La pistolera è attesa dal verme di Salvatore Conte (2024) Marc doveva farla fuori.
Il Capo si era stancato di lei. Aveva fatto la cresta sugli incassi per l'ennesima volta. E l'ultima. Quando Marc Robson chiamò Layla Dakmak e le disse che voleva parlarle, la donna si informò. Aveva degli amici nella stanza dei bottoni, amici che non avevano resistito all'impatto delle sue tette da puttana. Marc sarebbe venuto per ucciderla. Era venuto il momento della resa dei conti con il suo Capo, e lei sarebbe stata al gioco. La stanza dei bottoni doveva trasferirsi da lei e coincidere con la sua stanza da letto: in questo modo sarebbe divenuta la stanza dei bottoncini... Sorrise a quel concetto...
Si era fatta una scrofa, il lontano ricordo della donna perfetta che era stata, ma piaceva ancora. Inoltre era più esperta e decisa di un tempo. Non si sarebbe fatta togliere di mezzo... Marc fu puntuale. Layla lo fece accomodare - l'incontro era a casa sua - e si stappò una lattina di birra ghiacciata - senza usare bicchieri - passandone un'altra all'ospite. La Dakmak era quasi irriconoscibile rispetto a pochi anni prima: sformata come una grossa vacca, aveva il collo che le scoppiava e ciccia gonfia dappertutto; la stravagante tinta bianca dei capelli la rendeva ancora più bolsa; le restituiva un po' di prestigio il camicione lungo a tunica, fitto di bottoncini. Nonostante tutto, piaceva ancora, e parecchio. Lavorava in un grande dipartimento ed era lì che spacciava la merce, in società con una guardia giurata. Oltre a spacciare, aveva eliminato diversi rivali, a richiesta del Capo. La poltrona del soggiorno, sotto la sua imponente figura, sembrava un trono. «Di che mi devi parlare?». «Cose importanti, da parte del Capo». «Inizia pure…». «Okay, ma dammi il tempo di ammirare il panorama…», dopo uno sguardo fortemente allusivo, Marc si accese una sigaretta e cominciò a camminare verso l’ampia finestra del soggiorno, dando le spalle alla donna. La Dakmak, intanto, pensò che non fosse necessario ascoltare le stronzate che Marc stava per spararle. Lui era di spalle e lei poteva saldargli il conto senza inutili sceneggiate. La sua Beretta calibro 9 era a portata di mano tra i cuscini della poltrona. Quando Marc tornò a voltarsi verso la donna, vide la prolunga della canna puntata contro di lui. «Che significa, stronza?!». «Significa che so tutto, idiota». «Chi è che ti passa le informazioni? Quel coglione di Johnny?». «Johnny sarà pure un coglione, ma mi è fedele. Tu, no. Tu sei ancora fedele al Capo. E il Capo è vecchio, ormai. È tempo che le donne si facciano avanti…». «Senti, senti… donne come te, per esempio? Che aspetti, allora, fottutissima stronza? Premi quel grilletto…». «Hai ragione, Marc. Mi hai stancato…». La Dakmak protese il braccio in direzione dell’uomo e fece fuoco senza esitazioni. STUMPF Marc, però, rimase in piedi. Niente sangue, nessuna reazione. STUMPF STUMPF La Dakmak sparò ancora, visibilmente irritata. Quando la donna cominciò a capire, Marc aveva già estratto la pistola.
E dopo averla fissata negli occhi, le piazzò un colpo nella pancia! STUMPF Layla sobbalzò all’indietro, schiacciandosi contro lo schienale della poltrona. «Aspetta...!». Per una come lei ci voleva altro. STUMPF La seconda pallottola la raggiunse allo stomaco. L’espressione della Dakmak cambiò radicalmente: gli occhi schizzarono fuori dalle orbite, la bocca si spalancò a cercare aria. Era fatta. Marc l’aveva fottuta. Tuttavia, l'imponente donnone - animato da una vena di follia - voleva sfidarlo ancora. Lo fissò, umettandosi il labbro, facendogli credere di avere ancora il controllo. STUMPF Marc infierì con un altro colpo allo stomaco. Stavolta Layla fu colta dal panico. Un grosso fiotto di sangue le salì in gola, facendole mancare il respiro; strabuzzò allarmata i grandi occhi marroni, e alla fine, piegandosi in avanti, riuscì a sputarlo fuori. Marc sorrise divertito. Poteva bastare, per il momento. Abbassò la pistola e si avvicinò alla donna. «Sei fatta, Layla...». «Chi è stato… a fottermi…?», farfugliando con la lingua fra i denti. «Non dubiterai di Johnny, vero? No… lui è un tuo schiavo. È stato Ric… dovresti scegliere meglio i tuoi amanti… o almeno controllare che non mettano mano alla tua Beretta… ma temo che non avrai abbastanza tempo per imparare. Non hai più controllato l’arma da quando Ric l’ha caricata con proiettili fasulli… e lo so perché c’è una spia che vede tutto… anche oggi che volevi fottermi, ti sei limitata a innestare il silenziatore. Decisamente troppo poco. Io, invece, non lascio nulla al caso. Hai fatto una stronzata, e io ti ho fottuto, Layla». «Mettiti con me… Marc… insieme… non ci fermerà nessuno…». «Non sei stanca di dire stronzate? Ti ho fatto il servizio, il mio piombo non scherza…». La Dakmak lo sapeva bene. «Bastardo… hai mai scopato… una come me…?». «Dovresti sapere che sono un professionista: le donne rallentano i riflessi, e per me i riflessi sono tutto. Ma soprattutto sei diventata un cesso, fai schifo». Per tutta risposta, la Dakmak prese a palparsi il seno. Anche se grassa, il suo prestigio e la sua voglia di vivere la rendevano ancora sensuale. Marc cominciò a pensare che non c’era fretta di saldarle il conto… Senza volerlo, però, la donna si afflosciò contro lo schienale della poltrona. Gli occhi imbambolati roteavano alla ricerca di qualcosa su cui fermarsi. La bocca era spalancata in modo inquietante. «Te l’ho detto che il mio piombo non scherza, no? Ehi, Layla… mi senti? Mi è piaciuto come incassi, sai? Proprio una gran troia, anche mentre crepi…
Ma ora che c’è? Ti va storta? Pensavo lo reggessi meglio il piombo...».
Layla avrebbe voluto reagire, ma i buchi la stavano
divorando.
«Ti va di giocare ancora un po'...?».
La Dakmak era rimasta sola: con tre
pallottole in corpo, ma incredula di essere ancora viva…
Quel maledetto
cellulare…
Sì, era di là. All'ingresso. Era lì che
l'aveva lasciato. Doveva arrivarci. Layla sembrava crederci. Col
sangue alla bocca, la donna protese in avanti il braccio destro
per coprire, strisciando, il terreno che la separava dal cellulare.
Poi, prima
dell'irreparabile, la mano destra si protese disperata in aria, staccandosi
dal pavimento: «No! Aspetta...!».
La lasciò
implorare... La testa della donna ricadde pesante sul parquet.
Marc Robson la guardò soddisfatto: conto saldato e lavoro finito. Layla non lo sentì nemmeno entrare. Johnny la rivoltò supina.
