salotti per bene che il suo sogno segreto fosse quello di diventare famosa, importante e temuta come James Bond, l'Agente 007 del servizio segreto britannico. In ogni caso intendeva sedurlo e dominarlo, in sostanza fargli da succuba. Potevano sembrare due progetti folli, ma almeno il secondo non così campato in aria, a parte il poco tempo rimasto per portarlo a termine. Nel giro si diceva che Bond avesse messo gli occhi sulle sue foto, e che fosse rimasto colpito dalla carne grassa, i camicioni sbottonati e l'aria da immortale, suffragata dalle pallottole davvero brutte digerite in Libano.
Si diceva anche che fosse stanco di fare il donnaiolo e cercasse un grosso donnone, anche stagionato, per mettersi a posto per sempre. Da qui l'interesse per Anna Frezzante e la sua storia (era stata capace di gestire diverse pallottole nella fallita missione in Libano); e in particolare per la sua aria da mignotta di classe, le tette di lusso e il grasso extra che conferiva imponenza alla figura e riempiva bene il famoso, ormai iconico camicione; nel numero di licenza della Frezzante c'era chi intravedeva una curiosa corrispondenza proprio con quello: 4 erano infatti i bottoncini tenuti lenti, 3 quelli chiusi, in una sorta di alchimia dei bottoncini, finalizzata a mostrare non troppo segretamente due belle tette da bagascia, un passepartout prezioso in diverse missioni. Seduta a gambe incrociate, si accese una sigaretta e si lasciò affondare nel morbido schienale del divano. Indossava il tipico camicione, sbottonato aggressivamente nel solito modo: le piaceva molto dare nell'occhio e in testa; e poi farsi credere una banale puttana di lusso la metteva al sicuro. Tossì convulsamente, sbavando sangue. Non era mai riuscita a smettere. Stizzita, smorzò la sigaretta nel posacenere. Ne aveva per poco, meglio non concedersi certi lussi. Dopo l'ultima aspirazione, i polmoni si stavano di nuovo riempiendo di liquido.
Ogni due settimane le aspiravano dai quattro ai cinque litri
di versamento pleurico. Eppure lavorava ancora. Un po’ per distrarsi, un po’ per raccattare gli ultimi soldi; secondo qualcuno, per prendersi la pallottola giusta e chiudere i giochi con un gran finale tragico, prima di dover marcire attaccata a qualche tubo. Chi la conosceva abbastanza, raccontava però che Anna non si fosse ancora arresa. Forse lo faceva per mettersi in mostra con James. Avrebbe certamente saputo della sua missione.
Doveva dimostrargli di non essere finita e di essere
l'unica donna adatta a lui.
«Sei okay?».
Lei e Monica occupavano una suite. Quello che doveva fare lo sapeva.
In fondo le avrebbe fatto un piacere.
(FLOP)
Delusa, si preparò a ricevere la reazione dell'obiettivo; dopo mezzo
secondo, infatti, si sentì afferrare alla gola: «Brutta puttana… t’ammazzo…!»,
le ringhiò sul collo Anna, facendole mollare la pistola. Monica cercò di divincolarsi.
Ne scaturì una lotta selvaggia, nella quale
sembrò prevalere l’istinto femminile, piuttosto che
l’addestramento tecnico delle due professioniste.
La Frezzante si guardò intorno, disperata. Non aveva vie di fuga. «No..! Aspetta...! Dimmi perché!», la paura negli occhi della Frezzante, e quella curiosità finale, tutta femminile.
Ma non ci furono né pietà, né risposte.
Monica le scaricò addosso
tutto quello che rimaneva nel serbatoio. In
ogni caso ne aveva per poco. Ma
sei tu che devi dirmi come hai fatto a capire...».
Sotto un impulso
incontrollabile, ritornò dal bagno con un asciugamano
e tamponò l’addome sanguinolento dell'italiana, bloccandole le gambe: «Stai
calma...». "Stai per ammazzarmi?", sembrò chiederle - con gli occhi - la potente Anna Frezzante, intontita a causa della poca aria che le arrivava al cervello. Anna era come un castello di carte che poteva crollare al primo alito. "Per il momento, no", le rispose, scuotendo il capo. Monica toccò il vertice della follia quando si mise a leccare il sudore freddo di Anna, che si incuneava nel camicione allentato, da grandissima puttana.. «Perché hai puntato troppo forte e troppo in alto: eri diventata un pericolo». Una risposta che giungeva ovattata alla stordita mente di Anna. L'uccello di Bond un boccone troppo grande: forse sarebbe stato meglio essere chiari, in un'occasione come quella. «Era... la... mia... u-ultima... mi-missione...», i penosi rantoli della morente, che però, in fondo, era stata vicina a far centro... [Autorizzata]. Monica alzò gli occhi dal cellulare e pressò con più convinzione l'asciugamano. Pochi minuti dopo un’ambulanza trasportava all'ospedale, in un bagno di sangue, l'agonizzante Anna Frezzante, Agente 043. Nel giro è consentito chiedere un break per il nemico che si è battuto bene. Un codice di sopravvivenza per non sfoltire troppo i ranghi della categoria; alla maniera dell'antico pollice retto. E la vecchia gladiatrice intanto prendeva tempo e si attaccava all'ossigeno: poi sarebbe venuto il tumore e infine lui. In fondo, a Malta, era stata la sua quartultima missione. vengono per nuocere di Salvatore Conte (2024)
George arrivò puntuale, ma il socio, Patrick, non apriva.
George era infatti in compagnia della sua donna, una costosa bagascia da cui s'era fatto prendere la mano; imbolsita rispetto agli anni migliori, rimaneva pur sempre una gran puttana col fascino della vecchia troia, e lui non poteva farne a meno.
Spendeva molti soldi per mantenerla in tiro, sempre sbottonata per lui e per i suoi amici, se pagavano bene. Aveva puntato forte su di lei. Patrick si era beccato un’indigestione di piombo caldo ed era messo piuttosto
male; poiché era socio al 50% con George, la faccenda interessava anche lui. La cosa
sembrò spazientire Layla Gallego, il suo puttanone sfondato, che non perse l'occasione
per mettersi in mezzo, in maniera alquanto petulante: «Non vedi
che il tuo amico è fottuto? Vuoi fargli compagnia all’inferno, George?
Dobbiamo andarcene via subito, capisci? Questi bastardi potrebbero tornare e
farci fuori. E io non voglio rimanerci secca, capito? Per quanto ancora vuoi
imboccare questo imbecille?». Con
un'espressione malata, allucinata, sul volto
da vecchia cessa, la cinquantenne estrasse dalla borsetta una calibro
38 e la puntò contro Patrick.
