Un giorno nella grande Solky e nella sua perla di Monte Sirai 4 giugno 2004. Alzataccia all'alba (eccezione irripetibile per una vacanza) e partenza da Santa Teresa di Gallura, direzione Carbonia (dall'estremo nord-est, all'estremo sud-ovest della generosa Sardegna). Dopo un viaggio interminabile, e tuttavia appagante, giungiamo nei pressi di Carbonia. Ma delle promesse indicazioni per Monte Sirai, ancora nessuna evidenza (le promesse erano giunte da internet, ma si sa, la dura realtà è molto più cruda del lieve virtuale...). Poco male. Non rimane che addentrarci nell'abitato, e subito ci viene incontro, rassicurandoci, un vistoso tabellone pubblicitario relativo all'Hotel Tanit (buon segno...). Poco dopo siamo sulla strada giusta e cominciamo ad ascendere il colle. Giunti in vetta, il Sole è generoso ed illumina un orizzonte mozzafiato che ci ripaga da solo del lungo itinerare. La cittadina fenicia di Monte Sirai, avamposto nell'entroterra sardo della grande Solky (Sulci, attuale Sant'Antioco), è molto cambiata da allora, e tuttavia questo orizzonte è rimasto il medesimo che quell'antica popolazione prescelse e condivise. E non crediamo solo per ragioni strategiche e difensive; motivazioni spirituali e religiose afferenti il culto della Natura e del Creato sembrano altrettanto e ancor più rilevanti. Esaurito il primo piacevole momento, ci rendiamo conto che il sito (benché di rilievo internazionale, modernamente organizzato, e recentemente ristrutturato con fondi comunitari) è in realtà totalmente deserto. Nessuna traccia di presenza umana. Del promesso punto di ristoro (sempre internet), rinveniamo stavolta un'evidenza, ma è un'evidenza ben chiusa a chiave. La stagione turistica non è ancora cominciata, il personale è ovunque carente, etc. etc. Non rimane che propendere per una precipitosa ritirata a Carbonia, al fine di consumare un frugale spuntino, e così evitare di stramazzare inopinatamente di fronte al Tempio di Astarte. C'è tempo fino alle 15, orario "promesso" (con tanto di avviso in vecchia solida carta) per l'apertura pomeridiana degli scavi. Il dubbio mi accompagna fino a Carbonia; nel frattempo, diffondo un falso ottimismo intorno a me... Ma ora arriva la parte migliore. La Guida giunge in perfetto orario, nota subito la nostra presenza (non era impossibile), e ci saluta motu proprio, con tipica e composta generosità sarda. Finalmente un essere umano sullo sperduto Monte Sirai. Ed io non mi lascio sfuggire l'occasione. Lo seguo senza indugio all'interno della biglietteria-bookshop, pensando: "davvero è qui per noi? Davvero ha intenzione di aprire gli scavi a due sconosciuti?". Ebbene sì. Lo farà. Fatti i biglietti, ella ci guida all'interno. Per sua stessa ammissione, si tratta di una giovane donna "sardo-fenicia". Ed è una Guida elegante, professionale e cortese, empatica verso il nostro interesse un po' speciale; tutto ciò renderà la visita pienamente riuscita. L'emozione si fa sentire quando varco la soglia dell'antico Tempio di Astarte; la sacralità del luogo è palpabile, e dalla bellezza strutturale e cromatica delle pietre delle fondamenta, traspare la pia devozione per la Massima Dea, posseduta da quell'antica comunità. Altra tappa importante è quella alla tomba ipogea a camera, recante il famoso Segno di Tanit "ribaltato" (ovvero la testa stilizzata della Dea è posta sotto il corpo triangolare). La nostra competente Guida, qui fattasi Sibilla cumana a tutti gli effetti, cita una serie di ipotesi a riguardo, tutte interessanti, fuorché quella dell'errore umano, invero piuttosto irriverente (il Segno di Tanit era talmente diffuso e rispettato, da potersi agevolmente paragonare per importanza sacrale al nostro Crocefisso: nessuno penserebbe oggi di spiegare un crocefisso ribaltato con l'ipotesi dell'errore umano; inoltre tale presunto errore avrebbe potuto essere facilmente corretto da altri scultori, tanto più che si trattava di una tomba di famiglia). Ci convince invece un'ipotesi di grande raffinatezza culturale, cui la stessa Guida aderisce: la scelta dello scultore o del committente indicherebbe una forma di sincretismo con la cultura autoctona arcaica, nella quale tale capovolgimento grafico (riferito in specie a figure umane stilizzate, rappresentate "a testa in giù" in diverse tombe pre-nuragiche) era preposto ad evidenziare il passaggio tra la vita e la morte, ed in particolare l'affermarsi dello spirito sul corpo. A questo punto una domanda sorge dall'anima: ho io, ed ha altresì la società stessa, il diritto di considerare "cose" queste tombe puniche in cui hanno trovato riposo i nostri simili di un tempo lontano? Domanda da riprendere. Intanto la Guida ci rivela che il Segno di Tanit è stato da poco