Lei lo fissò incredula con lo sguardo annebbiato. L'ambulanza ripartì a sirene spiegate. Layla Dakmak tentava l'ultima corsa. di Salvatore Conte (2023)
Francia,
1789.
Una procace, lardellosa
cameriera tra i 40 e i 50, dedita ormai più all'alcol
e alla prostituzione che non al proprio lavoro, frequentatrice di canaglie,
e truffatrice ella stessa, avvezza a vivere di espedienti, ma con smanie di grandezza e la
capacità di
esercitare sugli adepti della setta rivoluzionaria un fascino sinistro e
ambiguo, quasi ipnotico; una praticona con le mani in pasta quasi ovunque;
vestiva spesso una tunichetta bianca molto succinta, che metteva in evidenza le
forme grasse e arrotondate: spalle, braccia, zinne, cosce e culo, tutto era in
ordine e in bella mostra; e sopra a tutto si stampavano il sorriso accogliente e
la faccia simpatica e goliardica, lontani dalla sua vera natura di donna infida
e manipolatrice.
Ma la resistenza della piccola guarnigione cittadina fu superiore a quanto previsto:
si combatteva corpo a corpo, baionette contro forconi.
Il destino era in agguato, spesso si avvantaggia della confusione. «Uuuhh…!», l’urlo strozzato di Liliane la Grande, gli occhi sbarrati, la paura che la sferzò come un vento gelido.
Per un attimo i loro occhi si incrociarono: lui l'aveva
riconosciuta, lei vedeva Parigi allontanarsi.
Era il trionfo di Liliane la Grande, guastato da una brutta ferita, che però ne
esaltava, oltre i suoi stessi meriti, l’eroismo rivoluzionario.
Per riuscire a farla stare seduta, l'avevano imbottita di
alcol, il suo amato alcol. Benché fosse già agonizzante, fu deciso di fucilarla, per non correre rischi e rendere la punizione esemplare. E venne fucilata su quello stesso seggio. L'altalena del potere le era risultata fatale. Un attimo prima della fine - con sei carabine puntate contro - ebbe un sussulto e gridò: «NO!», con tutte le forze rimaste, guardando disperata negli occhi i suoi carnefici.
Chissà... forse sperava che quell'urlo potesse disturbare la
concentrazione di qualcuno dei fucilieri. Niente "Viva la Rivoluzione": un urlo ben poco eroico, dunque, ma la realtà è quasi sempre altro rispetto alla retorica delle cose, specie quella di una puttana di questo genere. Rimase sospesa a schiena dritta per un attimo che sembrò infinito… Approfittò di quell'attimo per guardare ancora negli occhi i giovani fucilieri.
Uno sguardo strano. Non di odio. Ma quasi di perdono. E
perfino di ringraziamento.
L’ufficiale lasciò la presa e la testa tornò inerte al suo
posto, piegata sul petto.
Probabilmente ci si aspettava che l'esecuzione di Liliane la
Grande,
colpita a morte in battaglia, venisse sospesa e la rivoluzionaria lasciata
morire della sua ferita.
Dobbiamo provare… forse non è ancora morta». L'atmosfera si fece pesante. Fu la volta dei sali. La lingua della donna scattò come una molla sotto il palato. Gli occhi al cielo, alla ricerca di un raggio di luce; le mani rattrappite a morte, a grattare l'aria come fosse una parete di roccia.
Era viva. Sebbene più morta che viva. Non completamente morta. Più che una diagnosi, un'autopsia. «Insomma, hanno sparato storto», concluse il rivoluzionario; non tutti, ma una buona parte. «Storto... in che senso?», il medico non aveva capito. «Egregio dottore, il servilismo militare ha una sua graduazione, come tutto del resto.
Anche la vista dicono abbia una
sua graduazione; in ogni caso, non tutti ci vedono bene;
non tutti sparano bene; non tutti hanno voglia di sparare a
sangue freddo».
Poi si rivolse
al compagno: «Sentito? Soltanto due pallottole mortali…». Certamente non pensava di risvegliarsi viva e poteva inoltre sentirsi soddisfatta di aver impressionato più della metà del plotone di esecuzione, inducendo diversi fucili a sbagliare la mira. Insomma, da un punto di vista democratico, aveva vinto. Aveva ipnotizzato anche gli elettori più estremi, era il Sindaco di tutti.
In fondo non aveva ancora ceduto l’ultimo respiro: quei
giovani, estremi elettori le avevano concesso una piccola possibilità, un
difficile mandato, e lei - per quanto piccola o difficile - l'avrebbe afferrata
oppure portato a termine. A tutti i costi.
Sembrava indemoniata, era feroce e faceva quasi paura. Tu stai bene qui, Liliane la Grande. Con noi. Con me. Tu non partirai.
Se parti, il freddo ti ucciderà per sempre. Tu stai bene qui,
fa caldo fra di noi, fa caldo qui con me. L'IMPALATA di Salvatore Conte (2024)
L’agonia può durare ore, anche giorni, se non vengono compromessi gli organi
vitali. E chi è bravo a impalare, riesce a evitarlo, così da garantire al
pubblico estenuanti e spettacolari agonie, concedendo alla vittima il tempo di
suscitare compassione.
Il primo passo sarebbe stato quello di metterla in posizione orizzontale, con
tutto il palo ancora conficcato dentro. Proprio come adesso, nella camera della vigile attesa di Avandas, dove Frexa, la cortigiana impalata, lotta per guadagnare altro tempo, mal rassegnata a cedere. È stata colpita da una congiura di palazzo; nel modo peggiore; ma secondo precisi rituali. Prima impalata in pubblico, poi deposta a furor di popolo, sviscerata e assistita, mentre singhiozza e impreca, aspettando la morte. Impalata con un'asta appuntita di legno, da sotto a sopra, con il bastone fatto fuoriuscire dalla spalla destra. Chi rimane fedele alla vittima, o comunque chi se ne fa impietosire, ha il diritto di assisterla con acqua e cibo, senza però toccarla. Molti i messaggi di solidarietà lasciati ai suoi piedi:
Non lasciarti andare, Frexa!
I magistrati controllano che
l'antico rituale sia rispettato. La vittima viene tenuta ferma, immobilizzata, all'atto dell'impalamento: per il suo stesso bene... se così può dirsi.
Lo shock è comunque enorme e di per sé letale: solo chi è dotato di un'estrema
forza di volontà e di profonda durezza può riuscire a sopportarlo.
Dopo due lunghissimi giorni di agonia, aveva ormai
impietosito mezza Avandas. Il palo è stato introdotto con grande perizia: il cuore della potente cortigiana è illeso e il polmone è stato appena sfiorato.
Frexa è ancora in grado di lottare.
Vuole suscitare compassione e ottenere le
migliori cure.
Uno nero, al momento della fine.
Ma c'è perfino chi non rinuncia per nulla al
mondo.
La morte assedia la cortigiana, il nemico la
città. di Salvatore Conte (2024) «Forza… dobbiamo muoverci… intanto ci avviciniamo... Mettiti qualcosa addosso, Cristo...!». «Ma dove… lo sai che sto male… non ce la faccio…», si preme l'addome. «Andiamo… non fare la stupida… se rimani qui, ti ritroverai con qualcosa di peggio nella pancia!». «Peggio di quello che ho?».