STUMPF Il mignottone cadde sulle ginocchia con lo sguardo allibito: «Mi hai fottuto…». La donna cercò di riorganizzare i pensieri. Si era fatta fregare come una stupida. Era sicura che George non l’avrebbe toccata, e invece le aveva piazzato addosso due pallottole. Il troione si sentì perduto, lui sembrava indifferente. Layla mollò la calibro 38. George, a quel punto, non avrebbe esitato a sparare ancora, a freddarla, se necessario. Quindi crollò sul fianco e rimase a contorcersi sul pavimento, con entrambe le mani a tamponare i buchi in pancia. Un sinistro rivolo di sangue le colava dal labbro. «Ben fatto… George… era una puttana… spremuta... finita...», infierì Patrick. «Non era finita...», l'eccessivo livore nei confronti di Layla lo irritò. Si controllò. «Ora veniamo a te, amico mio. Raccontami tutto, poi andremo all’ospedale». A fatica, tra molti stenti, Patrick ricostruì i fatti. George rimase a pensare in disparte. Si era completamente dimenticato di Layla e solo in quel momento realizzò che la sua donna aveva smesso di lamentarsi e singhiozzare come una scrofa al macello. E che nel soggiorno non c’era più. Motivo in più per sbrigarsi, pensò George… STUMPF Si portò alle spalle del suo socio e lo freddò con un colpo alla testa. Tanto non sarebbe sopravvissuto. In fondo aveva ragione Layla. Ora poteva occuparsi di lei. Non fu difficile seguire la scia di sangue che s’era lasciata dietro, strisciando sul pavimento della casa, ventre a terra. Era riuscita ad aprire la porta e a uscire all’esterno… George si fermò sull’uscio: Layla era arrivata a pochi metri dalla sua auto, parcheggiata sul piazzale della villetta. Lì s’era fermata. George la osservò dalla porta di casa: era immobile, con la faccia affondata nel ghiaietto. Aveva raccolto le forze e si era illusa di poter trovare una via di scampo: c'era tutta la sua Layla in quell'azione, disperata e arrogante insieme. Vedendola sconfitta e ormai cadavere, l’uomo ebbe un sussulto, un moto di rimpianto. Layla era ancora un donnone, poteva durare altri anni; non per niente se l’era messa vicino senza badare a spese… Non era ancora finita la sua Layla. Tuttaltro. Però c’era andato giù pesante. Lei aveva cercato una via di scampo. Fino all’ultimo. Ma non l’aveva trovata… George si avvicinò alla sua donna e ne rovesciò il corpo. Layla era supina adesso: il volto stinto in un pallore cadaverico, la bocca socchiusa, le braccia inerti; e due occhi scuri che lo fissavano con inappellabile lampo di condanna, quasi a fulminarlo, se solo avessero potuto… Ancora non aveva capito se fosse viva o morta. Allungò il braccio, toccandole la carotide: respirava, ma debolmente, non ne aveva per molto. George fu scosso dal rimpianto. “Mi hai fottuto”, gli aveva detto, un attimo dopo gli spari. Aveva capito subito che era finita; anche se c'aveva provato fino all'ultimo. Il rimpianto cresceva di secondo in secondo, ora che la sua donna stava crepando. George non resistette più. La prese tra le braccia e cercò di scuoterla. «Layla... mi dispiace...», e le fece ingurgitare un cicchetto di whisky. La donna mugolò dei rantoli. «Okay... non sforzarti, tesoro. Non è ancora finita. Hai sbagliato a provocarmi, ma ti amo lo stesso. Adesso ti porto da un dottore, dal migliore. Da Jenkins…». Il dottor Jenkins era un chirurgo che non faceva troppe domande; ed era anche molto bravo; ma costava un occhio della testa. La caricò in macchina, sul sedile anteriore; quindi si diresse verso la clinica. Imboccò una curva verso destra ad alta velocità e il corpo di Layla gli si afflosciò addosso. Superata la curva, se la scrollò di dosso senza tanti complimenti: la testa della donna andò a sbattere contro il finestrino. «Cristo... reggiti, Layla! Non farti fottere, troia... io non ci credo che ti fai fottere!». Passarono un paio di minuti e George accostò a destra, portandosi all’interno di un’area per la sosta, buia e isolata. Si fermò per osservare la sua donna. La clinica di Jenkins era vicina, ma quanto gli sarebbe costato? Era necessario spendere tanta grana per quella puttana? Avrebbe più trovato un'altra sorca così? Alterni pensieri confliggevano tra loro nella mente sovraeccitata. Ma ormai aveva deciso. «Ascolta, pupa… il tuo fascino da mignottona mi piace un sacco, lo sai… Ma temo che per te sia finita, bellezza». Rimosso il silenziatore, le premette la canna della calibro 45 contro il fianco. Layla trasalì atterrita. «Prima… l’ultima pompa…», ebbe l'intelligenza di prendere tempo. «E perché no? Tu me lo tiri anche da morta, Layla...». La calibro 45 rientrò nel borsello, mentre la pistola di George entrava nella bocca della donna. L’uomo si sentì cullare dalla delizia di quel servizio senza eguali; l’ultimo atto della sua bella puttana. Quando Layla sentì che il culmine stava per arrivare, si infilò la mano sotto la camicia… e si sfilò di bocca... POW Gli sguardi si incrociarono… POW George si piegò in avanti, come a cercarle la fica con la bocca. Improvvisamente una moto di grossa cilindrata con due persone in sella affiancò l’auto e un’automatica silenziata fece esplodere il finestrino di guida: un attimo dopo la canna della pistola era all’interno dell’abitacolo. «Ho interrotto qualcosa?», lo sconosciuto si presentò così. «Ehi, George, non riesci proprio a staccarti dalla tua bella puttana, vero?». Il sicario, che indossava un casco integrale, aprì lo sportello e separò il corpo di George da quello di Layla: l’uomo aveva un buco al cuore e un altro nel basso ventre, per così dire, entrambi prodotti da un’arma di piccolo calibro; la donna aveva due buchi in pancia e stringeva nella mano una derringer ancora fumante, forse nascosta tra i rotoli di ciccia della panza. «Chi ti ha sparato?». Layla era terrorizzata. «Non farlo… non ho visto niente… ti prego…», e lasciò andare la derringer, come se fosse ancora carica. «Ti ho solo chiesto chi ti ha sparato…», in tono fermo e rassicurante. Lei indicò con un flebile movimento del braccio il cadavere di George. «È per questo che lo hai ammazzato?». Annuì. «Ti prego… non uccidermi…», col sangue alle labbra, come se non fosse già morta. Avrebbe implorato ancora, ma non ne ebbe il tempo. «Farò estrarre i tuoi proiettili, e se apparterranno alla pistola di questo infame, allora sarai salva; ma se mi hai mentito, verrai eliminata...», sentenziò l’uomo con il casco. Un attimo dopo fece capolino il suo compagno di sella, anch’egli travisato: «Di lei che ne facciamo? Non va liquidata?». «Non è necessario. È pulita, la prendiamo noi. È una vecchia troia, ancora importante. Ci farà comodo. La clinica di Jenkins è proprio qui dietro; forse è lì che stavano andando, prima che George decidesse di farla finita. Anche se... aveva rimosso il silenziatore...», l'uomo stava controllando la pistola e il soppressore di rumore rinvenuto nel borsello. «Sono stati usati da poco, tutti e due... ma adesso sono separati... Non so se ti interessa, ma forse non voleva finirti, bellezza; solo ricevere un pompino, prima che fosse troppo tardi... Comunque, le pallottole che hai in corpo possono ucciderti, ma anche salvarti…». «E il conto di Jenkins chi lo paga?», obiettò il compagno. «Se lo pagherà da sola, è un bel pezzo...», fu la tranquilla risposta di Billy Hudson.