danneggiato (per fortuna non gravemente) da uno squilibrato (o piuttosto da un Eneade? Insinuo io, silenziosamente). Dunque le raccomando di serrare con cura l'ingresso alla tomba... Giunti al Tophet, sono curioso di sapere quale dottrina ci sarà rivelata dalla Guida: sacrifici infantili o cimitero per bambini neonati non ancora "battezzati"? Ebbene scopro che la prima teoria ha perso ogni credito in Sardegna (così sarà infatti anche a Sant'Antioco). E' sorprendente e piacevole scoprire come il movimento culturale sardo sia divenuto l'avanguardia della seconda teoria. E' sorprendente per me che mi confronto polemicamente (a difesa del prestigio di Tanit) con ambienti culturali (in specie anglofoni) ancora in larga maggioranza aderenti alla teoria dei sacrifici infantili. Il rapido evolversi di una teoria a lungo sedimentatasi intorno a false testimonianze storiche, mostra come sarebbe altrettanto possibile mutare repentinamente (e per le stesse ragioni) il quadro interpretativo relativo alla Regina Didone, ove si considerassero con maggiore apertura i dati a disposizione. In particolare come emerga chiaramente l'identità assoluta tra Didone e Tanit. Dunque i bambini che non hanno superato l'allattamento, che sono morti prima di aver cominciato a parlare o a camminare, o prima di aver ricevuto un nome dalla comunità, vengono sepolti in un'area a loro dedicata, sacra a Tanit: il Tophet. Poiché il bambino non è ancora entrato a pieno titolo nella vita della rispettiva famiglia, è la Suprema Dea di Cartagine e di Libia che si prende cura di lui. La Grande Madre di Cartagine riceve sotto la propria personale protezione tutte le anime dei pargoletti innocenti (cf. Virgilio, Eneide 6.426/29). Questa è la religione fenicia come rifondata a Cartagine da Didone (Prima Sacerdotessa di Astarte, secondo Virgilio) nell'VIII sec. a.C. (cf. Gerhard Herm, L'avventura dei fenici, Garzanti 1997; p. 201). E' a questo secolo che risalgono i tophet più antichi, tra cui quello di Solky/Sulci. Tanit non è altro quindi che il nome divinizzato di Elissa/Didone (ritenuta dal suo popolo un'ipostasi di Astarte; cf. Silio Italico, Le Guerre Puniche 1.81/2), composto con elementi etimologici berbero-libici che sottendono il carattere "ecumenico" della Divinità, protettrice dell'intera regione libica, oltre che di Cartagine (come il prestigio e la tendenza al sinecismo di Didone, descritti da Virgilio, confermano pienamente; cf. Eneide 1.522/3, 1.574). Terminata la visita agli scavi, è d'obbligo una sosta al ben fornito bookshop, dove scopro alcuni interessanti articoli d'artigianato antropologico, e dove non mi lascio sfuggire una maglietta con Segno di Tanit "capovolto" disegnato a mano, promettente opera di una giovane artista sarda di nome Agnese, dalla ricca sensibilità culturale. E' in allestimento un sito web ove potranno essere richieste informazioni sugli articoli proposti. Ringraziata cordialmente la nostra paziente Guida, il viaggio prosegue con la visita della limitrofa Sulci punica, affiorante ad ogni passo dalle viscere della Sulci moderna (la splendida Sant'Antioco). Ci colpiscono l'atmosfera familiare della cittadina sarda, e la cordialità di tutte le guide turistiche, nonché la massima serietà con cui interpretano il loro ruolo. La visita guidata di Sulci è articolata su cinque diversi siti, perfettamente mantenuti. Presso ognuno di questi ci attende una guida diversa, già informata dalla precedente (tramite radiotrasmittente) del nostro imminente arrivo. Stessa benevola accoglienza presso "Lo Scarabeo", il punto vendita di artigianato sardo di qualità dedicato alle riproduzioni archeologiche. Quasi vezzeggiati da tanta ospitalità, rimpiangiamo solo la brevità della nostra visita. Informazioni sulle attività culturali proposte dalla Cooperativa Archeotur di Sant'Antioco, possono essere richieste al seguente indirizzo: info@archeotur.it; oppure è utilmente consultabile il loro eccellente sito web (provare per credere): www.archeotur.it. Monte Sirai e grande Sulci: due realtà diverse, ma entrambe appaganti. Un plauso agli esperti operatori (veri custodi di una preziosa tradizione), una domanda polemica alla classe dirigente (dopo che abbiamo appreso del generale scontento per il "mistero" del Museo fantasma): perché il Museo fenicio-punico di Sant'Antioco, progettato da oltre 30 anni, ed ultimato da tempo, non è ancora funzionante? Dopo una domanda che ci riporta al tema generale del nostro sito, non ci rimane che ripercorrere i passi della mattina con spirito accresciuto. Una Luna piena ed incantata ci accompagna per tutto il viaggio di ritorno, fin quasi all'alba del nuovo giorno. Salvatore Conte |
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