«Esattamente». «Che vuoi dire…». «Che stanno per venire qui, perché hanno deciso di saldarci il conto. Dobbiamo sgommare, e subito!». Bravo, Sal: il termine è appropriato. «Non dimenticare la pistola: venderemo cara la pelle».
«Ho capito... ho capito... la mia, però, non vale molto...». «Hai ancora un paio di settimane, non buttarle via...».
«Così poco...? Ma che dici, cocco?
Io voglio salvarmi...». «D'accordo, rifarai la radio... tenteremo il tutto per tutto... ma adesso muoviti, Betty!».
Con la complicità di Sal Conte, un mafioso italo-americano, Betty Coleman si è sbarazzata del suo pidocchioso lavoro di fioraia; la cosa, però, non le ha portato molta fortuna, perché un tumore galoppante all'intestino, con gravi metastasi al fegato, l'ha messa in ginocchio. Tuttavia, neppure il cancro le ha tolto il vizio di godersi la vita. Ha deciso di lottare fino all'ultimo, con la bava alla bocca, e tanti soldi in tasca.
«Hai preso i pannolini?». «Certo...».
Insomma, la potente Betty Coleman si è vista diagnosticare un tumore aggressivo al colon, giunto rapidamente allo stadio 4. C'è poco da fare in questi casi. La 48enne è andata nel panico. Non ci sta a crepare. È ancora bona e vuole invecchiare. Betty Coleman, quasi crudele nella sua determinazione, sta tirando avanti più a lungo del previsto, aggrappandosi a qualunque mezzo, con la faccia gonfia a causa dei farmaci che la rende ancora più troia e la camicia sempre sbottonata. Adesso, però, la resa dei conti è vicina. Non ha fatto altro che entrare e uscire dall'ospedale, per il prelievo dell'ascite, il liquido tumorale prodotto dalle budella marce, e per continue ecografie, eseguite nella speranza che il tumore desse qualche segno di rallentamento, dopo le sessioni urgenti di radioterapia, dal modesto risultato finale.
La Coleman è arrivata alla stretta finale. Guadagnare tempo le rimane sempre più difficile. Per cercare di entrare dentro Area 51, dove si dice esistano terapie efficaci contro il cancro, Sal Conte ha riciclato 6.000.000 di dollari, restituendone solo una piccola parte. E con certa gente, gli sgarri si pagano cari. Ma sono le ultime cartucce e vuole spararsele tutte, anche a costo di rimanere uccisa imbottita di piombo. Sal procede lungo la vecchia Route 66. Betty ha già i suoi problemi. Il mafioso le vuole evitare un’indigestione di piombo. Hanno con sé un bel po' di soldi. Potrebbero nascondersi e aspettare che la situazione precipiti senza pressioni esterne. Non si sa con precisione quando avverrà. Ma potrebbe essere presto. La 48enne ha retto il gioco anche troppo. Basterebbero un'emorragia fulminante, o un blocco intestinale, per affossarla. «Possibile che non bastino sei milioni di dollari per entrare ad Area 51?». «Forse basteranno, stanno decidendo. Non sono i soldi il problema principale». «Ah no? E cosa, allora?».
Io intanto... io non mi sento bene, Sal... trova un posto e fermati», la voce è pressante. «Qui intorno non c’è niente. Siamo a Two Guns, una pompa-fantasma». «Che cosa?».
«Va bene, fermati lì...». «Si può sapere che hai?». «Sto male… te l’ho detto… cosa pretendi…». «Dimmi che hai». «Mi fa male la pancia… ho bisogno di andare... dammi la pillola…». Betty si è bloccata. E il farmaco non riesce a stapparla. La cosa è dannatamente seria. Il tumore l’ha invasa, ma il malato non si rassegna mai, spera sempre di avere altro tempo. Ormai, però, basta poco per aggravare un quadro critico come il suo. «Ti faccio una siringa, Betty». «No... aspetta... qualcosa si muove...». La conferma presenta il suo lato sgradevole, ma è meglio così. La Coleman l'ha sfangata. I due si sistemano all'interno della vecchia stazione di servizio. E cala la notte. La Coleman ha avuto paura: un campanello d’allarme ha squillato forte dentro la sua testa. Le rimane poco, ma vuole vivere. «Ascolta, Sal… sei tu che gestisci gli affari... loro vogliono te... non me... nessuno mi toccherebbe...», c'è un lampo di lucida follia negli occhi diabolici della 48enne sbottonata.
Betty ha deciso di fregarlo. Si fa consegnare il revolver e lo infila nella borsetta. «Addio, bello. Non ti ammazzo… ma non cercare di seguirmi...», dice, ironicamente, la donna. POW Uno sparo che non fa rumore, in un posto come quello. Non lo ammazza, ma gli fa saltare un ginocchio.
Prende la valigetta con
i soldi e se ne va.
POW «Bene. Andiamo a sistemare il socio, adesso». «Sempre che non sia già morto, amico. Ti ricordi lo sparo?
La puttana deve averlo fatto fuori».
POW
La borsetta non l'hanno
controllata. Dare le spalle a una signora è decisamente sconveniente.
Specie se si tratta di
una grossa puttana arrabbiata.
POW È contenta e al tempo stesso disperata. Non sa più cosa fare, non ha la forza per fare niente. L'unica cosa certa è che non vuole crepare. Intravede qualcuno. Improvvisamente le
torna un po' di spirito. «Hai preso... i soldi...?», con l'acqua alla gola si preoccupa dei soldi. «Ti ho giocato... un brutto scherzo… lo so… ma non voglio crepare…
No... non voglio morire...». Attento... ce ne sono altri...».
Spuntano due luci.
Sal non reagisce, sarebbe inutile. Appoggia la sua mano su quelle di Betty, strette intorno all'addome. Un colpo d'abbaglianti richiama la sua attenzione. «Stai qui e niente cazzate, okay? Vediamo chi sono», Sal scende dall'auto.
Poco dopo vede caricare la Coleman sulla Black Ambulance e ci sale lui stesso. «Le cose risultano peggiorate rispetto a quanto dichiarato nella richiesta. La richiedente, oltre al tumore in stato terminale, è affetta da indigestione di piombo, mentre l'accompagnatore si presenta con il ginocchio spappolato. Tutto questo comporta un sovrapprezzo di... diciamo 2.000.000 di dollari.
D'altra parte la richiedente è un indiscutibile pezzo da
collezione»,
di Salvatore Conte (2024)
«La Porta di Roma, uno dei posti più belli al mondo, che inebriò Enea e lo spinse a proseguire». «Stai attenta, Anna, sorella di Didone: guardati dagli Eneadi!». «Tutte queste cazzate per una pisciata? La prossima volta andiamo al bar». Ma il discorso prosegue in macchina. «Mai in nessun luogo l'idea di grandezza e sacralità ebbe una realizzazione così eloquente». «Stiamo lavorando, Johnny». «Gli Dei atavici esprimono il loro disegno sotto i nostri occhi».
«Solo chi è cieco non vede». «Puoi fare una pausa, Cristo?! Giusto per incassare i fottuti testoni che ci devono».