Un paio d’ore dopo, due pallottole calibro 45 venivano estratte dal corpo di
Layla Gallego; furono portate a Billy, il quale ne constatò l’eguaglianza con
quelle rimaste inesplose nella pistola del defunto George. «Forse sì, forse no, Jack; certo ce l'ha resa più simpatica. Dal suo punto di vista è stato un anomalo colpo di fortuna. Lo sai come si dice in questi casi...?». di Salvatore Conte (2024) Avevano pensato a tutto, fuorché all’essenziale.
E poi lei era piuttosto montata. Si sentiva la più grossa fica sulla faccia della Terra. Spinta alla follia la loro vittima, la follia stessa stava per tornare all'origine, come un boomerang. Ormai Monica era impazzita, ma anziché abbassare la testa, aveva alzato la pistola. Era una Kel-Tec calibro 38, con caricatore da sei colpi: una delle più piccole pistole al mondo, ultra-leggera, ma devastante a distanza ravvicinata. Un’arma difensiva, concepita per le donne. Era infatti una mano di donna quella che l’impugnava.
Burt era sorpreso, ma non perse la sua sicurezza: «Tu ora mi darai quella pistola… Monica…». Si avvicinò di tre passi, lentamente. Forse fu proprio quel modo infantile di chiamarla, quello sminuirla, quel sottovalutarla, che fece definitivamente esplodere la sua ira… Burt si irrigidì, sbigottito. Un attimo dopo crollava in avanti, fulminato. Era stato raggiunto al cuore. Lo sguardo di Terry si riempì di terrore. Ora sarebbe toccato a lei. E da cacciatrice, non era abituata a essere preda. Ambiziosa e tracotante, forte di una bellezza intossicante, si sentiva la numero uno incontrastata, sebbene avesse sposato un perdente.
«Calmati, Monica… tu non lo farai… abbassa la pistola... ti prego…». Ancora ordini, ancora presunzione, inganno... Quella bellezza così arrogante... di fronte a lei... alla canna della sua pistola... ridotta quasi sul lastrico... alla sua mercé... E poi quella paura mortale negli occhi... così piacevole da gustare... una scintilla fatale nella mente combustile... Monica la fissò dura, stava per sparare ancora… «No, Monica... no!», l'ultimo, disperato tentativo. Non appena Terry ebbe finito di supplicare, partì il colpo! BANG Venne raggiunta alla spalla, in un punto non vitale, ma il violento contraccolpo e l'impressionante schizzo di sangue la fecero sentire morta. Credeva di essere rimasta uccisa. Ma se le avessero detto che quello era solo un colpo d'assaggio... Se le avessero detto cosa poteva fare quella piccola pistola, sparando in una pancia, o una schiena... La Kel-Tec era devastante fino a 10 metri, e lei non poteva allontanarsi a più di 5 o 6 metri dalla pistola. La potente Terry - scossa dal colpo e spinta a roteare su sé stessa - offrì la schiena a Monica... BANG La seconda pallottola la colpì alle reni! Sussultò violentemente, inarcando la schiena; quindi, con gli occhi stregati dalla paura, tornò a offrire il petto. Era terrorizzata, sentiva gli artigli della morte calare su di lei. Prima d'ora, si era sempre sentita invincibile. Terry sapeva che Monica, a quel punto, non poteva più fermarsi. Non ebbe nemmeno il tempo di supplicare. BANG Il terzo colpo la raggiunse all’addome! Era uno stillicidio! Si inarcò all'indietro contro la parete, tormentata dall'ennesimo proiettile: era come sentirsi messa in croce. In quel momento, però, intravide il passaggio e scattò l’intuizione. Era l’ultima possibilità. Ricordò a sé stessa di essere invincibile. Doveva tentare il tutto per tutto: scendere dalla croce e resuscitare in meno di tre secondi. Quella porta conduceva al garage… e Monica era ormai convinta di averla spacciata… Terry si buttò in quella direzione, con la mano pressata sull'addome, spinta dalla forza della disperazione e dalla volontà di rimanere la numero uno... il buco era vicino al fianco, non l'aveva fulminata... quella troietta non sapeva sparare... non era riuscita a finirla... stava avendo fortuna... e lei l'avrebbe sfruttata per salvarsi... BANG BANG Click! Gli spari furono intempestivi. E i colpi erano finiti. Ma Terry, in preda al panico, continuava a fuggire all'impazzata, quasi rovesciandosi per le scale. Eccitata allo spasimo, intravedeva un'insperata via di scampo: non sarebbe finita come lui. La moglie di Burt pensava solo a raggiungere la salvezza. Monica era basita dalla resistenza di quella puttana: le era sgusciata via come la serpe che era. Ma non sarebbe andata lontano. Non valeva nemmeno la pena di inseguirla. Terry azionò il comando della saracinesca e schizzò fuori dal garage con l'auto di Burt. «NON ANDRAI LONTANO, TROIA!», le urlò contro Monica, mentre la macchina sgommava impazzita. «Cagna... non mi avrai...», rispose Terry tra sé, convinta di sfuggire alla morte. Raggiunse la strada principale e puntò verso la città. La nebbia le calò sugli occhi, il panico la incalzava, spinse a tutta, alla disperata, doveva far presto, le forze la stavano lasciando. Intravide delle luci rosse, spinse ancora per accorciare la distanza e tamponò bruscamente l'auto che la precedeva. Quindi aspettò ansiosa che il conducente si avvicinasse per chiederle i documenti e gli estremi dell’assicurazione; la strada intanto le girava intorno. «Ma insomma... non mi ha visto? Allora... cosa fa? Non scende? Guardi che se non scende, io chiamo la Polizia…». Stizzito dall'inerzia della controparte, aprì egli stesso la portiera. Il corpo di Terry si rovesciò di schiena sulla strada, le braccia allungate all'indietro, le gambe ancora nell’abitacolo; gli occhi sbarrati, rivolti anch'essi all'indietro, due larghe macchie di sangue che spiccavano sulla camicetta scollata, una sulla spalla, l’altra sull’addome. «A...i...u...t...o...», mormorò con un filo di voce, pressata dalla morte. Una scena impressionante. Si fermarono diverse vetture, intorno al corpo di Terry si formò un capannello di curiosi. Fu chiamata un'ambulanza. Insomma avevano pensato a tutto, fuorché all’essenziale. La loro stessa macchinazione gli si era ritorta contro. La regia del destino era stata implacabile. E ora la bella Terry stava giungendo cadavere in ospedale, stroncata da una Kel-Tec ultra-leggera.
Il Commissario Merli, dal canto suo, si stava portando presso il nosocomio per interrogarla, nel caso non arrivasse troppo morta. Quando la vide, le sembrò che da un momento all'altro le avrebbero appuntato un lenzuolo bianco sulla faccia, vista la fretta poco convinta con cui la trasportavano in sala di rianimazione. Il boomerang scagliato contro Monica, mancato il bersaglio, le stava ritornando in piena faccia. La salvezza che le era apparsa possibile, ora le stava sfuggendo di mano... Doveva spremersi. Tutta. Fino in fondo. di Salvatore Conte (2024) Mi ero andato a infognare con questa costosissima troiona del Libano, che a 50 anni giocava ancora a fare la sbottonata... Adesso, però, mi aveva stancato. Non faceva altro che non fare un cazzo. E di tutto questo se ne vantava pure, su Fregnacce Romane, Il Venticello e le altre riviste del nostro popolare quartiere, senza alcuna paura di farsi ritrarre grassa e imbolsita, ma sempre con la sua camiciona di jeans a scollatura profonda, perché convinta di piacere comunque, di essere diventata immortale, che è il sogno tutte le vecchie troie.
Come se non bastasse, sapeva fare
di
peggio:
Layla mi tradiva. «Allenta la camicia e vieni con me al negozio», le dicevo prima di scendere, perché molti clienti, anche donne, compravano con più gusto quando c'era lei dietro al banco; secondo me, spesso tornavano solo per rivederla e farsi dare il resto. Una volta, un ragazzo comprò tre pacchetti di sigarette a distanza di un'ora circa l'uno dall'altro. E tornò anche il giorno dopo. E non credo fosse un fumatore tanto incallito. E poi ci fu quello che giocò al totocalcio, e che tornò poco dopo per l'enalotto, e ancora più tardi per altre due colonne al totocalcio. E questo qui tutte le settimane giocava sempre più forte. Forse sognava di portarsela via. Mi avrebbe fatto un piacere. Di sicuro questi clienti si sarebbero serviti altrove, ma con lei al banco compravano soltanto da me.
Layla era una gallina dalle uova d’oro. Di origini nostrane, parlava italiano meglio di me. «D'accordo, riposati. A stasera, amore...», e mi masturbavo nel bagno del negozio, al solo pensiero di ritrovarmi una fica del genere dentro casa. Prestigiosa, zozza, burrosa, perfino simpatica delle volte, dotata di una sensualità fulminante, di forme grassottelle e ben tornite, la cinquantenne Layla Dakmak era ancora il classico donnone fuori dalla portata dei più. Però quando seppi che mi tradiva nelle stesse ore in cui ero alla cassa senza di lei, rischiando pure di finire ammazzato al posto suo, beh... allora... persi la testa. Lei, in fondo, alla cassa sarebbe stata al sicuro, perché alla sbottonata libanese chi mai avrebbe osato sparare?
Io invece dovevo stare attento; mentre lei
si faceva sbattere a domicilio. Non l’avrei fatto personalmente, non ne sarei stato capace, ma l’avrei fatto fare.
Ci vuole coraggio per uccidere. Tuttavia non avevo il coraggio di spingerle un coltellaccio nella pancia. Mi sarebbe sfuggita. Se la sarebbe cavata. Avrei potuto usare la rivoltella e con quella crivellarla di colpi.
Non quella denunciata, ovviamente. A Roma se
ne trovavano tante senza numero di matricola. Ma non ero sicuro se - dopo aver
visto il primo sangue - avrei premuto ancora il grilletto; se fossi riuscito a
portare a termine il lavoro, una volta cominciato. Lei che si dispera, lei che
non vuole morire... avrei ceduto, e le avrei chiamato un'ambulanza, rovinandomi
per sempre. Gli indiani sono avvezzi ai coltelli.
E doveva avvenire davanti a me, in una rapina finita male, come ce n'erano
tante. Il mio porto d'armi era collegato alla tabaccheria. In uscita di piacere
non avrei potuto difenderla. La portai al cinema, all’ultimo spettacolo. Davano un film di Maurizio Merli. Avevo parcheggiato in una zona poco illuminata; ero abbastanza certo che non avrei trovato un posto migliore e il destino mi diede una mano. All’uscita dalla sala volle bere qualcosa. C’era un bar ancora aperto. S'era messa la solita camicia jeans da vecchia zoccolona, sbottonata senza pudore fino allo stomaco. Nonostante gli anni addosso, era sempre una gran puttana, niente da dire. Il barista lasciò gli occhi dentro la scollatura. «Ci vorrebbe davvero un tipo così... lo sai? Parlo di quel Commissario...». «Sì, ho capito. Fra le tue cosce o in giro per Roma a mantenere l'ordine?». Forse per la prima volta sospettò che io sospettassi.
«Un altro...». «Perché non vai a prendere la macchina?». «Non è prudente, se rimani sola a quest'ora». «Ti aspetto qui nel bar, quando arrivi dai un colpo di clacson». «Va bene, va bene...». Mi aveva fregato. «Salvatò...!», mi chiamò dalla porta. «Hai ragione... facciamo due passi...». L'avermi dato ragione, anche se per la prima volta da mesi, le sarebbe costato caro. «Certo che è buio qui...». «Anche prima lo era, no? Stai tranquilla, amore, ci sono io».
Proprio in quel momento,
l’indiano uscì fuori dall’ombra, con una calza da donna sul volto, e mi ferì una
mano col coltello. La sbottonata libanese si stava sgonfiando sotto i miei occhi.
Aveva finito di ridere alle mie spalle, ora
rimaneva uccisa...
Qualcuna frettolosa, poco più d’una puncicata, qualcun altra a tirar via, tipo ‘na
romanella, ma pur sempre 23 coltellate nella panza della sbottonata libanese, Cristo Santo!
La zoccolona era seduta a terra contro il muro, a gambe larghe, la bocca aperta e la lingua
arricciata sotto il palato…
Molto sexy mentre crepava, senza dubbio.
Recitava bene, come le migliori attrici, ma a differenza di queste non fingeva.
Vedendomi inerte, inebetito, capì tutto…
Anche quell'accusa indignata mi ricordava
qualcosa... Era decisa a trovare una via di scampo, anche in quella situazione estrema.