La Sbottonata cerca di rimanere sulla breccia, ma è in pieno declino. Con le sue camicette allentate esprime la frustrazione per l'età che avanza, i capelli grigi e la tanta cellulite fuori controllo. Soltanto che - anziché passare di moda - si è fatta ancora più bona. Non annoia mai e la camicia sbottonata è sempre perfetta su di lei. Nel quartiere la conoscono e rispettano tutti. Qualche donnaccia, forse per invidia, ha provato a ribattezzarla "la Cessa", perché si sarebbe allargata troppo e i nomignoli popolari sono impietosi e non risparmiano nessuno; tuttavia la cosa non ha preso piede e alla Magliana, Anna è ancora la Sbottonata.
Durante un diverbio, degenerato in regolamento di conti, in una villa sequestrata della Magliana, Anna Frezzante si è presa una pallottola nello stomaco! L'hanno beccata lì proprio per farle dispetto, perché qualche anno prima non osava sbottonarsi tanto. Però sta seduta sulla poltroncina come nulla fosse, in attesa che gli altri finiscano di discutere. È una bestia. E anche loro lo sanno. Anna sta aspettando l'occasione giusta per portarsi da un dottore e farsi dare un'occhiata al buco. Per la legge della Mala non si deve pensare troppo a sé stessi... vengono prima gli interessi della Banda, ma lei si sente superiore alle regole. Le regole non valgono per una come lei.
Siccome la discussione sulla rappresaglia da imbastire prosegue a oltranza (anche se, magari, parlano pure di lei, dove portarla e a chi metterla in mano), la Sbottonata pensa bene di guadagnarsi una via di scampo. Farà una cosa molto semplice: salirà in macchina e raggiungerà l'ospedale; in barba alle regole. «E Anna? Dove cazzo è finita?». L'assenza di una bestia del genere non passa a lungo inosservata. Non al Negro, almeno. Mentre gli altri continuano, compreso Johnny, lui si sfila e va a controllare. Conosce la Sbottonata sin da quando era rientrata da New York, dove aveva lavorato per i Gambino. Vuole salvarsi. Ma se uno della Banda ha paura e ricorre all'ospedale, allora non merita rispetto. E la pizzica, infatti, mentre si avvicina ingobbita all'auto. «Anna! Conosci le regole...». «NO! NON VOGLIO MORIRE!», urla, spaventata, voltata verso il Negro. Ma la villa è isolata, oltre che sequestrata per abuso edilizio, riciclaggio di denaro sporco e connessi reati di stampo mafioso. E comunque nessuno chiamerebbe la polizia, a meno che non sia nuovo della zona. E la polizia non prenderebbe sul serio la chiamata. Due revolverate in pancia. La bocca che si spalanca, il corpo massiccio che sussulta, le gambe che si fanno molli. Frana su sé stessa, striscia d'impulso per un paio di metri, scarica la disperazione e si blocca di sasso. Adesso il Negro sa che la Cessa non sarà messa in mano a nessuno. Il problema non si pone più. E torna dai compagni. «Che cazzo è successo? Dov'è Anna?». Il silenzio del Negro è eloquente. Johnny e Cassandra vanno a vedere.
Cassandra Jelen è la slava della Banda. Degli spari non devono preoccuparsi.
Qui la polizia non entra. «Ho portato fuori il cane e ho sentito degli spari da una villa qui vicino, credo sia sotto sequestro...». «Mi dà l'indirizzo? Bene, stiamo controllando, rimanga in linea. Esercitazioni di polizia, signora; normale attività d'istituto, su terreno confiscato e quindi di proprietà pubblica; la preghiamo di non allarmarsi». «Ah... meno male. Però che paura!». «Grazie per aver chiamato e non si preoccupi».
Le coperture sono tali che nessuno verrebbe mai a ficcare il naso qui dentro. Ma dei buchi che hanno fatto, sì. Di quelli devono preoccuparsi. «Ma dico, sei scemo? Anna non è una qualunque», si lamenta Cassandra. «Dai, portiamola dentro», Johnny va sul pratico. I due salgono al piano di sopra. La carcassa di Anna Frezzante pesa parecchio. «Cerca dell'ovatta e prendi degli asciugamani». La Jelen, bona e sbottonata anche più di Anna, tampona i buchi della collega. «Dannata stupida: guarda come ti sei combinata...». «Fanculo... troia...», vuole dirglielo subito, così è sicura di fare in tempo. «Johnny, stalle accanto: crepare la rende nervosa. Io avviso il capo che è finita».
Torna di sotto a concludere il vertice e
intanto telefona. Buchi, guasti, disfunzioni: la buccia senza la polpa e il succo. Come la sintesi raccoglie l'essenziale, la trascrizione omissiva raccoglie il superfluo. E il boss ne approfitta per dissertare sull'acqua marcia del Tevere con la sua platea silenziosa; non disdegnando di offrire in pasto qualche pesciolino e suggerire l'eliminazione di concorrenti troppo ambiziosi.
E qui i buchi sono tre e la polpa quasi un
quintale.
Accanto a lei è rimasto Johnny...». La trova stravaccata sul letto matrimoniale, con gli occhi vitrei puntati contro il soffitto, la bocca spalancata che cerca di trovare aria, e le braccia larghe e rassegnate di chi ha incassato troppo piombo. «Accidenti... la Sbottonata c'è rimasta secca...», sussurra, prima di avvicinarsi. Si siede accanto a lei e sposta da una parte gli asciugamani impiastrati di sangue che Johnny le preme sulla pancia e lo stomaco. Il capo osserva attento i buchi, Cassandra ha omesso di raccontargli i particolari, il Negro pure. «I bastardi che l'hanno ammazzata sono due... Bisognerà vendicarla. Anna era diventata una potenza... non voleva più fermarsi...», c'è una coda di biasimo nella sua voce. È sottinteso che si era fatta troppo ambiziosa. «Anna... mi senti?». Finita l'ispezione, Johnny rimette subito gli asciugamani a tamponare i buchi e ci preme sopra le mani. Forse Anna non si è arresa. «Capo...», lo intravede appena, mantenendo gli occhi al soffitto. «Acqua…». Le bestie hanno sete mentre muoiono. «Anna... stai combattendo da un’ora e mezza...
La partita non è ancora finita?». E per dimostrarglielo - con le dita tremanti e sanguinolente - si allarga i lembi della camicia sbottonata... e geme languida... E pensa a vendicarsi, sussurrandogli qualcosa, mentre il suo capo la palpeggia.
«È vero... mi stavo... allontanando... ahh... Ma lui... non doveva... spararmi... in corpo... ohh... Potevo... salvarmi... adesso ho paura... tanta... paura... uhh... Ma lo faccio... per mio padre... ohh... gli prenderebbe... un colpo...», la Sbottonata giustifica così la sua paura di morire. «Attenta all'ultimo bottone, Anna. Potrebbe staccarsi da un momento all'altro...», l'ironia macabra del capo la ferisce più di una pallottola.
Gustato l'ultimo show della Sbottonata, il
boss si tira in disparte.