Quel nome, pronunciato senza rancore,
per due volte, quasi a chiedere scusa, mi commosse.
Mi finsi sotto shock, forse lo
ero davvero.
L’ambulanza arrivò a sirene spiegate.
«Salga, dottò... che su' moje
c'ha fretta...». Per fortuna, a stento di equivoci, l'attaccarono subito al respiratore artificiale. «Come sta?». «L'hanno spanzata de brutto... nun se campa più al giorno d'oggi... Ma ce vo' provà a tutti li costi... nun molla... Però se dovemo da sbrigà, dottò... oppure ce crepa dentro l'ambulanza... C'ha qualche anno su' moje... ma è bona forte...».
Le presi la mano, lei la strinse: la mia donna
non voleva morire, accettava qualsiasi aiuto.
E forse era troppo
tardi per avere la chance di smentirsi. Ormai le coltellate erano arrivate. Poteva soltanto spremersi per guadagnare un po' di tempo e non fare la figura di quella che veniva caricata sull'ambulanza con il lenzuolo in faccia. Mentre l’ambulanza correva all'impazzata, Layla mostrava ancora qualche segno di vita: nel morire dissanguata, usava gli occhi, non potendo usare la bocca.
Erano
spalancati, atterriti, e cercavano a tutti i costi di farsi rimpiangere... Gli occhi perdevano la presa, guardavano gelati il nulla, la mano si staccava dalla mia... Ormai non potevano più esserci dubbi: la sbottonata sarebbe giunta cadavere. «È morta?!», domandai al portantino. Ma fui lei a rispondere, riprendendo a stringere. Mi aveva sentito. Nel suo cuore di troia doveva sapere perché moriva sbudellata, e forse mi stava chiedendo perdono. Lo apprezzai. Le strinsi la mano con più convinzione. L'avevo perdonata, nonostante tutto. O forse si aggrappava semplicemente all'ultimo appiglio, nel tentativo di arrivare almeno in ospedale. Però mi piaceva questa sua voglia di tirarla per le lunghe, era una puttana dura a morire. Io sarei morto al solo pensiero di riceverle, quelle 23 coltellate... Intanto, fra questi pensieri, l'ambulanza aveva inchiodato. Non era giunta cadavere.
Anche se era chiaro che non l'avrebbe salvata
nessuno.
Altro che Maurizio
Merli...
quello mi avrebbe preso a sganassoni al primo sguardo.
«Tu non potresti mai uccidermi», mi disse, sicura di sé, a un
centimetro dalla lama, con le zinne che gonfiavano la
camicia sbottonata.
«Se devi farlo, fallo qui:
infilzami, trapassami...», e si buttò sul divano,
aprendo le cosce. «Ammazzami, presto! Voglio
sentirmi morire».
La zoccolona entrò in coma e vi rimase per diversi giorni. Io, tuttavia, non ebbi la sfortuna di imbattermi in un novello Marco Antonio che sobillasse la città contro di me. Al contrario.
La Polizia si dimenticò presto di me: una semplice rapina, finita neanche troppo
male, non interessava a nessuno di quei tempi, non faceva notizia.
Ma stavolta divideva con me i soldi che succhiava ai suoi amanti.
E vedeva il totocalcio in maniera diversa. «Perché in questa città i dittatori non vivono a lungo. A parte te...».
Io me l'ero giocata e lei con due colonne aveva fatto 13. di Salvatore Conte (2024) «E di Layla, che mi dici?».
«L'hanno fatta fuori». «Sei sicuro? Quella non l'ammazzi al primo colpo». «Infatti... Ma io l'ho vista con i miei occhi mentre la trascinavano per i talloni - le braccia inerti allungate dietro la schiena - ammucchiandola con indifferenza sugli altri corpi. Senza dubbio s'è mangiata una raffica e le è rimasta sullo stomaco... Non ha avuto scampo». «L'hanno ammazzata per ucciderla? Per farle la pelle, insomma? O è stato un incidente?». «Questo non lo so. Ma posso informarmi». «Fallo. Voglio sapere chi l'ha uccisa e perché. Potrebbero essere stati gli iraniani, o i cinesi; o anche i russi. Layla era scomoda; ma lavorava soprattutto per noi. E cerca di recuperare il cadavere. C'è chi pagherà per averlo, era una grossa puttana; e tu avrai la tua parte». Rod Wallace torna sulla spiaggia dove le fazioni somale hanno ammucchiato i cadaveri, dopo il sanguinoso regolamento di conti. Il corpo della guerrigliera libanese, però, non si vede più. Nel pieno dei suoi cinquantanni, era una grossa cessa molto ambita. Mimetica sempre sbottonata e due zinne da favola. Nessuno aveva mai osato toccarla. «Il corpo non si trova, è sparito dal mucchio dei cadaveri, ma ho preso informazioni e so con quale gruppo si muoveva negli ultimi giorni. C'è stata una contesa tra fazioni e si sono sparati addosso. Durante la tregua hanno radunato i corpi sulla spiaggia. Layla, dopo aver perso diversi uomini, è stata circondata ed eliminata con una raffica di kalashnikov, come avevamo già capito. Mi hanno detto che è rimasta stecchita». «Chi può aver preso il corpo?». «Questo ancora non lo so». «Datti da fare, Rod». Ancora domande, ancora rischi, ma alla fine - come sempre - qualcosa salta fuori. «Pare che il cadavere di Layla sia stato recuperato dai suoi uomini, i pochi superstiti, e portato a bordo del loro battello.