Ehi, capo! La
bella sbottonata nel fosso... pancia all'aria nella marrana... a caccia di un
bacio dal principe azzurro...», il Trilussa della Magliana colpisce ancora. È la fine di Anna Frezzante, la fine di una grande donna. Merita il Tevere.
Altra mezzora di cottura e poi è pronta». Organizzo il movimento». La Sbottonata, ormai incosciente, viene caricata in auto e affidata con precise istruzioni a due scagnozzi. I due incaricati, con il cadavere ancora caldo della Sbottonata, salgono su un piccolo motoscafo e si dirigono a valle. Le istruzioni sono precise. Per i personaggi della Banda c'è una sepoltura speciale. In mezzo al Tevere. Renatino è stato un caso a parte. Sul molo intravedono la bestia di Cacciavite, l'imbalsamatore della banda. Li sta aspettando di fronte all'Isola, con il cofano aperto: sta regolando i carburatori del suo GT 2000 anni '70; è una sua fissazione. Lo traghettano e si avviano alla necropoli. È l'Isola dei Morti voluta da Traiano. Il corpo della Sbottonata viene trasportato su una carrozzella per disabili: occhiali scuri e cappello da signora completano il look; un asciugamano da spiaggia a coprire i buchi. Ma anche così raccoglie troppi sguardi. Decidono allora di abbottonarle la camicetta fino al colletto; er Puzzola le asciuga il labbro che cola sangue; la faccia cadaverica rimane quella. Gli inservienti chiudono al pubblico una parte della necropoli: lavori urgenti di consolidamento delle strutture. «Ahi! Ma chi cazzo...?». Er Trippa si gira intorno, ma non c'è nessuno a un metro, a parte la Sbottonata e il Puzzola. Ha appena rimediato un calcio. Attimi di perplessità. Poi anche il braccio ha uno spasmo. «Ora la calmo io...», Cacciavite sta preparando una siringa: servirà a solidificarle il sangue. «Buttala». «Johnny!? Che cazzo ci fai qui?», la voce è der Trippa.
«Ehi, un momento... metti giù la pistola», interviene er Puzzola. «Adesso ve la racconto io: voi tre lasciate il cadavere dov'è e ve ne tornate alla base. Alla sepoltura ci penso io». «Vaffanculo, stronzo!», er Trippa s'incazza. «Sì, stronzo!», er Puzzola lo segue. POW POW POW Gli spari fioccano sull'Isola dei Morti. Er Puzzola frana sulla Sbottonata, Cacciavite se la svigna, Johnny crolla sulle ginocchia. Er Trippa ha vinto il piatto. «Hai fatto lo stronzo, Johnny! E ora sei fottuto... Ma non riposerai con questa troia. Finirai in un fosso. Addio...». POW POW «Mi ha sempre... fatto... incazzare... chi mi chiama... troia...». Anna ha avuto un sussulto, svegliata dai colpi. Con la rivoltella der Puzzola, finita tra le sue mani, ha dato il fatto suo ar Trippa. Johnny è stato colpito all'addome: un solo colpo e sembra già moribondo, a dispetto della Sbottonata, che si tiene in corpo tre confetti e tira ancora avanti. Sono bloccati a breve distanza l'uno dall'altra: lei non è in grado di muovere la carrozzella, lui fatica a rimanere sulle ginocchia. «E meno male che ho capito dove stavi andando...». Altro colpo di scena: entra Cassandra. Si avvicina alla Sbottonata. «Veniamoci incontro, Anna. Siamo donne d'altri tempi, noi due». La Frezzante cede il revolver. La Jelen le sfila gli occhiali scuri e le allenta la camicetta come piace a lei. «Cassandra... non voglio finire... dal cassamortaro... ohh...
Voglio Johnny... sulle ginocchia...»,
Anna non rinuncia a fare la stronza, neanche in fin di vita. La slava spinge la carrozzina verso Johnny, che morirà in estasi, e le afferra una mano. «Cassandra... io... ho paura... ahh... papà... non deve saperlo... tu gli dirai... che sono tornata... in America... uhh...». «Stai calma... una come te non l'ammazza nessuno.
Tu sei una bestia, Anna». Ha una cera pessima.
Sta per cedere. Va avanti con la forza della disperazione, alimentando il fragile riciclo dell'agonia:
«Per te ci vuole un bacio dal dottor Morton, Anna; quello che rianima anche i cadaveri; sarà lui il tuo principe azzurro; altro che Cacciavite, o quest'Orfeo da strapazzo con il buco... Avanti, Johnny... tirati su. O rimarrai qui per sempre. Ma senza Anna. Lei viene con me». La slava sa come rimetterlo in moto, prima di farsi largo tra gli inservienti che tranquillizzano i visitatori: solo la scena di un film, scusate il disagio e la chiusura anticipata per disinfestazione straordinaria. Tutto cambiano le sponde del Tevere, favole e miti inclusi. LA PISTOLERA È ATTESA DAL VERME di Salvatore Conte (2024)
La
famosa pistolera se la tira parecchio. Bella e con tanta carne nei punti giusti. Molto femminile, di sicuro, ma altrettanto virile: la pistola con cui uccide è il suo cazzo. E ce l'ha bello duro.
La scena,
poi, è da manuale. I comprimari sono stati liquidati. È il momento dei protagonisti. La tensione è al culmine. Le pistole stanno per cantare.
Il
verme per mangiare.
BANG
I
fantasmi del passato aleggiano su di lei come avvoltoi.
Il sangue le sale in gola, la testa le gira:
la Lopez
perde la presa sulla colt, il cazzo si ammoscia e
la puttana crolla sulle ginocchia! La situazione si fa imbarazzante!
D'improvviso si sente il verme addosso... «Ci siamo anche noi...».
Quasi offesi di non essere
ancora cadaveri, sono giunti in ritardo alla resa dei conti.
È in ansia per sé stessa,
vuole salvarsi anche stavolta, ha il cazzo duro per una vecchia puttana
che ci prova fino all'ultimo. Con occhi allucinati - mentre i quattro rimasti in piedi si fronteggiano minacciosi - raggiunge la colt e la impugna...
La
mitica Incassatrice non fa troppi calcoli, non ha molto da perdere. BANG BANG BANG Wood lo mette a tacere, ma è troppo tardi: la Lopez è stata colpita di nuovo!
L’impatto la fa rovesciare pancia all’aria...
Senza tanti riguardi, Wood afferra la Lopez
per gli stivali e la trascina sul terreno. Le braccia si allungano parallele
dietro la testa, gli occhi al cielo, la bocca aperta, due buchi in corpo...
Per un po’ non succede niente.
La bella messicana se la vuole stirare fino
all’ultimo; senza farsi illusioni. «Premi forte...», le porta sopra le mani.
La marcia può riprendere. «Due botte così... sono... tanta roba... per una signora...». «Due botte così sono tanta roba per chiunque». «Tu ci scherzi sopra... ma quando crepo... anche tu... ci rimani male...». «Ti conviene risparmiare il fiato, se vuoi vivere un altro po'...». «Io so... che... uno sceriffo... non incassa... le taglie...». «No, se li prende all'interno della propria giurisdizione. Tuttavia qui mi trovo fuori dalla mia giurisdizione...». «Prenderai... anche... i miei 4.000...? Come donna... io... io... valgo... molto di più...». «E va bene... vediamo di trattarti un po' da conto».