Devo proseguire con l'operazione?». «Certo. Compralo, prima che lo buttino in mare o se lo portino su qualche dannata isola». «D'accordo, ricevuto». Rod Wallace sale a bordo dell'imbarcazione utilizzata dalla libanese negli ultimi giorni. «E così tu vuoi vedere cadavere di nostra signora? Allora tu aspettare...», il bianco dei denti è smagliante. Wallace rimane interdetto. «Non ce l'avete voi? Io pago meglio. Qualcun altro ve l'ha chiesto? I cinesi?». «È okay... può passare...», interviene un altro del gruppo. Wallace viene condotto sottocoperta. C'è una guardia davanti alla porta di una cabina. Sono tutti negri. «Rod... vecchio bastardo...». «Layla...! Questa sì che è una sorpresa... T'avevo dato per fottuta...». «Lo sono...». «Chi è stato?». «Non lo so...». La libanese è affondata sulla branda, pallida in volto, la bocca impastata di sangue, la testa che le cade all'indietro, diversi asciugamani sanguinolenti sulla pancia, e le mani pressate sopra. Wallace aggiunge d'istinto la sua. «Senti, Layla... devo comunicare con il contatto». «Che vogliono...». «Il tuo cadavere... E per il momento, gli farò credere di averlo». «Okay... ma dopo... torna qui... ne ho per poco... Rod...». «Torno subito». Wallace torna sul ponte e chiama con il satellitare. «Allora... hai recuperato il corpo?». «Sì, ce l'ho fatta». «In che condizioni è?». «Ottime». «Bene. Conservalo al fresco, se ti riesce. E manda qualche foto appena possibile». Wallace chiude la comunicazione senza fornire ulteriori dettagli e ritorna dalla libanese. «Quando ti ho visto passare, trascinata per i talloni, sembravi morta stecchita...». «Un colpo... ha sfiorato la spina... Ero tramortita...». «La fortuna ti ha protetto, Layla. Te la caverai...». «Sì... come no...». «La tua barca è all'ancora. Non ti fai portare da nessuna parte?». «È pericoloso...». «Ma... tu... pensi di cavartela lo stesso... vero...?». «Rod... sai usare... la maschera... dell'ossigeno...?». «Penso di sì». «Voglio farmi un giro...». «D'accordo». Wallace si guarda intorno, controlla l'attrezzatura e l'accontenta. «Va meglio?». «Un po'...». «Hai paura?». «Sì... ho paura...», gli occhi guardano lontano, «si vede... vero...». «Un po'...». «Io... sono morta... Rod... ma... la morte che uccide... è quella... che fa paura...». «E che tipo di morte sarebbe? La morte uccide sempre, no?». «No... mi hanno sparato... e mi hanno ammazzato... ma non sono morta... La morte che uccide... non ti lascia scampo...». «E tu hai paura che non manchi molto a quella morte, vero, Layla?». «Io... non sono... una stupida... Rod... Non hai idea... dei buchi... che ho in pancia...», la donna abbassa lo sguardo sugli asciugamani insanguinati. «Ma non sono finita... finché non crepo...». «Giusto modo di pensare». «C'è una complicazione». «Di che si tratta?». «Il cadavere è ancora caldo...». «Che diavolo significa?». «Layla è stata ammazzata, ma non uccisa». «Senti, Rod... non ho tempo da perdere, sputa il rospo». «È quanto mi ha detto lei stessa. È stata colpita a morte, ha preso una raffica in pancia, ma non è ancora crepata». «Cosa?!». «La morte che uccide deve ancora arrivare». «Ma... se non è morta... è stata visitata da un medico?». «Non c'è molto da fare, lo sa anche lei, è preparata». «Layla non se lo merita, è una combattente. Mando un elicottero con adrenalina e plasma». «Non credo ce ne sarà il tempo, comunque tanto vale provare». «Tu falle credere di potercela fare, capito?». «D'accordo». Wallace torna sottocoperta. «Come va?». «Male...». «Fatti un goccio di quello buono...», le porta alle labbra la fiaschetta del whisky. «Sei carino... con me... Rod...». «Tu sciogli tutti... Sei una bella donna, una di quelle che sembrano non nascere più». «Sei bravo... a distrarmi... mentre crepo...». «Stai calma... i tuoi buchi l'ho visti quando ancora fumavano. Non sono facili da gestire... ma una come te ci può provare... Il contatto manderà un elicottero con un kit di emergenza... Le gambe, le senti?». «Sì... ce l'ho...». «Bene, fatti un altro giro...». Wallace aggiorna il contatto. «La maschera dell'ossigeno non basta più. Che fine ha fatto l'elicottero?». «Negativo, ci sono problemi. L'elicottero deve raccogliere una priorità superiore.
Ritorniamo all’obiettivo iniziale: il cadavere
e informazioni sui mandanti». Adesso spari ravvicinati, il nemico è a bordo. È una donna quella che fa irruzione in cabina, pistola in pugno. Punta dritto su Layla e sta per saldarle il conto.
«Ehi...». Wallace la fa voltare e le mette due palle in corpo. La riconosce subito. Si chiama Kelly Maddox, un'esperta di targeting. «Coglione... che fai... mi vuoi ammazzare...». «Lo sai, tu, cos'è la morte che uccide, Kelly?».
La biondona, ingobbita in avanti, lo fissa inebetita. Wallace spranga la porta. «Layla... adesso ho capito...». «Stronzo...», la sicaria è scivolata lungo la parete della cabina, con le braccia strette intorno all'addome. «Ascolta, Kelly... Se non vuoi che la morte ti uccida, devi collaborare. Noi tre dobbiamo metterci d'accordo. Ma intanto sono io il capitano di questa bagnarola». E mentre Kelly è costretta a pensarci su, Wallace controlla che l'ammazzata non sia rimasta uccisa. E tira un sospiro di sollievo. di Salvatore Conte (2024)
Il
pesante corpo della Numero 80 viene trascinato per i talloni fino alla porta
del suo appartamento.
«Naturalmente,
Numero 11: con il taxi faremo in un baleno». Il taxi riparte e - azionando il clacson - il conducente fa scansare i concittadini che affollano la via principale del Villaggio. «Largo, largo... fate passare, per favore...», con una mano a gesticolare fuori dall'abitacolo. L'esecuzione è
avvenuta in pieno giorno.
La Numero 80 - per qualche istante -
è sembrata rimanere in piedi,
lo sguardo deciso, nonostante i
colpi d'arma da fuoco l'abbiano raggiunta in pieno; poi, però, le
gambe hanno ceduto improvvisamente, come se il pavimento si fosse aperto sotto i suoi
piedi; gli occhi della Numero 80 si sono fissati sul soffitto, la bocca
aperta in un'espressione di assorta meraviglia.