Wood ferma
il carro e le offre della tequila. Scuote leggermente il capo. «Ho paura... Alan...».
Gli cade addosso. «Romina... non dirmi che hai mollato...». La messicana sta morendo sulla sua spalla.
«Romina!», cerca di scuoterla.
Ne conosco uno... che fa miracoli. Il carro si è messo a correre nella prateria desolata. THUD THUD Wood si è perso un paio di taglie. A causa dei sussulti, i seni pesanti di Romina ballonzolano impazziti, senza freni, nella loro ultima corsa! «Forza, ragazza, vai bene così! Anche i morti là dietro si stanno agitando...». Non arriva nessuna reazione.
Gli occhi della pistolera sono fissi nel vuoto! Wood non si ferma. Anche se ormai balla con il morto. BANG BANG Si annuncia con la colt ed entra a tutta velocità nel pueblo abbandonato. «Diablo! Sceriffo avere fretta!» «Ce l'ha lei», indica al brujo la pistolera. Le sta buttando in gola altra tequila. Come la pianta che sembra definitivamente secca, ma che rialza le foglie dopo un po' d'acqua, Romina reagisce sbattendo le palpebre. «Usa tutti gli intrugli che hai. Ma fai presto! Non ce la fa più!». «Tu mai chiedere cose facili, ma questa superare tutte! Poi curare anche passeggeri dietro carro?», chiede polemicamente lo stregone, mentre corre a prendere qualcosa. «No, quelli vanno bene così!», è anche un negromante, perciò meglio non fargli capire male. Intanto Wood indica i cadaveri ai pochi peones che abitano il pueblo: «Ce ne sono un paio che sono caduti lungo la pista. Potete andare a riprenderli, prima che gli avvoltoi li rendano irriconoscibili: ve li lascio, ci rifarete tutto il pueblo. Anzi ve li lascio tutti.
Lo Sceriffo Wood ha molto di più da incassare. «E se vedo qualcosa che striscia, gli sparo».
di Salvatore Conte (2017) SCREEKKK... «Venga... l'aiuto... Ma cosa le è successo? Le metto addosso la mia giacca... La porto subito all'ospedale, non si preoccupi». «No... scrivi... Waterloo... Avenue... Ma fai presto...». «Come vuole, signora, spero che lei sappia cosa stia facendo». «20...». «20, cosa? Il civico, il numero civico, certo, mi scusi. Sa... non capita tutti i giorni di... beh. Dirò che una signora mi ha chiesto di accompagnarla a questo indirizzo. Va bene, così?». «Non ho molto tempo...». «Sì, certo. Naturalmente. Mi do una mossa».
«Hai sentito? Hanno sparato in corpo a Chana!». «Ma che mi dici?». Tre!». Non può essere... com'è potuto accadere?».
«Te lo dico io... stava facendo il bagno all'aperto, nella vasca termale, all'interno della sua villetta... Ci sono volute tre raffiche belle pesanti per mandarla giù». «Per forza: Chana è un bisonte! Se non l'hanno centrata al cuore, deve aver lottato...». «Cerca di avere pazienza e ascolta. L'hanno avvolta, nuda com'era, in un telo di plastica, caricata nel cofano e trasportata alla villa del boss. Dicono che fosse ancora viva, quando è arrivata al cospetto del capo». «Incredibile...». «Era un bisonte, l'hai detto tu stesso. Il boss ha diffuso un comunicato ufficiale: ha contato diciotto pallottole in corpo, di cui - confermate dal medico - addirittura due al fegato e tre allo stomaco. Eppure, voleva ancora salvarsi». «Quanto c'ha messo a crepare?». Stava ancora lottando. Ma il boss le ha sparato in corpo altri due colpi! Poi l'hanno avvolta di nuovo nel telo e mollata in una discarica abusiva. Presto ritroveranno il corpo». «Chana fottuta! Da non crederci... S'è fatta ammazzare... Quasi non riesco a concepire che sia rimasta uccisa, aveva sempre mille trucchi... Però a volte non c'è nulla da fare, neanche per un bestione come quello... mai vista una così: troppe pallottole, suppongo... Certo è un colpo, non me l'aspettavo...». «Nemmeno io, se è per questo. Te la ricordi che vacca bestiale alle feste del boss?». «Me la ricordo, eccome; sembrava invincibile. Ero costretto a chiudermi in bagno e a tirarmi una sega, quando la vedevo. Ecco perché non capisco».
«È facile fare una mossa sbagliata, ricordiamocelo anche noi...». Il corpo di Chana non si trova». «Ma come è possibile?». «La discarica è abusiva, ma abbastanza frequentata. Ovvio che non si tratta di brave persone, ma almeno una telefonata anonima l'avrebbero fatta». «E quindi?». «Forse un qualche necrofilo si è preso il corpo». «Chiamalo pazzo...! Comunque se non c'è il corpo, non c'è il delitto: perché il capo dovrebbe prendersela?». «Al boss non frega niente delle indagini, lui è coperto. Ma voleva dare un avvertimento. Bella vacca ritrovata in discarica con una ventina di pallottole addosso: vuoi mettere? Adesso invece gli amici penseranno che abbia semplicemente cambiato aria. Perciò vuole ritrovare il corpo. E ha sguinzagliato i suoi uomini, compreso me e te». «Da dove partiamo?». «Dalla discarica». «Questo è sangue... Parte dai margini della discarica e arriva fino alla strada principale. Tutto ciò è molto strano». «Il maniaco l'ha trascinata, prima di caricarla in auto». «Ci sono due cose che non tornano: Chana è stata abbandonata con l'involucro di plastica ancora addosso ed è strano che il maniaco non se ne sia servito a sua volta; ma soprattutto è strano che abbia corso il rischio di farsi notare: la strada qui sopra è piuttosto trafficata». «Che cosa ne deduci?». «Che qualcosa puzza. Sembra come... Lo so, è difficile da credere. È come se Chana fosse sgusciata via dal telo di plastica... e avesse strisciato fino alla strada, per fermare un'auto di passaggio: la scia di sangue, in questa maniera, avrebbe un senso». «Vuoi dire che poteva essere viva con venti pallottole in corpo? E dopo essere stata avvolta in un telo di plastica?». «Non dimenticare che Chana non è una donna normale. È un bestione, un bisonte. E questi teli da trasporto, in genere, non vengono chiusi ermeticamente. D'altronde sappiamo che al primo viaggio è sopravvissuta. Una vaccona come lei, se si mette in testa di non mollare, può reggere abbastanza a lungo da tentare l'impresa...». «Già... un bisonte... ma non erano estinti? Supponiamo che - grazie alla forza della disperazione - sia arrivata fino alla strada. Poi cos'ha cercato di fare?». «Un'auto l'ha vista e si è fermata. Non poteva farsi portare in ospedale. Il boss l'avrebbe terminata facilmente. Quindi... ha chiesto di essere portata da qualcuno che lei conosce e di cui si fida». «A me il citofono ha suonato, hai ragione... Era il vicino che si lamentava del mio cane, però. Non una bella vacca con venti pallottole addosso...». «Non fare l'idiota. Due anni fa Chana ha scoperto di avere un tumore all'utero: una brutta storia. Però, non si sa come, è sopravvissuta fino a oggi, senza mai farsi ricoverare». «Peraltro in buona salute...». «Andiamo a casa sua...». «Waterloo Avenue #20: curioso, è lo stesso numero di pallottole che si è ritrovata addosso. Ed è anche la sua Waterloo...». «Ma qui dice che è un veterinario...». «Ti risulta che Chana avesse animali? Passiamo a prendere il tuo cane e andiamo». «Un veterinario per un bisonte... è perfetto!». «Il suo cane gode ottima salute, signore. Raramente ho ricevuto un padrone tanto premuroso». «Vede, dottore... noi vorremmo che anche lei godesse ottima salute per almeno altri cinque minuti...». Il medico sgrana gli occhi. «Adesso lei manderà via gli altri clienti, offrendo loro una visita gratuita, e poi farà quattro chiacchiere con noi. Pensi alla sua salute, adesso, dottore». «Come volete, temo di non avere scelta». «Bene, è stato convincente. Adesso vorremmo sapere come mai una nostra amica, che non ha né cani né gatti, si ritrova il suo biglietto per tutta casa». La faccia del veterinario è una conferma esplicita. «È deceduta? Vorremmo vedere il corpo, se non le dispiace». «Temo di non avere scelta. Seguitemi». «Per tutte le corna dei bisonti d'America prima di Colombo!». «Bingo!». Chana giace sul lettino, in mezzo a una selva di portaflebo come alberelli e apparecchiature mediche come cespugli. Sembra abbastanza deceduta. Ma il bisonte è vivo. Indossa una camicia bianca del dottore, magistralmente gonfiata dalle zinne da vacca. È sempre lei, fino all’ultimo. «Quanto le rimane?». «Non molto. Anche se vorrebbe salvarsi». «E se la portassimo in ospedale?». «Diventerebbe la principale causa di morte». «Il rancore per i suoi vecchi colleghi le offusca il giudizio, dottore?». Il medico lo fissa con aria perplessa. «Lei è stato radiato dall'albo per le sue cure sperimentali. E così si è riciclato tra i veterinari, senza perdere il vizio...». «Non discuto più da parecchio tempo. Se avete un'arma, potete fare come credete. E se pensate di allungarle la vita portandola in ospedale, fate pure...». «Che si fa, Mike?». «Non vorrai riportarla al capo, spero. Chana è una bella donna, non ce ne sono tante così. Chi è che non commette degli errori, dopotutto?». «Ti ho chiesto se possiamo fidarci di un medico radiato dall'albo». «Ma scusa... ha preso venti pallottole e non è ancora crepata del tutto. Questo tizio ci sa fare, si vede. Se prendeva la mazzetta, nessuno lo avrebbe radiato». «Giusto. Dottore, vorremmo farle qualche domanda», indica Chana. «D'accordo. Ma solo pochi minuti, per favore». «Promesso». La libera da qualche impaccio ed è pronta. «Che errore hai commesso? Quanto gli hai fregato?». {Venti...}, parla con difficoltà, ha la lingua inceppata, il medico l'ha bombardata per tenerla a galla. «E per 20.000 dollari ti ha fatto il servizio? Tu ne vali di più». {Venti... milioni...}. I due si guardano basiti. {Possiamo... dividere...}. «Ma allora...», la cosa lo fa morire dal ridere, «il capo ti ha sparato gli ultimi due colpi... non per ucciderti... ma per fartela pagare... è fantastico...», sembra trasognato, ha perfino dimenticato l'offerta di Chana. La rabbia le fa sciogliere la lingua, è carica come un bisonte. «Sto morendo... non capisci... senza quei due colpi... avrei potuto salvarmi...», chiude piangendo lacrime asciutte; le brucia da morire sentire la fine addosso, un qualcosa che le scava dentro e che non può controllare. «Hai ragione, Chana. Scusami. E cerca di riguardarti. Un'ultima cosa... Torneresti indietro?». «No... muoio senza rimpianti... ho rischiato... ho pagato...». «Me l'immaginavo, Chana. Avresti potuto morire sul colpo, lo sai, vero? Il cuore, la testa, l'aorta: neanche una come te avrebbe potuto farci niente». «Lo so... ma non è successo... e allora... c'ho provato...», con la delusione che le attanaglia la voce; adesso ha capito di aver lottato per allungare un'illusione. «Ma lui ti avrebbe comunque sparato addosso altri due colpi: io lo trovo fantastico». «Io... macabro... per due milioni... mi sono strozzata... mi sono giocata la pelle...», Chana ha afferrato il concetto, è una ragazza sveglia. «A proposito di quei soldi, Chana...». «Li ho cambiati... con settemila bitcoins... le chiavi... sono nel caveau di una banca... un direttore che mi scopo... intoccabile...». «Hai pensato a tutto, Chana. Sei la ragazza che tutti vorrebbero sposare. Se ripenso a quello che hai fatto... Devi esserti spremuta tutta per trascinarti fino alla strada... avrei pagato per esserci», la stuzzica ancora. «Dovevo... riuscirci... a tutti i costi... oppure... sarei rimasta lì... per sempre...». «Mai temuto di non farcela?». «Mai... avevo... ancora birra... e tanta voglia...». «Lo rifaresti?». «Sì... mi eccitava da morire... darlo in culo... a quello stronzo...». «Anche adesso ti senti eccitata?». Con la mano stringe forte il lenzuolo. «Adesso... ho paura...», ha capito che è stato tutto inutile. Chana cerca disperatamente di agguantare la salvezza, ma stavolta non c'arriva, le sfugge, anche se le dà la beffarda, tragica illusione di esserle arrivata vicino. «Ho tentato... il tutto per tutto... Sono arrivata sulla strada... e poi fino a qui... Ma adesso… ho capito... che non posso sfuggire... al mio destino... Ne ho per poco... Troppi buchi... Il dottore... non può... tenermi in vita... a lungo... Mi sono illusa... Ma ne ho... per poco... ho paura...». Sono le ultime parole di Chana. Ha giocato un po' con lei, ne valeva la pena; non la rivedrà viva, tutto tornerà al suo posto, il corpo nella discarica, maneggiato da un necrofilo. «Togliamo il disturbo, dottore. Buon lavoro. E naturalmente... acqua in bocca... Ah, un'ultima cosa», lo prende sottobraccio e parla sottovoce, allungandogli un bigliettino, «quando arriverà il momento, ci chiami... passeremo a salutarla e a ritirare il corpo... Per lei ci sarà una bella mancia, dottore». Sulla porta lo chiama. «Fred... ripassa... non ne ho per molto... voglio qualcuno... vicino a me...». «Sistemo alcune cose e torno. Tu fatti trovare viva». «Quanto ci metti...». «Un paio d'ore. Pensi di averle?». {Sbrigati... Fred... mi sento strana...}, è tornata a farfugliare. «Tornerò in meno di due ore, Chana». E sarà per vederla affogare tra i rimpianti, per assistere alla sua fine; una fine di cui nessuno saprà niente. La salvezza sembrava a portata di mano. Il mistero del cadavere scomparso rimane appeso alla flebo. di Giorgio Scerbanenco e Salvatore Conte (1967-2024)
Il killer le aveva svuotato addosso due caricatori di mitraglietta. Passò un camion carico di barbabietole e quando l’uomo al volante vide quello scempio, bloccò i freni di colpo. Poi, con le sue robuste braccia, avvolse la donna in una coperta e corse verso Bologna, all’ospedale di Sant’Orsola. «Voglio arrivare prima che muoia...».