Questa la fine della
Numero 80. «Accidenti, quanto pesa! È proprio morta, poverina...». «E in più c'è tutto il piombo che ha incassato». I due vanno diretti in camera da letto. E vengono congedati
all'istante. «Quegli
idioti...», ha appena ripreso fiato. C'è un'autopsia da eseguire. «Numero 80... se non crepi... ti faccio rimettere a posto... Ma dovrà rimanere un
nostro segreto... capito?». Il Numero 2 se ne occupa personalmente. «Teledottore, eseguire autopsia sulla Numero 80». Rispondendo alla voce del Numero 2, diversi bracci meccanici entrano in funzione, agitandosi intorno al corpo di Frigga. {Negativo. Autopsia richiesta in contrasto con protocolli operativi. Numero 80 non risulta deceduto}, una voce metallica risuona nella sala. «Teledottore, calcolare probabilità del decorso medico». {Probabilità di decesso: 94,0%. Probabilità di sopravvivenza...}. «6%, ovvio», il Numero 2 anticipa la risposta. «Teledottore, analisi dei colpi fatali». {Presenza di ferita d'arma da fuoco in corrispondenza di: stomaco. Presenza di ferita d'arma da fuoco in corrispondenza di: fegato}. «Teledottore, rimani in attesa di istruzioni». {Ricevuto}. Il Numero 2 si rivolge alla Numero 80. «Almeno due colpi non ti lasciano scampo, hai sentito?». Frigga annuisce. «Io... io... ho paura...». «Il Teledottore non sbaglia mai. Sei rimasta uccisa, Numero 80; anche se con un leggero ritardo sul programma». «No... il 6... il 6... Numero 2...». «Già, è vero... Teledottore, eseguire protocollo di valorizzazione delle probabilità di sopravvivenza». {Ricevuto}. "La Numero 80 rimane uccisa": è il titolo principale del Tally Ho, il giornale del Villaggio in edizione straordinaria. "Un'esecuzione a colpi di rivoltella. I sicari non le lasciano scampo. Il corpo, gonfio di piombo, è stato trasportato all'Ospedale per l'autopsia di rito". Allorché il Numero 6 legge la prima e unica pagina del giornale, chiama un taxi e si fa condurre all'ospedale. In molti - in effetti - devono aver visto, ma nel Villaggio "a still tongue makes a happy life". Va diretto in sala autopsie e incontra chi voleva. «Che bisogno c'era, Numero 2!», con la tipica aggressività del suo predecessore. «Di sicuro lei sa chi l'ha fatta fuori, e perché!». «Mi meraviglio di lei, Numero 6. Non è degno di lei prestar fede al Tally Ho...», il Numero 2 ricambia l'irruenza dell'interlocutore con divertiti toni sibillini. Il Numero 6 si avvicina al lettino e la osserva. «La volpe non è ancora morta. E questa non è un'autopsia. Tuttavia... se ciò non rimanesse un segreto ben custodito... chi l'ha uccisa potrebbe riprovarci. Mi comprende, Numero 6?». «Mi fermerò qui per un po', allora. Mi fingerò malato». «Molto bene, Numero 6. Io andrò a organizzare i funerali. Teledottore, aggiornare le probabilità di sopravvivenza». {Probabilità di sopravvivenza: 8%}. «Bene. Proseguire con il protocollo di valorizzazione delle probabilità di sopravvivenza. Il Numero 6 è autorizzato a impartire istruzioni in mia vece». {Ricevuto}. BIP-BIP-BIP Suona il telefono rosso: il Numero 2 lo porta sempre con sé. È il Numero 1: non può essere nessun altro. «Tutto finito, Signore. Sì, certamente, Signore... l'operazione è conclusa, i sicari non hanno risparmiato piombo, l'obiettivo è deceduto quasi sul colpo. Sissignore. Certamente. Sissignore». La comunicazione è conclusa. Il Numero 2 è perplesso. «Qui mi gioco il numero, Numero 6...». «Chi è il Numero 1?». Il capo del Villaggio lo osserva, abbassa gli occhi, e se ne va. «Io so chi è il Numero 1! Frigga... chi è stato?», un attimo dopo si rivolge alla donna agonizzante sul lettino d'ospedale. «Ti hanno fritto, non vedi, non capisci?», i toni non sono gentili. La Numero 80 ha subito un'anestesia locale, è in grado di parlare. «Due numeri... hanno sparato... diverse volte... ho avuto paura...». «Ci credo... quali numeri?». «11... e 66... Non mi terrai rancore... per quella volta...». «No, non ti preoccupare; acqua passata». «Io... io... al Villaggio... ci sto bene... A parte il piombo... che ho... sulla pancia...». «Insieme a te ci starei bene anch'io...». «Io... non so se...». «Altrimenti?». «Potrei... essere tua... Numero 6...». «Ci sarà un nuovo Numero 2, Frigga. E tu dovrai stare molto attenta, abbottonarti il camicione e passare inosservata. So che non sarà facile». «Forse... mi serve... un numero... accanto...». «Il 6, Frigga, il 6». di Salvatore Conte (2024)
«Rentcar
ha parlato: grido di aiuto da carro di ferro. Fermato in Gola di Puma».
«Ci siamo...».
«Sono lo Sceriffo. Non avrei dovuto farlo... lo so... ma questo... paesaggio... mi ha fatto perdere la testa...».
«È un valido motivo, signora».
Posso sapere perché quella poliziotta... porta delle penne in testa...
come un indiano nei film?», la donna gli sussurra all'orecchio.
Risponde con una smorfia divertita.
Un sospiro.
Dopo non molto si fermano, è calata l'oscurità.
Ma io paura quando lui arrabbiato». Ma non è un sogno. Luna Tagliente sta suonando. Conosce a perfezione il capolavoro di Bob Dylan, una nota dolente di gioia, che invita a non arrendersi, a stringersi insieme, a ravvivare il fuoco nel bivacco, in mezzo alla prateria, al centro delle tenebre. Basterà questa canzone e la voglia di cavalcare insieme. Sugli occhi verdi scivola la rugiada. A occhio e croce ha più di cinquantanni, ma è ancora nel pieno di una stravolgente, raffinatissima bellezza. Come un fiore che a dispetto delle stagioni rimane fresco, la Frazer fa sospettare che il tempo non sia per tutti uguale.
Non è l'alba, è mattino inoltrato quando Anna riapre gli occhi.
«Anche in quella canzone ci sono poche
parole».
«Non credo sia prudente separarsi dal suo
vice. Le sono così d’impaccio qui dietro?».
«Si occupa di
qualcosa nella vita?». Tu, ragazza di campagna, le insegnerai quello che sai, e tu, Frazer - che vieni dalla città - insegnerai a lei come sopravvivere nelle condizioni più estreme. Sei in prova, ragazza, non dimenticarlo».
E con un colpo di sperone, sferza il vecchio Black e le reni di Anna, lanciandosi lungo il pendio. Il bestiame di Wilcox è stato avvelenato, le solite vecchie storie. La Frazer ha imparato a cavalcare e a sparare. È una dura, la città l’ha resa forte.
Quel giorno lo Sceriffo è nella Riserva, Luna
Tagliente a tradurre una detenuta nelle prigioni dello Stato, e Frazer di servizio
in paese.
«Idiota! Non dovevi sparare!».
Mettere pressione agli sceriffi della zona e
fare uscire fuori chi ci ha fregato a Tres Cruces.
Sono prontamente scattate le indagini della
Polizia di Stato sulla rapina che è costata la vita all’impiegato postale di Hot
Water, Bill Walker.
Secondo talune indiscrezioni, l'impennata di
rapine registrata negli ultimi mesi sarebbe da ricondurre al colpo presso la
banca di Tres Cruces, in cui la piccola filiale è stata alleggerita di una cifra
enorme, ritenuta provento del narcotraffico.
«Luna Tagliente fatto segnali a gruppo di
idioti, con tavoletta che brilla», è un raro momento di pausa, per far rifiatare
i cavalli e osservare il territorio.
Mandali via.
Si sentiranno al sicuro e si sbronzeranno».