A un certo momento capì che stava morendo, sentiva il sangue
che le usciva dalla bocca coagularsi quasi prima di
arrivare sui secchi fili d’erba brinati di gelo, tra i quali era distesa. Stava arrivando anche Natale, avevano combinato di andare, lei e James, a Milano e poi sul Breuil. Si erano conosciuti a un ricevimento del Console Inglese, e lui c'era rimasto secco. Finalmente James Bond aveva deciso di prendere moglie, voleva mettersi a posto.
Rabbrividendo più per la paura di morire che per il freddo
pungente, strisciò tra la bruna erba rigida di gelo, segnando del suo sangue
quella stessa erba, verso le luci delle
auto che in quella gelida notte di dicembre fiorivano sulla strada. Dopo quasi un minuto passò un camion con rimorchio, trasportavano barbabietole da zucchero dal basso Ferrarese a Milano.
L’uomo al volante, benché annoiato dal
russare del suo compagno nella cuccetta alle sue spalle, era uomo prudente e
attento e, anche, nonostante il suo aspetto forzuto e grossolano, molto
sensibile, e appena vide quelle mani gocciolanti sangue attaccate al guardrail, illuminate bestialmente
dalla violenza dei fari del suo camion, appena capì che si trattava di un essere
umano, una donna, bloccò il camion di colpo davanti al guardrail, e il suo
amico, per la frenata brusca, sbatté la testa contro la parete della cuccetta, si
svegliò e disse: «Cornuto».
Con le sue robuste braccia,
sotto la luce dei fari del camion, come stesse provando la scena di un film, in quell’alba di mezzo dicembre sulla strada vuota, sollevò quella che continuava a
pensare: non voglio rimanere uccisa, e che era stata, fino a poco prima, una
bella donna matura, e che adesso era una sbottonata agonizzante; la sollevò e la tenne in braccio, così:
formosa e sanguinolenta. E nuda. Aveva solo la sua camicia, sbottonata fino allo
stomaco. Niente sopra, niente sotto. Tanti buchi e tanti bottoni. Aveva tanti
buchi in corpo quanti bottoni sulla camicia. Le mani erano intrise di sangue, la paglia era rossa. «Però non devi correre così, non voglio ammazzarmi io per salvare lei».
Il
forzuto che guidava continuò a spingere l’acceleratore, Bologna era a meno di
venti chilometri. «Fra un minuto è morta, vorrei arrivare prima che morisse», ma
sapeva di dire una sciocchezza, perché non si possono fare venti chilometri in
un minuto, a meno di non essere su una Giulia, però lui tentava.
«Eccolo lì, l’ospedale Sant’Orsola», disse quello che
guidava, fissando la lampadina rossa davanti all’ingresso dell’ospedale, e
bloccò poi di colpo. «È viva?».
Aprì il cancello. In apparenza si trattava di un essere umano di sesso femminile, ma doveva essere stata colpita da una lunga scarica di mitra, perché era tutta sforacchiata, in tutto il corpo, perfino alle gambe, uno stinco spezzato da una delle pallottole della raffica veniva fuori dalla pelle. Inoltre sarebbe dovuta essere morta, più di una dozzina di proiettili le avevano attraversato il corpo e gli organi più vitali: invece non era morta, il polso batteva, sentì il medico anziano.
«Plasma», disse, ma la suora lo aveva già pensato da sé e stava
già chiamando al telefono l’infermiera dell’emoteca. «Scusi, suora, ha un po’ di latte freddo?», quello che non capiva era come quella donna potesse essere ancora viva. Probabilmente era questione di minuti.
«Sì, dottore», disse la suora, sorvegliando la caffettiera che
cominciava a fumare. «È arrivata anche la polizia, ci sono i due camionisti che
aspettano», se non pensava lei a questi particolari, i medici, che avevano un po’
del tonto, non si ricordavano di niente. La donna era semi-nuda, forse perché i suoi assassini avevano voluto umiliarla. Era stata colpita da almeno un paio di raffiche da dodici colpi ciascuna.
E questo era tutto. Non sapevano chi era. I due camionisti dissero che l’avevano trovata sulla strada tra Ferrara
e Bologna, e non sapevano niente altro. Bologna è piena di caffè, i bolognesi si trattano bene e quel caffè era uno dei più nobili della città.
Quei due, nell’angolo più buio, parlavano a voce così bassa
che era come se non parlassero. «Dove sta?». «All’ospedale Sant’Orsola». «All'obitorio... brutta fine... Ma se l'è cercata... voleva sempre più soldi per quei documenti...».
«È viva».
Gli abbiamo
svuotato addosso due caricatori». E adesso io ti spiego che cosa può succedere.
Forse lei non può parlare, e allora non ha ancora detto i nostri
nomi, e tutta la storia. Questa è
l’ipotesi più ottimistica, mi capisci, deficiente?». Poi le mandano in giro, per sapere chi è. A me importa poco che alla fine scoprano chi è, perché alla fine lo scopriranno; quello che voglio è che non parli. È evidente che finora non ha parlato, se no saremmo già al chiuso, ma se è una di quelle gatte con sette vite che non muore mai, è questione di ore, ma parlerà, e allora saltiamo noi e tutto il giro.
Vai subito al Sant’Orsola, e finiscila: non deve parlare. Se parla, sei morto,
non solo tu, anch’io e molti altri».
Vai prima che parli».
In ogni caso, se anche era viva, fra pochi minuti non lo sarebbe stata più, a lui non piaceva
sbagliare due volte. Questa volta la gatta dalle sette vite sarebbe morta davvero, non gli importava neppure di andare in galera, tanto i suoi capi lo avrebbero tirato fuori, e con la borsa ondeggiante guardava i numeri sulle porte: quattro, cinque, sei, sette...
L’undici era il suo numero, pensò, preparandosi ad aprire la borsa degli attrezzi
per levarne la mitraglietta. Abbassò la maniglia, la porta si aprì e lui entrò.
Allora l’uomo in tuta la vide, dietro il telo trasparente
della tenda a ossigeno; la vide e tirò fuori la mitraglietta, o quasi. FLOP! L'ometto si accartocciò a terra, in un frastuono cacciaviti e chiavi inglesi.
Il chirurgo visto prima l'aveva operato al cervello con una
calibro 38.
La stessa cosa che premeva al chirurgo.
La Frezzante mosse il capo per dire di sì, che parlava.
L'avevano minacciata, lei aveva avuto paura e per un po' era
stata al loro gioco, ma quando si era decisa a uscirne, ecco cosa le era
accaduto... «Adesso devo visitarla io, signori», disse il chirurgo. «Metterò tutto a tacere, cara. Ma devi stare attenta a non rimanere assassinata». E le strizzò le zinne, proprio come lei aveva sognato. |
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