Cavalca con occhi vuoti. Forse è meglio che non sia riuscito a convincerla.
I pick-up sono quattro.
Anna è già in groppa a Black. «Prendo questi…
Scusi, mi sente?». Vanno a passo lento.
Hanno battuto sentieri selvaggi.
Nuovo successo per la Polizia dello Stato, le
cui serrate indagini hanno portato al rilascio delle due donne rapite nella
Contea di Hot Water. Però non è facile conoscere tutti, nemmeno per uno Sceriffo.
La MORTE SEGUE LA TUA OMBRA di Salvatore Conte (2024)
C'è un grande fiume, ma non
siamo in Africa, né in America: siamo a Londra. Si è fatta le ossa tra canali, banchine e anse del fiume.
La carne, invece, se l’è portata da Newcastle. Nonostante l'età matura, era ancora solida e potente, prima di andare a sbattere contro un tumore galoppante all'intestino. La Fata, però, non si preoccupa del tempo che le rimane: ciò che conta è il presente, la camicia bianca gonfiata dalle tette e allentata fino allo stomaco; il suo marchio di fabbrica; ne è passata d'acqua sotto i ponti, da quando era una giovane puttanella delle periferie degradate; Morgana è un grosso pesce nato nel Tyne e che ha preso il largo, risalendo il Tamigi. Ma sembra venuta dal bagnato Norfolk, dove l'erba è grassa e - tra la nebbia - si intravedono le solide sagome delle vacche al pascolo. Morgana è sempre molto ricercata; adesso poi la cerca - con un mandato d'arresto internazionale in mano - anche l'Ispettore Brannigan della Polizia di Chicago, quale presunta mandante di un omicidio commesso nell'Illinois. «La Fata deve essere eliminata», l'ordine parte dai piani alti di un grattacielo della City. C'è però chi va per le spicce e odia la burocrazia.
È la stessa Scotland Yard che provvede alla sua sicurezza, utilizzando il comodo
artificio di un testimone sotto protezione nella residenza adiacente. Un boss di
un certo livello è inserito nel sistema e quasi nessuno dei pezzi grossi ha
voglia di rivederla stesa sotto un lenzuolo, fino alla faccia...
Ascoltando
il suo nome,
le viene istintivo girarsi.
STUMPF!
È vecchia e malandata, ma alla pelle ci tiene
ancora.
«Tira su, dai. Io tolgo gli ormeggi». E pensare che temevo morisse di cancro... Guarda che pezzo di fica alla sua età...». «A me sembra una vecchia bagascia...».
«Ascolta... non è in acqua da molto... proviamo...».
«A farle un massaggio!».
Il
compagno ha collegato i piedi della donna alla batteria dell'imbarcazione.
Forza, attacca!».
Respira!».
«Lo scotch, presto… e l’ovatta…».
L'amico lo guarda stupito. «Le vecchie... raffinerie... andiamo là... ma rimanete... nascosti...». «Va bene, le conosciamo, c'è buona pesca da quando sono chiuse. Fred, accendi il motore. Io rimango con lei». L'Ispettore Brannigan non crede alla storia della misteriosa scomparsa di Lady Morgana, è convinto che Scotland Yard lo voglia bidonare; ha saltato alcuni appuntamenti in ufficio, e un barbone c'è rimasto secco, ma questo non dimostra che la signora sia stata rapita; così si dà da fare per conto proprio e combina un bel casino tra le sonnolente anse del grande fiume.
«Fammi bere… non reggo più…», la richiesta di
Morgana è pressante.
«Tirami su le
gambe... presto...», ancora una richiesta, per cercare di
mandare più sangue al cuore. Le prova tutte.
«Pescatori… potere... pallottole... la Fata muore...», sussurra farneticante,
nel delirio dell’agonia. Bill si allontana per qualche istante. «Ho chiamato il nostro veterinario», dice a Fred. «Tenterà qualcosa. La Fata non merita di crepare così...». «Sei impazzito? È finita... non lo hai capito? Così passeremo dei guai... Non se la caverebbe nemmeno all'ospedale». «Lei si fida di noi... Ricostruirà il suo impero grazie a noi... diventeremo potenti». «Quella è solo una vecchia puttana... e forse è già crepata mentre stiamo qui a parlare». A Bill viene l'atroce dubbio che Fred possa avere ragione. Tutto regolare. Il veterinario li aspetta alle vecchie raffinerie. Ma non può certo immaginarsi un pesce tanto grosso. «Posso aiutarla a tirare avanti, ma non ne ha per molto. La ferita allo stomaco è mortale. E poi è malata di cancro: vedete? Questi gonfiori sono accumuli di ascite, liquido tumorale dei malati terminali. In ogni caso da qui non si può muovere, va tenuta con le gambe sollevate e sotto costante osservazione». «Te l'avevo detto, io...», sussurra Fred, nell'orecchio dell'amico. «A meno che...», Bill, proprio lui, rimane appeso all'amo, «non mi facciate provare un farmaco di mia invenzione, ancora alla fase sperimentale. Su alcuni pesci ha funzionato». «Ma... è assurdo...», replica Fred. «Avanti, John... provaci... la torta è grande e c'è una bella fetta anche per te». «Non prometto niente, sia chiaro. Il farmaco, se tutto funzionasse, stabilizzerebbe l'emorragia allo stomaco». «Molto bene. Puoi farcela, John. Ti lasciamo con lei». «Io... io... non voglio crepare... senti... senti che roba...». Rimasta sola con il veterinario, Morgana gli prende la testa e se la preme contro le zinne. Lui rimane paralizzato, sotto l'incantesimo della Fata. Soltanto un muscolo si muove; e cresce... Anche in fin di vita, la grossa bestia del Norfolk colpisce ancora! Qualcosa, però, non fila per il verso giusto. La Fata si sente mancare! Spalanca la bocca... cerca di compensare! Sta rantolando! Morgana stringe il culo, la situazione le sfugge di mano! Ma il veterinario è già intervenuto. Ci sa fare. La Fata può rifiatare. «Veterinario... vita... vendetta...». La grossa puttana ha ancora il controllo. E continua a sguazzare nelle acque torbide del grande fiume. L'Ispettore Brannigan ha fiutato la pista giusta; alle raffinerie dismesse è arrivato - via terra - anche il vecchio bisonte americano, e si è portato dietro mezza Scotland Yard. Nella banda della Fata si è subito aperta la lotta per la successione al potere e quello è il loro covo segreto, dove vanno regolati i conti. Morgana aspetta in disparte. Hanno cercato di fotterla e ci sono quasi riusciti. Ma senza di lei al comando, andrà male anche a loro, ne è convinta.
E ha tutte la ragioni del mondo. Un grosso boato la raggiunge mentre lotta ancora per tirare avanti. Bisogna avere la scorza dura per nuotare a lungo nel grande fiume. |
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